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L'ultimo saluto a Wim Jansen, colonna dell'Olanda di Cruijff

 Il 25 gennaio se n'è andato Wim Jansen, che qualcuno definì come "il disco rigido di Johan Cruijff".

All'inizio erano piccole cose: nomi che si perdevano a metà strada tra il cervello e la lingua e mazzi di chiavi dimenticati sul bancone di un pub ringiovanito all'anagrafe da decine di monotone passate di pesante vernice.

Piccole cose di cui però è fatta la quotidianità e senza il controllo delle quali la vita diventa un racconto in terza persona. Di visite mediche e passaggi nel buco nero e rumoroso di qualche macchinario ne servirono un paio a Wim Jansen per rendersi conto che quello che aveva davanti era l'avversario più forte mai incontrato.

Jansen festeggia insieme a Larsson la vittoria del campionato scozzese

 Wim Jansen, per gli amici Wimbie

Ostile, barbaro, spietato come il Dio del calcio che per due volte ti fa accarezzare la coppa del mondo e per due volte ti respinge chiudendoti la porta in faccia, quando l'inchiostro già cola nei timbri e la carta corre trai rulli.

Eppure Wim – Wimbie per gli amici del cerchio magico che fecero bella e perdente l'Olanda degli anni '70 – da qualche parte nel suo cuore sperava di farcela. Per nascere, del resto, aveva scelto il 28 ottobre 1948, giorno di San Giuda Taddeo, il santo con il bastone in mano ed il ciondolo d'oro al collo, patrono delle cause perse.

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Un dettaglio che forse ignora ma che inconsciamente lo orienta nel momento in cui decide di mettere per la prima volta piede in un campo da calcio.

La risposta di perché il suo sogno sembra meno credibile dei francobolli sulla pace che Stalin fa mettere in circolo negli anni '50 è in quel corpo che sembra ricavato da un unico blocco di pietra non ancora lavorato sui fianchi.

 Anatra tra gli aironi Orange 

Wim Jansen, a fine partita, con Roberto Rivelino

A 16 anni, Wim, è tutto in un metro e sessantacinque. Un'anatra tra gli aironi Orange. Testa grossa e lineamenti ruvidi, insieme a occhi chiari e riccioli biondi, sono i vezzi migliori di un fisico in cui il bacino, che poggia su gambe tozze e guarda da molto lontano spalle innaturalmente larghe, si arrende senza combattere alla forza di gravità; fatto più per i cantieri di Rotterdam dilaniati dalle bombe della Luftwaffe che per correre dietro a un pallone.

Una versione non troppo distante dalla verità perché, seppure con materiali diversi, nel '65 dieci anni prima dell'avvio dei lavori Wim costruisce il suo personale Willemsbrug che lo porta nello stadio del Feyenoord. Ci resterà fino al 1980 proprio a pochi mesi dall'inaugurazione del nuovo ponte sospeso che tiene unite le due parti della città.

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Wim the 'lowly' si prende la soddisfazione di vincere la prima Coppa Campioni di una squadra olandese nel 70, poi l'Intercontinentale e la Uefa tre anni dopo. Ci mette pure 3 campionati nazionali e 34 gol in 422 partite, una semifinale europea e due finali mondiali.

Di Crujiff – che di lui dirà "è uno dei quattro uomini al mondo che vale la pena ascoltare quando si parla di calcio" – diventa amico, confidente e discepolo. Il calcio totale tutto cuore, tecnica e polmoni sembra fatto per lui. Ma non gli basta per vincere il mondiale in Germania contro Muller e soci. Ci riproverà, senza riuscirci, quattro anni dopo con l'Argentina nella Buenos Aires dei generali.

Per un po' restarono i ricordi. Poi, la malattia iniziò a divorarli da dentro togliendo loro colore fino a svuotarli di qualsiasi significato. Due giorni fa, il 25 gennaio quando Wim se n'è andato, sembra non ricordasse neppure chi fosse. Chiuso in una stanza a rincorre i pezzi del suo passato frantumato in un micro cosmo di emozioni senza volto. Terribile ironia per chi, in campo, disegnava geometrie. 

Luca Telli

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