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Il primo giorno al Cagliari di Manlio Scopigno

Il 25 settembre ricorrono trent'anni dalla morte di Manlio Scopigno, il grande allenatore che condusse il Cagliari al suo primo e per ora unico scudetto. Fu il primo titolo tricolore di una squadra del sud. Per ricordare Scopigno, pubblichiamo il secondo capitolo di "1970" romanzo dedicato all'allenatore e all'impresa dei suoi uomini.

di Domenico Ciotti

SAN MARCELLO PISTOIESE

8 agosto 1966

Campionato 1966-67. Il nuovo allenatore del Cagliari è Manlio Scopigno, scelto per sostituire Arturo Silvestri detto "Sandokan", passato al Milan. L'8 agosto del 1966, Manlio Scopigno conosce, durante il primo giorno di ritiro, i componenti della squadra. Quattro anni dopo, nel 1970 condurrà i suoi ragazzi a uno storico scudetto.

Incontrò per la prima volta la squadra al completo. Era il primo giorno di ritiro e i giocatori erano tutti schierati davanti a lui come soldati. Era come un generale a cui veniva presentato il suo nuovo esercito. Solo che lui era quanto di più lontano ci fosse da un generale.
I componenti della squadra lo guardarono bene, era elegante, di un'eleganza naturale, non ostentata. Indossava una giacca di lino di ottima fattura con sotto una camicia senza cravatta, non amava le cravatte. Dalla camicia s'intravedeva un foulard. Era ancora più magro di come appariva in televisione e di come l'avevano visto da avversario.

Non sembrava un allenatore di calcio. Gli allenatori di calcio, solitamente, il primo giorno di ritiro, guardano i giocatori con l'aria di quello che ti dice «ora ti farò morire», oppure «con me chi sgarra paga». Ci sono anche quelli che si presentano come santoni che vengono a spiegare il loro verbo a dei poveri ignoranti.

Gli allenatori di calcio sono ex giocatori e sanno bene cosa può incutere timore ai loro allievi.Sanno pure, essendolo stati, che un giocatore ha mille modi e trucchetti per fregarti. Allenare non è solo una questione di preparazione e competenza calcistica, ma anche di equilibrio e intelligenza.

I giocatori continuavano a guardarlo, non assomigliava a nessuna delle categorie tradizionali di un allenatore.

A qualcuno di loro sembrava un professore, ad altri un pittore, un poeta, insomma un artista. Ciò attenuò la tensione del gruppo, perché il primo incontro con il nuovo allenatore crea sempre apprensione, e i giocatori, in fondo, sono solo dei ragazzi.

Si sentivano tutti sotto esame ed erano emozionati.

Ci pensò Andrea Arrica, il vicepresidente, a sciogliere il ghiaccio: «Ragazzi, vi presento il signor Manlio Scopigno. Come sapete tutti, è il vostro nuovo allenatore». Poi con un passo indietro, un cenno della mano e un sorriso lasciò, da attore consumato qual era e con una malcelata soddisfazione, la scena a Scopigno, la sua grande scommessa.

«Buongiorno a tutti».

Non tutti sentirono perché aveva un tono di voce bassissimo. Gli allenatori di solito sono come gli ufficiali davanti a un plotone, alzano la voce per calamitare l'attenzione e creare quel timore che genera silenzio. Lui, parlando a voce bassissima, ottenne lo stesso effetto, dando vita a un silenzio assoluto, nato per capire meglio le sue parole.

«Sono contento di essere qui e sono sicuro che insieme faremo un bel lavoro. Ho pochissime regole, ma sono inderogabili. Vi darò fiducia ma non dovete tradirmi. La prima regola è che alle 22 si va a letto», e nel dirlo lanciò un'occhiata sorniona ai giocatori che fece più effetto di mille minacce, «la seconda è che, quando saremo a Cagliari, potrete allontanarvi dalla città ma con richiesta obbligatoria di permesso».

...

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Si creò, fosse mai stato possibile, ancora più silenzio.

Scopigno non parlava più, forse aveva preso una pausa per dare altre disposizioni.

Non le diede. Aprì la bocca solo per chiedere: «Avete qualche domanda?».

Una domanda ce l'avevano. Con altri allenatori non l'avrebbero fatta, ma di lui nell'ambiente si diceva un gran bene. I colleghi che erano già stati allenati da lui, e che avevano interpellato per curiosità, avevano espresso un giudizio unanime: «È una bravissima persona, molto competente, è un tipo strano ma ci si può parlare».

Si fece avanti, a nome di tutti, Miguel Longo, il capitano.

«Signor Scopigno, sono Miguel Longo, il capitano, e a nome della squadra le dò il benvenuto».

«Grazie», rispose Scopigno.

«Volevo farle una domanda», chiese con la voce traballante Longo.

«Prego», disse Scopigno.


Longo tentennò. Aveva timore, pensava di giocarsi subito la reputazione sua e dei compagni. Con Silvestri, il predecessore, non avrebbe mai trovato il coraggio di dire quello che stava per chiedere. Arturo Silvestri, detto "Sandokan", era un padre per loro, ma un padre severissimo, e una richiesta del genere non l'avrebbe nemmeno presa in considerazione.

«Quando rientreremo in Sardegna e inizierà il campionato», disse Longo cadenzando bene le parole in un italiano corretto ma con un forte accento spagnolo, essendo argentino, «potremmo andare in ritiro il sabato invece del venerdì?».

La maggior parte delle squadre di serie A andava in ritiro il venerdì, alcune pure prima. Loro, però, quando andavano in trasferta stavano fuori per due turni (due settimane), quindi, mancando da casa per un lungo periodo, il ritiro per le gare casalinghe, se troppo lungo, li faceva vivere in una sorta di clausura.

Scopigno non rispose subito. Longo pensò d'aver sbagliato, forse la domanda era inopportuna e prematura. Gettò un'occhiata veloce ai compagni, sicuro di aver iniziato nel peggiore dei modi l'avventura col nuovo allenatore che, probabilmente, per risposta, li avrebbe massacrati nel ritiro estivo.

«Miguel», rispose Scopigno, «voi potete fare quello che vi pare». Il silenzio fu interrotto da un brusio generale: cosa aveva avuto in mente Scopigno? «Potete iniziare e finire il ritiro come meglio vi aggrada, tanto io non ci sarò».

I ragazzi non capirono. Scopigno percepì il loro smarrimento e spiegò il suo punto di vista per tranquillizzarli: «Per me i ritiri non servono a nulla. Quindi non si faranno. Io vi darò fiducia. Attenzione, come la dò la tolgo. Se la tolgo, la tolgo per sempre».

Poi si aprì in un sorriso che da estraneo lo trasformò in uno di famiglia. Diede la mano a tutti, uno per uno, compresi magazzinieri e massaggiatori.

Iniziò così la sua avventura col Cagliari. Sembrava un alieno. Capirono, col tempo, che era un genio. 

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