Si spengeva ad Aalst, in Belgio, il 3 marzo del 2005 Marinus Jacobus Hendricus Michels, detto Rinus. Il suo nome è nella Hall of Fame del calcio olandese, europeo e mondiale. Verrà ricordato come un innovatore di successo, così influente da essere ancora alla base delle avanguardie sperimentali degli allenatori contemporanei. Nel 1999 la Fifa lo ha eletto "Allenatore del Secolo". Venti anni dopo, il 19 marzo 2019 è stato inserito al primo posto dalla rivista France Football, nella classifica dei 50 migliori allenatori di tutti i tempi davanti a Sir Alex Ferguson e Arrigo Sacchi. Oggi lo ricordiamo a 17 anni dalla scomparsa.
Ha raccolto meno di quanto seminato in termini di trofei, ma non è certamente passato alla storia per delle coppe metalliche. Il suo apporto della storia del calcio è al di là della polvere che si accumula negli archivi, nei musei e negli scaffali. Nonostante ciò, vanta un bottino pregevole. Con l'Ajax ha vinto la Coppa dei Campioni del 2 giugno 1971 contro il Panathinaikos allenato da Puskás a Wembley, dopo aver perso la finale del 1969 di Madrid, contro il Milan di Rocco. Rinus è stato vincente anche con la nazionale orange, con cui ha vinto gli Europei del 1988 contro la Germania dell'ovest. Michels aveva portato l'Olanda nella finale mondiale del 1974 contro la Germania ovest padrona di casa, perdendola 2-1. Il Generale ha guidato a più riprese, tra il 1974 e il 1992, la nazionale olandese, infondendole lo spirito del suo Ajax totale.
Il rapporto di Michels con l'Ajax
Proprio con questa squadra, Michels ha avuto un legame viscerale. Il Rinus Michels Award premio annuale del calcio olandese assegnato dal Congresso degli allenatori olandesi – il Nederlands Trainerscongres – nelle ultime due edizioni è stato proprio dato al tecnico dei lancieri Erik ten Hag.
La carriera da calciatore di Rinus si svolge interamente tra le file dell'Ajax, con cui realizza 122 reti in 264 partite. L'idillio si conclude anzi tempo: Rinus appende le scarpette al chiodo nel 1958, ancora trentenne, per via di un brutto infortunio alla schiena. All'Ajax, cresce sotto la guida di un allenatore inglese, cui deve tanto in termini di ispirazione filosofico-calcistica: il leggendario Jack Reynolds. È quest'ultimo ad essere riconosciuto dai più come inventore del calcio totale.
Lo stesso Michels lo ha sempre indicato come proprio mentore. Reynolds ha allenato i lancieri per un trentennio, intervallato da alcune pause, a partire dal 1915. Tra le sue disavventure la deportazione ad opera dei nazisti in Slesia, nel campo di concentramento-manicomio di Toszek, per via della sua cittadinanza britannica. Nel 1965 l'Ajax chiama Rinus sulla propria panchina, quando ha solo 37 anni. Resta fino alla vittoria della Coppa dei Campioni, prima di emigrare nel 1971 al Barcellona, dove esporta il suo modello di calcio olandese in attesa del ricongiungimento con il suo Crujff. Dopo un biennio di assestamento, nel '74 arriva la vittoria della Liga con il Barcellona, che interrompe l'egemonia madrilena. La leggenda è ormai scolpita.
La rivoluzione totale di Rinus Michels
La rivoluzione sembra passare dalla messa in discussione dell'idea di ruolo, rievocando i moti di protesta di fine anni '60. Il moto e il movimento sono alla base della nuova formula. Posizioni e ruoli non vengono meno, ma si verifica una spersonalizzazione degli stessi. I giocatori diventano interscambiabili. Movimento nel movimento. Calcio totale non significa solo che la squadra si muove come un organismo fluido, costantemente versato in avanti e indietro, come le onde di Didimo Chierico, ma che ogni giocatore può ricoprire la totalità dei ruoli. È interessante notare, come questa idea abbia degli analoghi in alcuni taxa del mondo biologico. Se la prima parola chiave è movimento, la seconda è spazio. Michels interpreta il calcio in termini spaziali, cioè gestendo lo spazio in modo da aprirlo e chiuderlo, allungarlo e accorciarlo. Nei suoi piani, in fase di possesso palla il campo va ingrandito, in fase di non possesso ridotto.
Che sia una concezione rivoluzionaria si evince dal fatto che ad essere spiazzato è lo stesso linguaggio calcistico, concettualmente impostato sulla distinzione in difensori, centrocampisti e attaccanti, secondo un'ottica categoriale quasi militare. Nell'idea di Michels, invece, tutti difendono e tutti attaccano. Si sviluppa così il proposito di difendere a decine di metri dalla porta, per tenere il pericolo lontano dalla propria area e vicino a quella avversaria. Il pressing sfiancante, che è uno degli attributi di questo sistema di gioco anti-attendista, si materializza anche psicologicamente. La pressione apportata nelle zone sensibili della metà campo avversaria induce gli sfidanti a schierarsi a protezione della propria area rinunciando a giocare per non esporsi. Prima o poi, però, l'errore arriva e il fortino cade. C'è, infatti, l'impronta impressa da questa filosofia sulla mente dei giocatori che vengono predisposti a cercare in modo irriflesso e intuitivo, con coraggio, triangolazioni e passaggi difficili, visualizzando prima queste opzioni delle altre, nelle frazioni di secondo necessarie a prendere scelte sulla gestione del pallone.
Il pantatticismo mascherato di Michels
C'è molta più tattica di quanta non se ne possa scorgere, nell'idea di Michels. Sono in errore coloro che ancora oggi dissociano la tattica dal giochismo. Anzi, si può addirittura dire che in un'impostazione di gioco corale la tattica è fondamentale, venendo a coincidere con il gioco stesso. Come si è detto, diventa fondamentale il movimento: con e senza palla. Anche la tecnica del fuorigioco di Michels sbalordisce, fin da subito, gli esperti: l'intera squadra, come un corpo unico, corre avanti e indietro per lasciare alle spalle della propria linea gli avversari. Il suo modello di gioco richiede che ogni pedina compia i movimenti assegnati, in modo da aprire spazi per le linee di passaggio e per gli inserimenti dei compagni. Per questo, non è del tutto corretto parlare di anarchia per un sistema simile. Siamo quasi agli antipodi, visto il ruolo marginale dell'improvvisazione. Di sessantottino, c'è altro: l'idea di movimento in cui si fondono le individualità, lo spirito di contestazione e il ripudio per il dogma affossante, o la "musicalità"
Rinus Michels innovatore
Nella sua permanenza sulla panchina dei lancieri (dal '65 al '71), Michels innova anche la figura del gestore. Anche in questo aspetto, si manifesta il Totalvoebal. Rinus non controlla soltanto l'organizzazione della manovra corale e del gioco. La sua area di competenza si estende ad ogni aspetto della vita dei suoi calciatori. Ciò è possibile, perché Michels si circonda di fidati collaboratori come Salo Muller. Rinus imprime anche un codice di comportamento fuori dal campo, oltre a quello estetico-sportivo. Christopher Holter in De Generaal. La nascita del grande Ajax di Rinus Michels, uscito a giugno 2020, racconta che il soprannome Generale nasce dalla sua rigidità con la squadra, soprattutto visto il periodo storico, e il coinvolgimento di alcuni suoi ragazzi tra le file dei Provo, gruppo di contestatori apparso nel '65 proprio nelle strade dei Paesi Bassi. Affinché nulla sia lasciato al caso, poi, assume la responsabilità di fare il mercato della squadra, intervenendo con le proprie competenze sportive, cercando giocatori funzionali al suo progetto, compatibilmente con le finanze della squadra.
La rivoluzione riguarda anche la concezione del calcio nel suo paese di origine. Fino ad allora, in Olanda, il calcio era considerato alla stregua di uno Sport amatoriale, ai limiti del professionismo. I giocatori sopravvivevano grazie ad un altro mestiere, e non avevano il tempo di allenarsi con costanza o approfonditamente. C'erano operai, giardinieri e fiorai nella squadra. Tre allenamenti a settimana erano un miraggio. Anche in ciò Rinus Michels si dimostra visionario: con coraggio, lascia la cattedra da insegnante (dove insegna educazione fisica per un periodo, in virtù del proprio diploma, ai bambini audiolesi) e versa tutto il suo tempo nella plasmazione di una squadra a sua immagine e somiglianza.
Nonostante la comprensibile diffidenza iniziale, l'allenatore convince la società a garantire un contributo ai calciatori, per incentivarli e per affrancarli da altre occupazioni lavorative, in modo da concentrarsi principalmente sugli allenamenti. Tra questi: Piet Keizer, Co Prins e Johan Cruijff, ancora sprovvisti di un impiego fisso. Retribuire i giocatori, da molti, era considerato un tabù. Tra gli scettici la stessa Federcalcio olandese (KNVB). Era inconcepibile in una cultura frugale come quella dei Paesi Bassi, fondata sulla fatica, che alcuni fossero remunerati per corriere dietro ad una sfera piena d'aria. Questo, però, aveva portato molti giocatori dei Paesi Bassi ad emigrare, e la stessa nazionale si era indebolita. La svolta può essere ascritta indubbiamente al maestro Michels. I suoi meriti sono ancora oggi incalcolabili.
Oggi lo ricordiamo con affetto, non semplicemente come campione sportivo! Lo ricordiamo tra le personalità che hanno arricchito la storia, che hanno tracciato nuove rotte e hanno proposto un'idea altra.
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