Estratto dal libro "Manlio Scopigno, un filosofo in panchina" di Giulio Giusti, con le parole di Gigi Riva.
Per meglio descrivere il rapporto tra Gigi Riva e Manlio Scopigno, voglio presentare un estratto dal mio libro "Manlio Scopigno, un filosofo in panchina".
Incontrai Riva nel 2001 all'interno del Centro Tecnico di Coverciano dove si trovava nella sua veste di accompagnatore della Nazionale. Il grande campione mi concesse un'intervista che inserii nel mio libro.
Con piacere la voglio condividere per ricordare due grandi uomini di calcio e non solo.
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Siamo a Coverciano, durante uno dei raduni della nazionale italiana della quale il campione è dirigente accompagnatore. Il nostro viaggio per parlare di Scopigno non può non far tappa far tappa dal iocatore simbolo di quel Cagliari. Chi scrive è emozionato, per chi negli anni Settanta era bambino, Riva rimane un mito ineguagliabile. A distanza di tanti anni il suo carisma è rimasto immutato, anzi il tempo, come per le opere d'arte e i grandi vini, ha nobilitato ancor di più la sua figura. Il non aver abbandonato mai la maglia del Cagliari e il non aver intrapreso altre attività calcistiche come l'allenatore o il direttore sportivo, ha reso immortale l'immagine di Riva calciatore. Il fatto che ora sia accompagnatore della Nazionale dà l'esatta dimensione del personaggio, perché Riva si identifica in due maglie: quella del Cagliari e quella azzurra.
Il campione ha avuto con Scopigno un rapporto unico, tra i due si era creato un feeling particolare che andava oltre l'amicizia e la stima reciproca. Vedevano la vita allo stesso modo, guardavano entrambi (come direbbe Antoine de Saint-Exupéry) nella stessa direzione. Se Riva era la bomba a disposizione dell'attacco sardo, Scopigno era il detonatore. L'allenatore che gli cambiò ruolo da ala in centravanti puro. Era l'uomo che ne assecondò le abitudini (come l'alzarsi tardi la mattina) perché aveva capito che Riva era un artista e gli artisti vanno lasciati liberi.
Riva, Lei ha conosciuto, prima da giocatore e poi da dirigente, tantissimi allenatori, se ne ricorda qualcuno che assomigli, anche vagamente, a Scopigno?
«Come lui non c'è nessuno», risponde secco il campione.
Che rapporto c'era tra voi?
«Un rapporto di amicizia. Mi ricordo che una volta all'aeroporto, era il primo anno di Scopigno a Cagliari, mi vide imbronciato. Si avvicinò e mi disse: "Se hai bisogno di me, io sono qui, non sono il tuo allenatore, considerami tuo amico"».
E con gli altri della squadra?
«Ci dava grande libertà, ci responsabilizzava. Ci ha aiutato a crescere. Eravamo dei ragazzini. Lui con il suo modo di fare ha fatto sì che diventassimo uomini. Ci ha trattato e gestito come dei professionisti. Eravamo una famiglia, molti di noi vivevano tutti insieme in foresteria e per lui avremmo fatto qualsiasi cosa. Però, sapevamo che chi sgarrava e non ripagava la sua grande fiducia veniva tagliato fuori. Scopigno parlava poco, ma quando parlava le sue parole erano definitive».
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Quel Cagliari è stato una grande squadra. Avrebbe potuto vincere di più?
«Sì, senza essere polemici avrebbe potuto vincere qualche scudetto in più. Sia nel 1968-69, l'anno prima dello scudetto, che l'anno dopo. So-lo che nel 1970-71, quando eravamo da soli in testa alla classifica, già alla quarta giornata, mi ruppi in Austria e furono compromessi il campionato e la Coppa dei Campioni».
Molti identificano il Cagliari con i suoi gol.
«Non c'ero solo io. Eravamo una grande squadra e giocavamo il miglior calcio di quel periodo. Soprattutto nel 1968-69. Scopigno ci aveva dato una grande concretezza. Era inutile fare spettacolo e poi perdere. Avevamo anche un ottimo centrocampo e una grande difesa. Quando facevamo un gol, difficilmente ci rimontavano».
Spesso, purtroppo, Scopigno viene ricordato per l'aneddotica e per il suo modo simpatico di sdrammatizzare gli eventi. Molti trascurano i suoi meriti di allenatore
«È vero. Lui usava certi atteggiamenti per aiutarci a stemperare la tensione. Scherzava quando c'erano delle difficoltà per farcele superare e poi aveva una grande capacità di sdrammatizzare. Si emozionò solo il giorno dello scudetto. Ebbe una reazione spropositata, per come lo conoscevamo noi. Però è stato un grande allenatore. Va detto che fu il primo a utilizzare il libero che impostava il gioco. Aveva capito, inoltre, e fu anche questa volta il primo, che era inutile staccarlo troppo e molte volte lo faceva giocare in linea con gli altri difensori. Avevamo una difesa a quattro dove solo due giocatori, Martiradonna e Niccolai, gioc vano a uomo. A centrocampo si giocava a zona e sulle fasce spingevamo parecchio».
Nel calcio moderno Scopigno potrebbe allenare ancora?
«Di sicuro e sarebbe ancora più attuale. Oggi, nell'era dello svincolo dove i calciatori hanno un potere enorme, l'allenatore deve essere un amico e non un sergente di ferro».
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