In occasione della Giornata del Ricordo dedicata alla Foibe raccontiamo la storia di uno dei tanti protagonisti dell'esodo giuliano dalmata: Erminio Bercarich, l'attaccante che fece innamorare la Reggina e il Cagliari.
La statistica, su Wikipedia, parla di lui come del recordman per gli Amaranto per quanto riguarda le reti in campionato: 71, davanti alle 48 di Francesco Cozza e Alberto Gatto, e le 45 di Roberto Beghi. Alto, forte, veloce, spietato. Lo chiamavano la "Stella del Sud", ma basta vedere il cognome per capire che la sua storia parte da molto lontano.

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Erminio Bercarich e la fuga dalle Foibe
Susgnevizza, in croato Šušnjevica, per gli italiani semplicemente Valdarsa ma anche Frascati d'Istria. Erminio Bercarich nasce qui, nel 1923, quando la penisola istriana è italiana e lì c'è la provincia di Pola. Gioca per l'Eneo di Fiume, squadra che partecipa al campionato del Direttorio Locale, e poi nel Littorio, che milita invece nella Prima Divisione della Venezia Giulia.
Gioca e segna, fino all'8 settembre 1943, quando l'Italia firma l'armistizio con gli Alleati. Inizia il massacro delle foibe per i civili italiani della regione e del Quarnaro, della Dalmazia. Inizia la triste pagina dell'esodo giuliano dalmata. Bercarich scappa più lontano possibile: nel sud Italia. Lo accoglie Reggio Calabria, lo abbraccia la Reggina. E inizia subito la storia d'amore. Quattro stagioni in Serie C, 80 presenze e 66 reti. Numeri importanti, che non passano inosservati. Così il suo marchio diventa sinonimo di gol, lo vogliono in tutta Italia e Bercarich inizia a girare lo stivale.

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"L'amore che ho sempre avuto per questa società della quale ho fatto parte dal 1902 è completamente sparito. Vorrei essere chiaro e dire che il danno che state facendo alla nazione tedesca è gravissimo anche nei confronti di coloro che hanno amato questo Paese". Scrive così Julius Hirsch in una lettera rivolta alla sua squadra, la Karlsruhe. La squadra con cui aveva iniziato a giocare a calcio, a soli 17 anni, la squadra con cui aveva vinto cinque campionati della Germania Meridionale, la squadra con la quale nel 1910 divenne Campione di Germania, la squadra con cui aveva conquistato la maglia della nazionale.
Tra Venezia, Legnano e Cagliari
Prima il Venezia, in Serie A, poi il Prato, e finalmente il Cagliari. Erminio Bercarich si gode la fama, la bella vita. Degli allenamenti gli importa il giusto, l'importante è che la palla si insacchi. Per questo chiede e ottiene bonus per ogni gol realizzato. Il presidente del Casteddu, Domenico Loi, doveva pagarlo subito, nel corso della partita. Bercarich segnava, si girava verso la tribuna e andava a riscuotere. "Cinquemila lire, le mani che le arrotolano e via dentro i calzettoni e la sera di nuovo sigarette, alcool e carte. Un rituale, fumo, bevute, puntate, calcio, premi e ripartire dall'inizio, allenamento poco e svogliato tanto da far arrabbiare il suo tecnico, Federico Allasio" ha raccontato Matteo Zizola su Centotrentuno.
Gli attriti con l'allenatore lo portano lontano da Cagliari, dove è il calciatore con più gol rispetto alle presenze, mglio anche di Gigi Riva. Il destino lo porta a Legnano, a Roma, con la casacca del Chinotto Neri, di nuovo in Sardegna con la Carbosarda e poi di nuovo con la Reggina.
Ma la vita fuori dal campo è una discesa negli inferi. Bercarich smette di giocare nei primi anni Sessanta, resta senza soldi, sbarcando il lunario tra espedienti e miseria. Negli anni Ottanta lo riconoscono in un senzatetto, costretto a dormire in un'auto abbandonata, nei pressi di Porta Pia. Per questo il presidente cagliaritano Fausto Moi lo richiama sull'isola: per lui c'è un lavoro da custode, al Sant'Elia. Per lui, soprattutto, c'è il momento della gloria, dei ricordi, dei ringraziamenti. Il 3 febbraio del '85 entra da protagonista in quello stadio in cui faceva da sorvegliante. Prima scende in campo a prendersi gli applausi, poi si siede in tribuna d'onore. Il Cagliari, il suo Cagliari, vincerà contro la Triestina.
"Chi lo ricorda, ha ancora in mente i suoi guizzi di classe sopraffina, le sue invenzioni, le sue pazzie. Non gli piacevano i gol da dimenticare, adorava il numero, la rete dal vago sapore beffardo. Ma è stata poi la vita a beffarsi di lui". Recitava così il coccodrillo di Nando Mura su L'Unione Sarda. Emilio Bercarich morirà l'anno dopo, a 64 anni. Morirà solo, in una clinica della Capitale. Morirà "forse con il sorriso sulle labbra perché un attimo prima di chiudere gli occhi per sempre ha capito che gli atti di stima e di solidarietà che ha ricevuto in questi pochi mesi hanno avuto la forza di cancellare quei lunghi anni trascorsi aspettando la morte in un cimitero d'auto".
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