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In ricordo di Juliano

Antonio Juliano, leggenda del Napoli con oltre 500 presenze, se n'è andato. E con lui se ne va un'altra grande bandiera del nostro calcio. 

In un calcio dove non sventolano più le bandiere, una delle ultime, una delle più belle e gloriose ha ammainato. Alle porte degli 81 anni, gli avrebbe compiuti tra pochi giorni, se n'è andato Antonio Juliano per tutti Totonno. Leggenda con oltre 500 presenze del Napoli, dove ha giocato per ben diciassette stagioni, di cui dodici da capitano e che capitano, adorato da tifosi e compagni, stimato dagli avversari, un esempio di classe e serietà. Regista classico in anni in cui nel ruolo, per sua sfortuna, le mamme italiane davano alla luce campioni su campioni. Motivo per cui il suo spazio in nazionale, pur partecipando a tre mondiali e a un Europeo (quello vincente del 1968), fu chiuso dai vari Bulgarelli (nel 1966), De Sisti (nel 1970) e Capello (nel 1974). Pur essendosi tolto grandi soddisfazioni in azzurro, il menzionato titolo europeo e diciassette minuti dalla panchina della finale mondiale del 1970 contro il Brasile, Juliano lamentò a gran voce, celebre una sua denuncia a Coverciano (prima dei tragicomici mondiali del 1974 in Germania), la scarsa attenzione dei commissari tecnici verso i giocatori che vestivano le casacche delle squadre del sud. Lui stesso raccontò, in un'altra occasione, come Mazzola gli confidò "vieni all'Inter così sarai titolare fisso in azzurro".

Juliano e Zoff, con la maglia del Napoli

Ma Totonno disse sempre di no, anche quando Ferlaino provò a più riprese a venderlo ai club del nord. Troppo innamorato del Napoli e di Napoli. Dedicò, però, alla sua squadra e alla sua città il più bel regalo che si possa ricordare: l'acquisto di Diego Armando Maradona. Fu lui, una volta diventato dirigente illuminato e competente, a convincere il presidente Ferlaino a trasformare quella che sembrava una follia e un passo lunghissimo della gamba nel sogno di una città intera. Solo per questo Napoli e, se permettete, anche Maradona (che sotto il Vesuvio ha regalato al mondo le sue perle più belle) gli devono tantissimo. Ma il debito si estende anche alla sua attività da calciatore con stagioni entusiasmanti e un quasi scudetto con una squadra che per prima in Italia, insieme al Torino di Radice e alla Lazio di Maestrelli, portò nel nostro campionato il vento del cambiamento che soffiava forte dall'Olanda. 

Era il Napoli guidato da Luis Vinicio, che aveva vestito la maglia partenopea anche da giocatore passando alla storia come 'O Lione per la sua grinta e le sue grandi doti realizzative. Vinicio costruì un Napoli super offensivo tutto pressing che per tre stagioni dal 1973/74 al 1975/76 incantò il Paese e sfiorò lo scudetto nel 1975. Di quella squadra Juliano era il capitano e il leader indiscusso. Un quasi scudetto, svanito per colpa di due vecchi amici di Totonno e suoi ex compagni di squadra anni prima nel Napoli: Dino Zoff e Josè Altafini. I due, nel decisivo match clou che si disputò al Comunale di Torino tra Juventus e Napoli a sei giornata dalla fine del torneo, spensero il sogno di quello che poteva essere il primo scudetto del Napoli. Zoff parò miracolosamente un tiro di Juliano a pochi minuti dalla fine che avrebbe dato la vittoria agli uomini di Vinicio. Altafini, all'88', siglò il gol del definitivo 2 a 1 che, di fatto, assegnò lo scudetto ai bianconeri. Da quel momento il campione brasiliano, che in precedenza era stato per sette anni una stella del Napoli, fu etichettato dai tifosi campani come "core 'ngrato".

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Ma per meglio ricordare Juliano, ci abbeveriamo alla fonte del più grande storico del Napoli: Mimmo Carratelli, penna raffinata e grandissimo esperto di calcio e non solo. Il giornalista menzionò in un suo bellissimo articolo su Juliano una poesia che gli dedicò Ezio Vendrame, talento folle e ingestibile del calcio italiano. Vendrame passò fugacemente da Napoli per volere proprio di Vinicio, che ne aveva intuito la classe immensa ma, come tutti i suoi colleghi, non riuscì ad addomesticarla:

"Oh capitano, mio capitano! Mio esempio, mio orgoglio, mio vanto. E pensare che prima di conoscerti, quando giocavo contro di te, mi stavi proprio sul cazzo! Ti ritenevo arrogante, presuntuoso, superbo. E soltanto io so come e quanto mi sbagliavo. Ora, alla tua grande professionalità così diversa dalla mia potrei anche sputare sopra, ma per la tua grande disponibilità verso i più deboli ti nomino mio capitano per sempre. Me li ricordo bene quei due vecchietti che avevano il compito di magazzinieri e quell'altro che alle nove di ogni mattina ci accoglieva sorridente allo stadio con il caffè bollente e aromatico preparato con la sua Moka. La 'bassa forza' li chiamavi tu, 'gli ultimi' li chiamo io. E non erano numeri e nemmeno parti d'arredo degli spogliatoi del San Paolo, erano persone che tu con orgoglio hai sempre voluto rendere visibili a tutti noi".

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