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Ilario Castagner, l'Olanda a Perugia

 Se n'è andato Ilario Castagner, storico allenatore del "Perugia dei Miracoli". Una carriera iniziata con l'Atalanta e finita in Umbria. Nel mezzo le panchine di Milan, Lazio, Inter, Ascoli, Pescara e Pisa.

Negli anni '70 il calcio fu rivoluzionato da un vento proveniente dall'Olanda che, grazie ai suoi profeti Michels in panchina e Cruijff in campo, provò a riscrivere la grammatica del gioco più popolare del mondo. Nel nostro Paese, uno dei primi a mettere in atto questo cambiamento fu Ilario Castagner, un giovane allenatore a cui un presidente illuminato, Franco D'Attoma, e un direttore sportivo che avrebbe fatto molta strada, Silvano Ramaccioni, affidarono le sorti del Perugia. Era l'estate del 1974 e gli umbri, militanti in serie B, avevano con un finale rocambolesco evitato l'onta della retrocessione in C. Le insoddisfazioni della piazza accelerarono un cambio di proprietà che portò alla guida del Perugia un imprenditore nel campo dell'abbigliamento sportivo, il citato Franco D'Attoma che aveva preso in mano le redini dell'azienda di famiglia della moglie, l'Ellesse. D'Attoma, che era un visionario (fu il primo a portare le sponsorizzazioni sulle magliette), capì che il calcio poteva essere un enorme veicolo pubblicitario per il suo marchio. Da quel giorno decollarono sia il Perugia che l'Ellesse. Il pilota del primo fu appunto Castagner, che, fino a quel momento, aveva allenato solo la primavera dell'Atalanta, dove aveva svezzato un giovane Gaetano Scirea. Dopo essere stato accolto con un iniziale scetticismo, l'allenatore stupì tutti con un campionato trionfale che portò il Perugia, per la prima volta nella sua storia, in serie A.Erano anni d'oro per il calcio umbro. Tre anni prima la Ternana era salita nella massima serie grazie alle idee di Corrado Viciani che impose il "gioco corto", un tiki taka con trentacinque anni d'anticipo. Sempre con lo stesso scarto di tempo, Castagner s'inventò, invece, il falso nueve. Il suo Perugia giocava senza centravanti, schierando, nella prima stagione, col numero 9 Paolo Sollier, di fatto centrocampista, il calciatore comunista che salutava il pubblico col pugno chiuso. Ma i grifoni erano soprattutto una squadra all'olandese, tutta pressing, corsa e con i terzini che volavano come Nappi, che poi trovò gloria nella Roma di Liedholm.

Ma il Perugia non si accontentò di assaggiare la A. Castagner mise sul campo un gioiello che diede spettacolo per cinque anni. Nacque il cosiddetto "Perugia dei miracoli" che sfiorò, sei anni prima del Verona, l'impresa di portare lo scudetto in provincia. Era la stagione 1978/79 e gli umbri contesero il titolo al Milan della stella (il decimo scudetto), quello dell'ultima grande recita di Gianni Rivera e della prima esibizione sul palcoscenico della Scala del calcio di Franco Baresi, guidati in panchina dal barone Liedholm (non dite "uffa, sempre lui!" Era il più bravo e basta). Quel Perugia arrivò secondo ma soprattutto finì il campionato imbattuto, prima volta nella storia del nostro campionato. Una squadra senza grossi nomi, tutta collettivo dove emergevano la saggezza di capitan Frosio, il libero, il dinamismo di un giovanissimo Salvatore Bagni, all'epoca ala destra, un portiere, Nello Malizia, che visse la migliore stagione della sua carriera e un altro falso nueve, Gianfranco Casarsa, famoso perché batteva i rigori senza rincorsa. Ma il giocatore più forte di quel Perugia era Franco Vannini, il numero 10, che spesso, grazie al suo colpo di testa, agiva da centravanti. Ma l'apporto di Vannini durò fino a febbraio, quando con un intervento criminale l'interista Fedele spezzò tibia e perone alla mezzala umbra, frenando la corsa allo scudetto del Perugia. Furono anni intensi e anche drammatici quelli di Castagner a Perugia, con il terribile lutto di Renato Curi, a cui verrà poi dedicato lo stadio, morto sul campo il 30 ottobre del 1977 in una partita contro la Juventus, e lo scandalo del calcio scommesse che nel 1980 toccò alcuni giocatori umbri. Castagner lasciò così Perugia con le prospettive di una carriera che sembrava lanciatissima.

Panchine importanti come quella della Lazio, in B dopo che era stata retrocessa per il calcio scommesse, e il Milan. Anche i rossoneri furono presi da Castagner nella serie cadetta dopo una clamorosa retrocessione sul campo. A Milano il tecnico veneto, dopo aver vinto un campionato di B a mani basse, sembrava pronto a rilanciarsi. Erano lontani, però, gli anni delle presidenze gloriose di Rizzoli e Carraro e gli investimenti miliardari di Berlusconi, pur se imminenti, non erano ancora arrivati. Il presente era rappresentato dal mitologico Giussy Farina e l'acquisto di grido si chiamava Luther Blissett, arrivato con l'etichetta di bombardiere dell'area di rigore e partito con il marchio di più grande bidone della storia del calcio italiano dalla riapertura delle frontiere. L'avventura con i rossoneri finì con un esonero a poche giornate dalla fine del torneo. Ma Castagner era ancora considerato uno dei migliori allenatori italiani e per lui si aprirono, non senza polemiche per il tradimento, le porte dell'Inter. I nerazzurri, a differenza dei cugini, potevano permettersi acquisti di altissimo livello. Il nuovo presidente Ernesto Pellegrini non badò a spese, regalando al nuovo allenatore il campione del Bayern di Monaco Karl-Heinze Rummenigge che insieme ad Altobelli doveva comporre una delle migliori linee offensive del mondo. Erano distanti per Castagner gli anni del falso nueve. Sembrava l'anno buono per prendersi quello scudetto sfiorato a Perugia.

Ma il campionato fu sconvolto dal Verona di quel genio di Osvaldo Bagnoli, che stupì tutti, andando in testa all'inizio e rimanendoci fino alla fine. L'Inter, pur lottando per lo scudetto, arrivò terza, dietro anche al Torino. Una mezza delusione dopo un mercato ricchissimo e pieno d'aspettative. Iniziò così la fase calante della carriera di Castagner. L'anno seguente, dopo appena dieci partite, fu esonerato da Pellegrini. Dopo Milano, il ritorno in provincia: Ascoli, Pescara e Pisa. Fino al ritorno a quella che ormai aveva eletto, lui veneto di nascita, come casa sua: Perugia. Questa volta prese gli umbri in C per portarli in A. Presidente era Gaucci col quale, dopo la seconda promozione, litigò, lui che da signore qual era non aveva mai discusso con nessuno. Disse basta alla panchina e iniziò una nuova vita come commentatore. Fu una delle prime cosiddette seconde voci delle telecronache delle partite, prima su tele Montecarlo e poi su Mediaset, spiccando per stile e competenza, ma soprattutto garbo. Quel garbo che tanto manca in chi racconta il calcio di oggi e che speriamo abbia l'onestà di raccontare, ora che ci ha lasciato, quanto sia stato bello e rivoluzionario il calcio di Castagner. 

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