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Mario Zagallo, il professore dei quattro mondiali

Nella storia del calcio e del Brasile, Mario Zagallo ha un posto particolare. Campione del mondo da calciatore, allenatore e supervisore. Ma soprattutto tecnico sia di Pelé che di Ronaldo.

Zagallo con Pelé

Nel giorno stesso in cui il Brasile licenzia il suo tecnico Fernando Diniz, non sapendo ancora chi guiderà la squadra a sei mesi dalla Coppa America, il popolo dei tifosi della Seleção piange il suo più grande allenatore: Mario Jorge Lobo Zagallo. 

Sangue misto: un po' libanese, un po' italiano. Tutti lo conoscevamo come Zagallo. Era l'uomo delle prime volte: la prima ala tattica della storia del calcio da giocatore, il primo a conquistare la Coppa del Mondo sul campo e in panchina e il primo a inventare il 5-3-2 che poi si trasformava in 3-5-2 nella fase offensiva. Ma è stato anche l'unico ad aver allenato l'alfa e l'omega del calcio brasiliano, Pelé e Ronaldo, e l'unico che ha avuto il coraggio di mettere in campo una squadra con cinque numeri 10: Pelé, Gerson, Rivelino, Tostao e Jairzinho. Follia? Ma no, intelligenza perché come diceva Liedholm "il vero problema è far coesistere i brocchi". Il Brasile dei numeri 10 era quello che a Città del Messico, nella finale del Mondiale nel 1970, s'aggiudicò la Coppa Rimet battendo per 4 a 1 l'Italia. Ai cronisti italiani chi gli chiedevano come facesse a trovare l'equilibrio con tutti quei fantasisti, Zagallo diede una risposta che non ammetteva repliche: «Io, invece, non capisco voi italiani: come fate a non mettere in campo Mazzola e Rivera insieme?»

Zagallo ha avuto una carriera lunghissima, stracolma di trionfi, con dodici anni d'oro: campione del mondo da giocatore nel 1958 e nel 1962 e campione del mondo da allenatore nel 1970. Di nuovo campione del mondo nel 1994 come supervisore della Nazionale verde-oro guidata da Carlos Alberto Parreira (in un'altra finale vittoriosa contro l'Italia) e vice campione del mondo quattro anni dopo in Francia, quando nella finalissima circostanze mai del tutto chiarite misero fuori uso Ronaldo. Con "il Fenomeno" in condizioni normali forse le vittorie mondiali per Zagallo sarebbero state cinque.

Mario Zagallo, "Il Professore" del Brasile. Fonte Foto: Il Secolo XIX
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Lo stadio di Empoli porta il nome di un eroe oltre che di un ex calciatore. Ecco la storia di Carlo Castellani morto da prigioniero politico a Gusen, sotto-campo di Mauthausen.

Per non annoiarvi non citiamo i trofei conquistati con le squadre di club. Ricordiamo, però, una coppa America alla guida del Brasile nel 1997.

Nella storia del calcio, secondo i critici più accreditati, la disputa su quale sia stata la squadra più forte di sempre si riduce a due formazioni con la stessa maglia: il Brasile campione nel 1958 e quello del 1970. Nel primo Zagallo giocava all'ala sinistra, nel secondo dirigeva le operazioni in panchina. Basterebbe questo per dare al grande campione brasiliano la giusta collocazione nella storia del calcio. Da giocatore era l'equilibratore di una squadra di fenomeni, la Seleção di Didì, Vavà, Garrincha e Pelè. Vincente Feola, l'allenatore, di origine napoletana, di quel gruppo di fenomeni definì Zagallo «il giocatore più intelligente che sia mai esistito». Detto da uno che ha avuto tra le mani il meglio del meglio del calcio non è poco.

Mario Zagallo, a destra, con Jairzinho. Fonte Foto: Wikipedia.

Da allenatore il soprannome più azzeccato glielo diede Pelè, che dopo la finale del 1970 lo chiamò "il professore". Da quel giorno, Zagallo fu per tutti i brasiliani "o professor".

Ma quest'uomo avrà avuto pure qualche difetto o debolezza? Certo, era molto superstizioso. Riponeva una fiducia cieca nel numero 13. Non a caso l'unica finale persa della sua vita fu quella del 1998 allo Stade de France di Saint-Denis. Quella maledetta partita si giocò il 12 luglio. L'avessero spostata di un giorno avrebbe avuto ancora ragione Zagallo. 

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