La prima di campionato mette davanti Salernitana e Roma, due squadre che hanno visto giocare Agostino Di Bartolomei. Siamo andati a Castellabate, in provincia di Salerno, a ripercorrere gli ultimi anni di un campione amato ovunque.
Sulla Salerno Reggio Calabria, la strada che mi riporta a Roma dal mare, il navigatore segna una deviazione poco dopo essere entrati in Campania. È una tappa obbligata, studiata cartina alla mano, che non ha a che fare con la prima di campionato, Salernitana Roma, almeno apparentemente. Mi fermo a sessanta chilometri dal capoluogo: si va a Castellabate, a salutare Agostino Di Bartolomei.
È qui infatti che il capitano della Roma ci lasciò, la mattina del 30 maggio 1994. Ed è qui che riposa, nel cimitero di via Terrate. Siamo nel cuore del Cilento, patrimonio UNESCO dal '98. Castellabate, oggi, è un comune di quasi 9 mila abitanti, ma in estate si riempie. Soprattutto nelle frazioni di Santa Maria, di Licosa, di San Marco, dove Ago abitava. Ci arrivo dopo cento chilometri di Tirrena Inferiore, salendo dai tornanti dopo il bivio di Agropoli. È l'ora di pranzo, le cicale scandiscono il tempo, al cimitero non c'è nessuno, fatta eccezione per una Vespa parcheggiata sotto un ulivo, all'ingresso. È di Gianni, il custode, che sta appoggiato sulle scale.
Il mio è un pellegrinaggio e immagino che certe cose il pellegrino debba farle da solo. Provo a cercare Ago in solitaria, sotto il sole, ma non ci riesco. Torno da Gianni, si alza, sorridente. "Cercate Di Bartolomei? Sta lì in fondo, dentro una cappella". La porta è socchiusa e nell'aprirla provo una sensazione strana, di imbarazzo e di timore. Chi sono io per venire qui? Io che Agostino non l'ho mai conosciuto e, addirittura, non l'ho mai visto giocare. Così resto in disparte, attaccato alla porta. Ho paura di mancare di rispetto, di essere invadente. Poi però penso che la grandezza di persone come Ago sia nella loro capacità di essere simbolo, di rappresentare qualcosa, di essere di tutti.
Non ho mai visto giocare Di Bartolomei - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo
L'amore per Di Bartolomei, tra Roma e Salerno
Sul marmo, in basso a destra, c'è l'immagine di una sua figurina, accanto a un adesivo che recita "Curva Sud Roma 1973". La stessa curva che Di Bartolomei cercava sempre con lo sguardo, ogni volta che entrava in campo. Anche la sera del 26 giugno del 1984, ritorno di finale di Coppa Italia, Roma Verona. Ultima partita di Ago con la Roma. Uno striscione, in Sud, recitava: "Ti hanno tolto la Roma, non la tua curva". La mattina, invece, sulle pagine del Corriere dello Sport era comparsa una lettera dei ragazzi del Commando Ultrà Curva Sud, per salutare il loro capitano: "Qualcuno potrebbe dire: i giocatori vanno, la Roma resta. D'accordo, ma tu non sei come gli altri per noi... sei parte di noi - diceva in un pezzo - Caro Ago, segna per noi oggi, ci servirà per trovare coraggio, vogliamo le tue braccia che alzano la Coppa sotto la curva, vogliamo vederti sorridere sotto di noi, rideremo e piangeremo tutti perché avremo avuto un grande uomo che ci ha voluto bene".
Dopo quella partita, Di Bartolomei andrà al Milan, a raggiungere il "Barone" Liedholm. Ed è proprio con la casacca rossonera che ripassa da queste parti, sul campo a due passi dal mare dei Leoni San Marco, la squadra locale. A raccontarlo è Costabile Di Paola, che all'epoca giocava con i cilentani. È l'estate del 1987, il Milan di Baresi e Donadoni dovrebbe affrontare il Napoli, ma prima della sfida scatta la sorpresa nella frazione di Castellabate. "Che gloria averlo ospitato – racconta Di Paola – era un amico riservato, una persona affabile, innamorato della pesca subacquea". Parole condivise da Davide Polito, presidente della Fondazione Fioravante Polito e fondatore del Museo del Calcio "Andrea Fortunato", di Santa Maria di Castellabate: "Dove tra gli altri cimeli abbiamo esposta la maglia della Roma di Di Bartolomei, donata dal Dottor Alicicco. Il ricordo che mi lega ad Agostino è di quando veniva a San Marco appena sposato, giocava ancora con i giallorossi. Per me era un sogno stringere la mano e parlare con un campione come lui".
Gli ultimi anni: Di Bartolomei alla Salernitana
Questa parte d'Italia Ago la conosceva bene: sua moglie, Marisa, era di Castellabate. Così dopo la parentesi al Cesena, per finire la carriera a fine anni Ottanta, scelse proprio Salerno. Ed eccola lì, accanto alla lapide, la sciarpetta della Salernitana, tra le tante della Roma. "I miei primi ricordi calcistici di Ago a Salerno sono quelli del campionato 1989-90, il suo ultimo - ci racconta Lino Grimaldi Avino, direttore di SalernoSport24 - Io sono uno di quelli cresciuti al Vestuti (il vecchio stadio dove la Salernitana ha giocato fino al 1990, prima del completamento dell'Arechi, ndr). Avevo 13 anni, ricordo un giorno, eravamo usciti qualche minuto prima della fine, con mio padre, per evitare la folla. A un certo punto sentiamo esplodere lo stadio. Mio padre mi guarda e mi fa: "Ha segnato Di Bartolomei". E accadeva spesso". Saranno 9 i gol in campionato, decisivi per la promozione, storica, in Serie B, dopo 23 anni di assenza. "Era un uomo eccezionale, una bandiera - continua ancora il giornalista - anche quando si trasferì a San Marco di Castellabate rimase una persona unica. Si incontrava per strada e, nonostante fosse molto introverso, non era uno chiuso in sé, Agostino era uno di casa, eppure avevamo una celebrità vicino a noi".
"Ricordo che una delle prime volte che accompagnai Agostino per gli allenamenti mentre stavamo ritornando in auto verso la casa dei nonni che si era ingrandita per accoglierci tutti, presi coraggio e gli chiesi: «Papà perchè sei voluto venire a Salerno?» - a raccontare è il figlio Luca, sulle pagine de Il Romanista - Gracchiando con la voce nasale che si trovava mi rispose che c'era l'essenziale: vivere davanti al mare gli piaceva, potevamo andare in barca a pescare e che poi quel campo misto d'erba e terra gli ricordava il primo rettangolo di gioco, quello dell'Omi a Tor Marancia".
Un pezzo di Roma nel cuore del Cilento, un pezzo della sua città. Ed è lì che, forse, voleva tornare. "Ma il cuore di Di Bartolomei batteva a Roma – scriveva Ottavio Ragone, su La Repubblica, all'indomani di quel 30 maggio 1994 - quel paesino arroccato sulla costa del Cilento negli ultimi tempi gli dava angoscia. Troppo stretto per i suoi sogni, troppo provinciale per le sue ambizioni. Eppure il calciatore aveva scelto di rimanere". La strada che porta a quella che era casa sua, Villa Egnatia, oggi porta il suo nome: via Agostino Di Bartolomei.
"Io lavoravo lì vicino, alla Torretta, il giorno in cui è successo il fattaccio – ci racconta Gianni, il custode – ricordo ancora il rumore del colpo, quella mattina. Era un signore, gentile, rispettoso, molto timido. Voleva fare un grande centro per i ragazzi, qui a Castellabate, poi però le cose si bloccarono". A chiarire tutto era stato lo stesso Ago, nella lettera che la moglie trovò nella sua giacca: "Adorata Marisa, mi hanno rifiutato il mutuo, perché la BNL non vuole rilasciare un benestare. Mi sento chiuso in un buco, i fondi della Regione sono ancora fermi, per il credito sportivo il Comune non regolarizza le carte".
"Quando iniziò a circolare la notizia della sua scomparsa, ricordo una sensazione strana, assurda - ci racconta ancora Lino Grimaldi Avino - non ho realizzato subito, non avevo legato il nome alla persona. Qualche giorno dopo ero a Roma, per i play off di Serie B tra Salernitana e Lodigiani. Eravamo proprio nell'Olimpico di Di Bartolomei, mentre srotolavamo quello striscione rimasto nella storia: "Semplicemente: guidaci ancora Ago". Per noi, ancora oggi, è una figura mitologica".
"Io non sono tifoso – a parlare è ancora Gianni, mentre andiamo verso l'uscita – ma ogni tanto al bar sento gli amici che parlano di calcio "abbiamo preso questo, abbiamo venduto quell'altro". Ma dico, li avete comprati veramente voi? È un calcio diverso, così come all'epoca era diverso Di Bartolomei. Sono tanti i romani che vengono a trovarlo, la scorsa settimana è passato un uomo di sessant'anni, della Garbatella. "Sono venuto a salutare il Capitano" mi diceva". Eccolo qui, il senso del pellegrinaggio. Andare verso qualcosa, cercare qualcosa, riconoscersi, riscoprirsi. E capire che quel qualcosa è dentro di te. Come Ago, come un Ago nel cuore.
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