Calcio, basket e giornalismo ma anche teatro, passione, impegno per la città. Gianfranco Civolani era tutto questo.
Nell'olimpo dei grandi giornalisti sportivi del nostro Paese, accanto a figure leggendarie come i tre Gianni (Brera, Clerici e Mura), Antonio Ghirelli, Angelo Rovelli, Bruno Raschi e ai radiocronisti Enrico Ameri e Sandro Ciotti un posto lo merita anche Gianfranco Civolani, conosciuto come il CIV.
Sessant'anni di carriera, prima a "Tuttosport", dal 1957, e poi al "Corriere dello Sport-Stadio" fino al 2019, anno della sua morte. Sei decenni vissuti intensamente con passione, competenza e un'immancabile spruzzata di humor che faceva volare la sua prosa divina, così piacevole da attirare anche i lettori occasionali non interessati allo sport. Sessant'anni vissuti tutti, nemmeno uno di meno, controcorrente come recita il titolo di un suo libro uscito postumo: "A tutto CIV", pubblicato da Minerva, casa editrice bolognese che ogni Natale faceva uscire un suo lavoro, appuntamento imperdibile per i suoi fan. Controcorrente perché a Civolani non sono mai piaciuti i potenti, i furbastri, gli opportunisti e non faceva nulla per nasconderlo. La sua non era una polemica fine a se stessa, anzi era sempre ben argomentata e denotava una competenza fuori dal comune. La sua conoscenza della materia lo portava a fare pronostici, come molti suoi colleghi che spesso, però, li sbagliano.
Il CIV aveva una percentuale altissima di profezie azzeccate. Se rileggiamo Brera, forse il più grande, i suoi pronostici per i Mondiali del 1970 sull'Arcimatto (la sua rubrica storica nel Guerin Sportivo) e su quelli del 1982 (sempre sul Guerino) sono, visti a posteriori, non solo sbagliati ma assurdi. Ai mondiali messicani il grande Gioann dava pochissimo credito al Brasile che secondo lui sarebbe uscito nel duro girone eliminatorio contro Inghilterra (campione del mondo uscente), Romania e Cecoslovacchia (vice campione del mondo otto anni prima). Alla fine sappiamo tutti come andò con i sudamericani che in finale distrussero l'Italia per 4 a 1 allo stadio Atzeca. Prima dei mondiali del 1982, invece, Brera dipinse l'Italia come una squadra con "un centrocampo di broccacci" che avrebbe fatto poca strada (molti suoi colleghi furono ancora più pessimisti e caustici nelle previsioni).

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Le profezie di Civolani
Rileggendo Civolani, invece, scopriamo che i suoi pronostici, anche i più improbabili, si dimostravano poi azzeccatissimi. Osvaldo Bagnoli, che intervistai anni fa per ricordare lo storico scudetto del Verona, mi disse che il CIV era stato l'unico giornalista a vaticinare, nell'estate del 1984, lo scudetto degli scaligeri. Una previsione che, alla vigilia dell'inizio di quel campionato, sembrava una follia considerato che ai blocchi di partenza c'erano degli squadroni con i migliori campioni in circolazione. Il nostro campionato, in quegli anni, aveva lo stesso appeal dell'attuale Premier League. Il Napoli aveva appena comprato Maradona. Ma l'arrivo del Pibe de Oro era stato scortato da cavalieri di tutto rispetto: l'Inter aveva preso Kalle Rummenigge, la Fiorentina il dottor Socrates, che poi sarà un flop mostruoso ma che nelle aspettative generali era considerato uno dei primi cinque giocatori al mondo, e il Torino Leo Junior.
In Italia, inoltre, erano già presenti stelle di prima grandezza: Platini e Boniek nella Juventus che completavano una squadra composta perlopiù dai campioni del mondo del 1982 e Falcao e Cerezo leader, insieme a Bruno Conti, di una Roma fortissima che aveva sfiorato il trionfo in Coppa dei Campioni poche settimane prima. Ebbene, in mezzo ad una griglia di partenza così ricca di pretendenti, il CIV, sbalordendo tutti, individuò nel Verona il favorito. "Ad inizio campionato non ci credevamo neppure noi – mi disse Bagnoli – per questo quando lessi l'articolo di Civolani rimasi a bocca aperta". Il pezzo, uscito sul Guerin Sportivo, iniziava così: "se il Verona non si chiamasse Verona, sarebbe una squadra da scudetto. Quanti giocatori giocano senza palla. Bagnoli è un rebus, dice mezza parola al giorno ma quella mezza parola sembra l'intervento giusto al momento giusto. Il Verona è la squadra più dotata di disegno strategico e di schemi felicemente ruminati per mesi e mesi". E scudetto fu, contro ogni logica previsione.

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Erano giunti insieme al Barcellona per risollevare le sorti del club. Non si erano scelti, ma solo trovati per volere del presidente cinese Zhao Ling, da pochi mesi presidente del club catalano che aveva salvato dal fallimento.
Civolani tra giornalismo e basket
Civolani è stato anche un talent scout. Roberto Beccantini, forse la migliore firma di calcio presente oggi in Italia, fu scoperto, appena quindicenne, e lanciato proprio da lui. Il CIV però non amava promuovere se stesso, anche se avrebbe spopolato col suo eloquio ricchissimo e la voce e il carisma da consumato attore di teatro (non a caso nelle sue sterminate attività c'era pure quella di autore teatrale) nelle reti nazionali. Preferì, forse per pigrizia e sicuramente per lo smisurato amore per la sua città, non spostarsi da Bologna. Alla città felsinea lo legava un'altra passione sportiva: il basket.
La sua competenza nella pallacanestro era pari a quella nel calcio. Al riguardo, sono da rileggere i suo articoli negli anni d'oro della Virtus Bologna e del suo dualismo con la Fortitudo. Il suo legame nel basket era così forte che decise di fondare una propria squadra: la Libertas Bologna, formazione femminile nata nel 1963. Anche in questo caso il CIV andò controcorrente. All'interno di quella città, Bologna, che poi sarà denominata "Basket City", creò una squadra femminile in un mezzo ad una serie di squadre maschili, oltre ai colossi Virtus e Fortitudo, e la portò ad eccellere, fino ad arrivare, dopo tre promozioni consecutive, al terzo posto in serie A nel 1973. Nella sua creatura Civolani investì amore, passione ad anche le sue finanze, perché era un generoso per natura. Con la sua morte, e il seguente blocco dei campionati dovuto alla pandemia, la sua squadra, che negli anni da Libertas era diventata Progresso Bologna, ha dovuto subire dei ridimensionamenti, fino a scivolare in serie C. Così, nonostante l'impegno di Valeria Vacchetti, per tre lustri giocatrice simbolo, poi coach ed infine vicepresidente e presidente, dopo la morte del CIV, della Progresso, la società ha dovuto chiudere i battenti. La storia della Progresso, simile a quella di altre società nel panorama nazionale, deve far riflettere sul quanto sia difficile fare sport e di come il Covid abbia decapitato i sogni e la storia di tante squadre. A Valeria Vacchetti, che è stata il braccio destro del CIV non solo in campo cestistico, va anche il grande merito di conservare e ricordare la figura di Civolani come giornalista e scrittore
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