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La vita in fuga di Luciano Vassallo, tra razzismo, dittature e successi in Etiopia

Luciano Vassallo, leggenda del calcio africano e bandiera dell'Etiopia, è morto in questi giorni a Roma, dove era scappato per fuggire alla dittature. Una vita unica, la sua. Una vita sempre in fuga.  

 Da Asmara a Ostia, passando per Coverciano e Addis Abeba, alzando una Coppa d'Africa al cielo, scappando per il deserto e segnando a Yashin. Il viaggio di Luciano Vassallo è finito. O forse continua chissà dove. Aveva 86 anni e se n'è andato nella città che lo aveva accolto mentre scappava dall'Etiopia: Roma.

E la fuga è stata proprio una costante della vita di questa leggenda del calcio africano. Fuga dall'Africa, fuga da scuola, fuga da casa. Classe 1935, figlio di Mebrak, eritrea, e Vittorio Vassallo, soldato italiano, scappato quando Luciano aveva due anni. Un meticcio, per la legge razziale italiana che vietava sia il riconoscimento da parte dei genitori che l'educazione in scuole italiane. Un figlio di nessuno per gli eritrei, un "figlio del diavolo" per la madre. "Quando mi guarda con quegli occhi strani mi mette paura – il pensiero della donna, raccontato da Luciano Vassallo nel romanzo autobiografico "Mamma ecco i soldi" - Solo un diavolo avrebbe potuto resistere a tutti quei veleni che ho ingerito per liberarmene. Roba da diavoli? Ha la pelle chiara ed è biondo di capigliatura".

Luciano Vassallo insieme a Gianni Rivera. Fonte foto: Corriere.it
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Pasolini e Bertolucci, dal set cinematografico al campo da calcio - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Parma, 1975. Da una parte c'è Pier Paolo Pasolini, dall'altra Bernardo Bertolucci. Due registi uniti dal cinema, ovviamente, dall'amicizia e infine anche dal calcio. 

 Luciano Vassallo, dalla vittoria della Coppa d'Africa alla fuga dall'Etiopia

I primi calci al pallone tirati per strada, poi le elementari alla scuola italiana Principe, dove scappa per gli abusi sessuali dei preti e per il razzismo. "Come tutti quelli nella mia condizione cominciai a lavorare subitoha raccontato in un'intervista a France Football, per Antonio Felici - Facevamo quello che capitava. Anche la guardia alle automobili o alle biciclette. Ero ancora un ragazzo quando mi presero a lavorare nelle ferrovie eritree come meccanico. È stato in quel periodo che scoprii di essere bravo a giocare al calcio". Inizia a giocare per la Stella Asmarina, ma dagli spalti piovevano insulti razzisti di ogni tipo. "Ci rompevano le ossa con le parole" racconta ancora Vassallo. Poi il passaggio alla Gaggiret, da difensore a centrocampista, fino all'esplosione alla Cotton Sport e all'approdo in nazionale, quella Etiope, dal momento che l'Eritrea era stata inglobata nel Dopoguerra. "Ricordo, in particolare, una tournée che effettuammo in Russia. Nell'occasione giocammo alcune amichevoli con squadre di club e con la nazionale sovietica. Ricordo che segnai un gran gol da 25 metri: il portiere non riuscì ad evitarlo. Poi scoprii che era Yashin! L'avessi saputo prima non avrei trovato il coraggio di fargli un tiro del genere".

Sono gli anni d'oro per Vassallo. Nella vita privata, grazie agli affari della sua officina autorizzata Volkswagen, ma soprattutto nella vita sportiva. È il 1962, la Coppa d'Africa si gioca in Etiopia e la squadra di casa è fortissima. C'è solo un problema: il capitano non può essere un meticcio. "Volevano togliermi la fascia, ma ci fu una rivolta nella squadra. Mengistu Worku, mio grande amico e altro leader carismatico del gruppo, disse al tecnico che la cosa non era possibile e pretese che io rimanessi il capitano. Alla fine dovettero cedere". In finale contro l'Egitto finisce 4 a 2. A segnare c'è proprio Luciano Vassallo, insieme a suo fratello, Italo. "E io mi presi la più grande soddisfazione della mia vita: ricevere la coppa direttamente dalle mani dell'Imperatore Hailé Selassié! Un meticcio che rappresenta l'intera Etiopia. Ritirai la coppa a testa alta".

Luigi Vassallo nella squadra dell'Etiopia campione d'Africa nel 1962. Fonte foto: Storiedicalcio.it
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Le origini del calcio femminile in Italia con le "Giovinette" che sfidarono il Duce - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

"Se c'è uno sport che la donna non dovrebbe praticare, esso è proprio il giuoco del calcio" scriveva la rivista "Lo Sport Fascista" nel dicembre 1931. È con questa citazione che si apre il romanzo storico "Giovinette – Le calciatrici che sfidarono il duce" di Federica Seneghini e con un saggio di Marco Giani, edito da Solferino.

Lo paragonavano a Di Stefano, parlavano di lui come di un "Rivera africano". Così negli anni Sessanta, Luciano Vassallo viene invitato a Coverciano, per il corso da allenatore. Torna in patria e diventa allenatore della nazionale, dove però dura poco. Soprattutto perché scopre che il nuovo allenatore, Peter Schnittger, faceva assumere doping ai suoi giocatori. "Lo denunciai alla stampa locale, successe il pandemonio. Mi ritrovai tutti contro. Diventai il nemico giurato del calcio di Etiopia". Ma non fu per quello che lasciò il paese: nel 1974 prende il potere Mengistu Haile Mariam, il "dittatore rosso". Nell'officina di Luciano Vassallo vengono trovate automobili di ras del passato regime, così l'ex calciatore viene arrestato per complicità. Lo salva un poliziotto, suo vecchio tifoso. "Appena tornato a casa radunai i miei quattro figli e li feci partire per l'Italia. Poi dopo qualche tempo fuggii anche io". La fuga a piedi, sulle montagne del Gibuti, poi un aereo per Roma, dove però non aveva niente. "Così mi misi a lavorare per strada, ad Ostia. Avevo la mia borsa degli attrezzi e chi aveva bisogno mi chiamava e io correvo a riparare".

Anche sul litorale romano ha continuato a fare calcio, nella Olimpia Ostia, tra una macchina da aggiustare e l'altra. Nella sua ultima intervista, Philippe Brunel de L'Equipe, chiede a Luciano Vassallo "qual è la cosa più importante che hai imparato nella tua vita travagliata?". "Non aver paura – risponde – quello che è scritto nella Bibbia. Ma la verità, se c'è, è che non capisci mai niente". 

Luigi Vassallo insieme al fratello, Italo.

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