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L'ultimo miracolo di Garellik

Claudio Garella se n'è andato. L'ex numero 1 di Hellas Verona e Napoli aveva 67 anni, da qualche giorno si era sottoposto a un intervento chirurgico al cuore. Portiere folle, tecnico, unico. 

Claudio Garella ha compiuto molti miracoli nella sua vita. Il più grande di tutti è forse l'ultimo: riunire in un solo abbraccio due tifoserie storicamente nemiche come quelle di Napoli e Verona. A poche ore dalla sua morte, infatti, lo stadio Bentegodi ospiterà, per la prima giornata di campionato, la sfida tra veneti e campani. Siamo sicuri che al minuto di silenzio che gli sarà dedicato seguirà un applauso infinito per tutto quello che ha rappresentato Garella per le due squadre. Due scudetti storici con il numero uno sulla maglia, due prime volte indimenticabili dove le sue mani, i suoi piedi e la sua sana pazzia furono fondamentali per raggiungere quelle vittorie.

Campionato 1984/85, il trionfo inaspettato del Verona, e campionato 1986/87, la prima volta del Napoli. In entrambi i casi, Garella titolarissimo con un totale di 59 presenze su 60 partite.

Eppure, prima della vittoria con gli scaligeri, Garella sembrava un giocatore finito. Quasi due lustri prima, Luis Vinicio alla guida della Lazio annunciò alla stampa che avrebbe lanciato il giovane Garella (21 anni) al posto di Felice Pulici, leggenda dei biancocelesti ed eroe del primo scudetto. Vinicio era un innovatore, uno dei primi ad usare la tattica del fuorigioco ed il pressing in Italia, ma con quella dichiarazione mise in gioco la sua carriera che, all'epoca, era in rampa di lancia. Garella distrutto dalle troppe aspettative giocò una stagione disastrosa, collezionando una serie di papere che gli valsero il poco simpatico soprannome di paperella. Fatale poi fu una pesantissima sconfitta in coppa UEFA contro il Lens che vide i biancocelesti soccombere per 6 a 0. Per Garella, invece delle porte della nazionale, come aveva profetizzato Vinicio, si aprirono quelle della serie B. Lo prese la Sampdoria che ancora non era finita nelle mani della famiglia Mantovani. Tre anni di onesta cadetteria, dove i sogni di gioventù, tra l'altro Garella aveva esordito in serie A da enfant prodige a 18 anni nel Torino, rimasero tali, fino a quando non arrivò la chiamata del Verona

Claudio Garella contro Maradona. Fonte: CalcioNapoli24
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Dries Mertens, il sole che tramonta - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Le strade di Dries Mertens e del Napoli si separano, dopo lunghi anni di amore e di gol. E di un rapporto a 360 gradi anche con la città. 

 L'arrivo di Claudio Garella all'Hellas Verona

Sempre serie B, la A sembrava ormai irraggiungibile, una buona serie B e niente più. Invece la città di Giulietta fu la svolta della sua vita. I veneti volevano tornare in A per rimanerci stabilmente e per farlo la dirigenza aveva affidato la ricostruzione a due bandiere della società: Osvaldo Bagnoli in panchina e Ciccio Mascetti come direttore sportivo. Tutti e due con un passato importante, in anni diversi, da giocatori gialloblù. Bagnoli aveva visto in Garella le stesse qualità annusate da Vinicio. In quella stagione di B la coppia Bagnoli-Mascetti gettò le basi per quella che sarebbe diventata quattro anni dopo la squadra scudetto: un gran portiere, Garella, un libero costruttore di gioco, il giovane e confermato Tricella, un regista, l'ex fiorentino Di Gennaro, che sembrava una grande promessa ma ancora inespressa, e uno che la buttava dentro, Nico Penzo che poi sarebbe andato alla Juventus.

Bagnoli, poi, era un artigiano del calcio che amava ricostruire i talenti smarriti e ridarli fiducia, rilanciandoli. Fu così in principio per Garella e Di Gennaro e poi per Bruni, Sacchetti, Fontolan, Volpati, Marangon e soprattutto Pierino Fanna. In quest'ambiente Garella rinacque e tornò quello che era sempre stato ma che non credeva più di essere: un grandissimo portiere. Grazie anche agli insegnamenti di Toni Lonardi che nel Verona aveva il doppio ruolo di vice allenatore e preparatore dei portieri. Lonardi ricostruì mentalmente e fisicamente Garella, sottoponendolo ad allenamenti interminabili. La Paperella della Lazio diventò Garellik, un eroe invincibile che parava con tutte le parti del corpo, non sempre con le mani. L'avvocato Agnelli arrivò a dire che "Garella era il portiere più forte del mondo, senza mani però". Il suo stile apparentemente goffo lo tenne lontano dalla nazionale anche se, fidatevi da chi l'ha visto spesso, dal 1983 al 1987 è stato forse il miglior portiere italiano.

Nel 1984/85 trionfò col Verona mettendo il suo autografo in una serie di partite che i tifosi gialloblù non potranno mai dimenticare. Su tutte la sesta giornata del girone d'andata, quando il Verona giocò all'Olimpico contro la Roma e Garella tirò fuori il meglio del suo repertorio con un indimenticabile doppia parata prima su Di Carlo e poi su Iorio. Ma furono tante le partite da ricordare del portiere piemontese in quella magica stagione: Napoli, dove parò miracolosamente una punizione di Maradona, e Milano, contro il Milan, quando, sfidando le leggi della gravità, neutralizzò una girata di testa di Hateley. Dopo le parate più difficili il suo viso, tondo da bambinone buono, era solcato da un ghigno beffardo verso gli avversari che pareva dire "tanto, non mi farete mai gol". Erano le stesse cose che pensava Bagnoli "quando Garella decide di parare non passa nulla".

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Pasolini e Bertolucci, dal set cinematografico al campo da calcio - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Parma, 1975. Da una parte c'è Pier Paolo Pasolini, dall'altra Bernardo Bertolucci. Due registi uniti dal cinema, ovviamente, dall'amicizia e infine anche dal calcio. 

Garella con la maglia del Napoli

 Gli anni finali di Garella, tra Napoli e Avellino

Dopo lo scudetto col Verona, Garella venne chiamato al Napoli dove Ferlaino voleva costruire intorno a Maradona la squadra per raggiungere il tricolore. Dovendo sostituire Luciano Castellini, prossimo al ritiro, l'allenatore Ottavio Bianchi e i dirigenti, Allodi e un giovanissimo Pierpaolo Marino, non ebbero dubbi a puntare su Garella. In quella squadra di stelle, Garellik portò il suo contributo e mise in bacheca il secondo scudetto in due anni. L'anno dopo successero cose strane. Una fronda interna di giocatori, tra cui Garella, si scontrò con Bianchi e la carriera del portierone ebbe una svolta negativa. Dai fasti partenopei passò alla B con l'Udinese che contribuì a portare in A e infine Avellino, dove un infortunio pose fine alla sua carriera. Sempre schivo, timido e poco amante delle interviste rimase nel mondo del calcio a livello dilettantistico nel suo amato Piemonte. Partecipava poco alle ricorrenze degli scudetti.

Apparve una volta, alcuni anni fa, a Napoli, ingrassato oltremisura con la maglietta che non riusciva a contenere i suoi chili di troppo. Nonostante ciò, in un attimo di quella partita celebrativa un suo intervento miracoloso riaccese sul suo volto il sorriso beffardo, il suo marchio di fabbrica insieme al caratteristico modo di parare che l'ha reso l'unico portiere nella storia del calcio ad essere ricordato per il suo stile. "Una parata alla Garella", un termine che torna di sovente in una telecronaca per commentare l'intervento poco elegante ma efficace di un estremo difensore. Una medaglia da appuntare al petto che non hanno guadagnato neppure i più grandi del ruolo. Non sentiremo mai dire una parata alla Zoff, alla Jascin, alla Neuer o alla Buffon. Questo attestato Garella se l'è guadagnato sul campo dove nessuno gli ha fatto sconti.

Buon viaggio, Claudio. 

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