Il Muro di Berlino è caduto nel 1989. Lutz Eigendorf aveva deciso di buttarlo giù dieci anni prima. Almeno per lui
La mattina del 19 marzo del 1979 a Gießen, cittadina della Germania Ovest, nella regione di Assia, la temperatura sfiora gli zero gradi. I calciatori della Dinamo Berlino, fuori dall'hotel che li ospita, si sfregano le mani, nuvole bianche di vapore escono dalle loro bocche. Ridono, sono contenti di essere stati invitati dall'altra parte del Muro, quella ricca, quella moderna, per una partita di calcio. Solo uno di loro mantiene la sua serietà. È Lutz Eigendorf, il centrocampista. Lui sa che quella è la partita più importante della sua carriera, anche se si tratta di una semplice amichevole contro il Kaiserslautern, senza punti in palio, né trofei.
Gli inizi di Lutz Eigendorf
Nato a Brandeburgo, classe 1956, è uno di quei calciatori che la palla la sa trattare bene. Lo scoprono subito, ad appena 15 anni, quando era già un fenomeno e gli scout della Dinamo Berlino, la principale squadra della Germania Est, mettono le mani su di lui. Non si tratta di un club qualsiasi: il presidente è Erich Mielke, il Ministro della Sicurezza e Capo della Stasi.
Erano gli anni della Guerra Fredda, il Muro di Berlino che divideva in due la Germania, divideva in due anche il calcio. Lutz Eigendorf è il fiore all'occhiello della rosa. A 18 anni è già stabilmente in prima squadra, diventa una colonna portante, con quella maglia giocherà 100 partite nella DDR-Oberliga fino ad arrivare al campionato 78-79, quello della vittoria. L'ultimo di Eigendorf con la Dinamo Berlino.
Perché se in campo il centrocampista è una bandiera, un simbolo, fuori è diverso. Non condivide la politica della Federazione, vede la Germania Est al collasso, vive nel timore della Stasi, di fatto il suo datore di lavoro. Manca solo una manciata di partite, in quel 1979, prima della festa per lo scudetto. Lutz Eigendorf non ne prenderà mai parte perché quando arriva a Gießen, decide di mettere la libertà davanti alla gloria.
Quella mattina del marzo 1979
La squadra della Dinamo Berlino oltrepassa il muro, ovviamente controllata e sotto scorta. I giocatori sono stati istruiti a dovere: potranno girare per la città, divertirsi e fare compere, ma nessuno di loro potrà isolarsi, nessuno di loro potrà lasciare il gruppo.
Quella mattina del 19 marzo 1979, Lutz Eigendorf sale per ultimo sul pullman della squadra. Sono le 6.30 di una giornata gelata, la partita è in programma nel pomeriggio. Quando arrivano allo stadio, scende ancora una volta per ultimo. Approfitta della confusione, della gente che affolla il piazzale. Si perde nella folla, senza correre, senza dare nell'occhio. Sale sul primo taxi che trova e gli chiede di andare il più lontano possibile.
Per la Dinamo Berlino, ma soprattutto per la Stasi, è uno scandalo. Gli agenti segreti partono alla ricerca, mettono sotto torchio la moglie Gabrielle e la figlia Sandy, rimaste a Berlino Est. Il centrocampista, intanto, si mette d'accordo in segreto proprio con la squadra del Kaiserlautern: firma un contratto, diventa calciatore della Germania Ovest, anche se viene squalificato per un anno.
Due stagioni, condite di 7 gol, prima della cessione all'Eintracht Braunschweig. Lutz Eigendorf è convinto che la questione della sua fuga sia ormai roba passata. La moglie si è risposata, è stata costretta a farlo, con un agente della Stasi. Lo stesso calciatore si è ricreato una vita. Il 21 febbraio 1983 l'ex bandiera della Dinamo Berlino rilascia addirittura un'intervista, proprio davanti al Muro di Berlino. Parla, finalmente felice, della sua esperienza, di come sia differente la vita nella Germania Ovest, invita altri atleti dell'Est a fare la stessa cosa. Quelle parole sono la sua condanna a morte.
È di nuovo marzo, stavolta del 1983, quando Lutz Eigendorf è a bordo della sua Alfa Romeo Alfetta GTV. Sulla strada Braunschweig-Querum c'è una curva molto pericolosa, specialmente quando l'asfalto è ghiacciato. Il calciatore perde il controllo dell'auto e si schianta contro un albero. Nel suo sangue vengono trovate grandi quantità di alcol: è una semplice morte per guida in stato di ubriachezza.
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È solo dopo la caduta del Muro di Berlino che vengono resi noti alcuni documenti riservati, che il giornalista Heribert Schwan mostrerà nella sua inchiesta "Tod der Verrater", Morte al traditore. Sono le prove che gli agenti di sicurezza, su precisa volontà di Erich Mielke, hanno agito su Eigendorf. Prima bloccando l'auto del calciatore, poi obbligandolo a ingerire sostanze chimiche e allucinogene, per annebbiarne la vista e spingerlo verso l'incidente.
Eigendorf muore così. A ventisette anni, nel pieno della sua carriera. Sei anni dopo, quel Muro che voleva oltrepassare, sarebbe finalmente caduto. Oggi, il muro della falsità, dell'ingiustizia e del mistero che separa la sua vicenda dalla verità, è ancora troppo alto.
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