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Anche il calcio deve prendere posizione

Il calcio nello scenario di disumanità e violenza attuale, emerge nella sua connotazione più marcatamente sociale divenendo uno strumento di lotta e di autodeterminazione capace di abbattere i muri e travalicare i confini per arrivare al cuore e nelle case. 

Da quando cinque mesi fa Israele ha lanciato l'operazione a Gaza, ufficialmente per sradicare Hamas da Gaza, sono statə uccisə più di 30.000 palestinesi, di cui oltre 12.000 bambinə. Vite spezzate che si sommano alla distruzione di edifici pubblici e privati, alla mancanza di acqua potabile e cibo, di elettricità e medicinali che fanno parlare, senza purtroppo paura di esagerare, di genocidio in corso e non più di guerra, semmai di guerra si sia mai trattato.

Una violenza che non ha risparmiato neanche il mondo dello sport e del calcio in particolare. I principali stadi di Gaza sono stati letteralmente rasi al suolo o trasformati in vere e proprie prigioni a cielo aperto, come lo Yarmouk Stadium, così come denunciato anche dal Presidente della Federazione di Calcio della Palestina. Oltre 90 tra calciatori, allenatori, dirigenti e lavoratori del mondo del calcio hanno perso la vita in questi cinque mesi. Ultimo in ordine cronologico la bandiera e icona del calcio palestinese, il trentanovenne Mohammed Barakat, una vita vissuta con indosso la maglia del Khan Younis Youth Club prima delle esperienze in Cisgiordania e in Giordania con l'Al-Wahadat, ucciso assieme a tutta la sua famiglia da un raid israeliano a Khan Younis che ha letteralmente spezzato via la sua casa e la sua vita; nella stessa giornata, stavolta in Cisgiordania, altri tre calciatori palestinesi dello Shabab Tulkarm sono stati uccisi sempre da un raid dell'esercito israeliano che aveva come obiettivo la sede sociale del club, devastata dalla loro furia assassina che ha lasciato dietro di sé solo morte e distruzione. Chi ha avuto la fortuna di non perdere la vita, invece, è stato arrestato senza un perché… per il solo fatto di essere palestinese.

La situazione non migliora allontanandosi da Gaza e dalla Cisgiordania, a dimostrazione di come l'offensiva israeliana miri ad eliminare definitivamente il popolo palestinese e a cancellare dalle mappe geografiche la Palestina. In Libano, più precisamente a Balbaak, a perdere la vita - sotto i bombardamenti israeliani - è stato Mustafa Gharib, calciatore dello Shabab Balbaak, squadra che proprio l'anno prossimo giocherà nella massima serie libanese.

Quello che sono state capaci di fare le nazionali di calcio, maschile e femminile, della Palestina - alla luce di quanto scritto - ha un qualcosa di incredibile, quasi epico; imprese che solo lo sport ci sa regalare: la rappresentativa di calcio maschile, come già raccontato, ha scritto un pezzo della propria storia, ma anche della Coppa d'Asia, conquistando per la prima volta nella sua storia la qualificazione agli ottavi di finale, dove ha ceduto il passo solo ai padroni di casa - e futuri campioni - del Qatar. La compagine femminile, invece, qualche settimana dopo, ha raggiunto le semifinali della WAFF, la competizione della Federazione calcistica dell'Asia occidentale, dimostrando a tutto il mondo che le atlete palestinesi non solamente esistono ma vogliono anche sognare e difendere il proprio diritto ad esistere e a praticare sport.

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La Roma ha licenziato una dipendente vittima di revenge porn - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Un filmato privato, condiviso senza consenso. Le condivisioni, tra gruppi e chat. E infine il licenziamento, della vittima. Ecco il caso, che arriva da Roma.

Il calcio, dunque, nello scenario di disumanità e violenza attuale, emerge nella sua connotazione più marcatamente sociale divenendo uno strumento di lotta e di autodeterminazione capace di abbattere i muri e travalicare i confini per arrivare al cuore e nelle case di tuttə proprio come confermato da Natali Shaheen, la vice capitana della nazionale femminile palestinese: "È estremamente difficile, quello che sta attraversando il popolo palestinese, è una tragedia non può esserci alcuna vera felicità, sapendo quel che accade a Gaza. Ma questo ci ha spinto a lottare il più possibile affinché almeno un bambino, una bambina, possano sorridere pensando ai nostri risultati sportivi". Sulla stessa lunghezza d'onda Mohammed Rashid, nazionale palestinese e tesserato del Bali United FC, che in occasione della Coppa d'Asia aveva dichiarato: "Giochiamo per chi combatte, per chi muore, per chi difende la patria, per chi difende le nostre case".

Una consapevolezza, quella di rappresentare molto di più di una semplice nazionale di calcio, che probabilmente ha contribuito a costruire e diffondere quel senso di solidarietà nei confronti della causa palestinese che ha visto anche il mondo del calcio italiano, seppur timidamente e "dal basso" cominciare a prendere parola e posizione.

"In questa Conference League, la sorte ci ha messo davanti una squadra che viene da un paese che si dice "in guerra", ma che in realtà sta massacrando una popolazione civile, inerme. Sono più di 10.000 i bambini uccisi in poco più di tre mesi. Vogliamo rimarcare che Israele è ad oggi sotto accusa alla Corte dell'Aia per genocidio: accusa non archiviata.

Ricordiamo, senza entrare nel merito della decisione, che le squadre di calcio appartenenti alla Federazione Russa sono escluse dalle competizioni Uefa a seguito della guerra in Ucraina. La Uefa, dall'alto dei principi morali che si vanta di sostenere, non ha nulla da dire sul massacro in corso in Palestina? Oppure dobbiamo dedurre che ci siano morti di Serie A e Serie B? [...]

Arriviamo allora all'ennesima gestione repressiva nei nostri confronti: giovedì prossimo il match vedrà pesanti restrizioni per gli appassionati viola, dagli spalti vuoti nei Parterre, all'assurdo obbligo di entrare entro le 18.15 in una giornata lavorativa. Tutto questo, pare, per poter garantire la visita di una tifoseria che a Budapest si è presentata coi vessilli inneggianti a un esercito che attacca i civili, colpevoli di attendere acqua, cibo e medicinali. Perché dovremmo pagare noi per tutto questo?".

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L’insostenibile solitudine del St. Pauli e della sua tifoseria - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Il mondo del St.Pauli si è spaccato. La causa? Il posizionamento di club e tifoseria locale sul conflitto in Medio Oriente tra Israele e Palestina. 

Queste le parole con cui la Curva Fiesole della Fiorentina aveva preso parola e posizione contro l'assurda e criminale gestione dell'"ordine pubblico" in vista della partita di ritorno di Conference League giocata ieri contro il Maccabi Haifa e che ha visto il Franchi riempirsi dei colori della Palestina, quale risposta più bella. Un comunicato forte e chiaro che, inevitabilmente, ci spinge a porci una sola ma fondamentale domanda: la FIGC e le massime istituzioni calcistiche italiane per quanto ancora vorranno essere complici del genocidio in corso, nascondendosi dietro una presunta neutralità?

Ed è a partire da questa domanda che alcune realtà - da poco più di una settimana - hanno lanciato un appello (che potete leggere e firmare qui: ilcalcioboicottaisraele.org) rivolto a chiunque faccia parte del mondo del calcio proprio per chiedere "alla FIGC di aderire alla richiesta avanzata dalle 12 Federazioni calcistiche dell'Asia Occidentale, che hanno invitato la FIFA, le Confederazioni calcistiche e le Associazioni affiliate (tra cui appunto la FIGC) a unirsi nel prendere una posizione decisiva contro le atrocità commesse in Palestina e i crimini di guerra a Gaza, condannando l'uccisione di civili innocenti tra cui giocatori, allenatori, arbitri e funzionari, la distruzione delle infrastrutture calcistiche e l'adozione di un fronte unito per isolare la Federcalcio israeliana da tutte le attività legate al calcio finché questi atti di aggressione non cesseranno." E lo hanno fatto "convinti che il calcio non sia una bolla avulsa dalla realtà in cui è immerso e che debba dunque contribuire a costruire umanità, solidarietà e pace; convinti che in ogni ambito di vita ci si debba prodigare per raggiungere un immediato cessate il fuoco quale anticamera di una pace giusta e duratura che permetta alla popolazione palestinese di esistere e vivere libera dall'occupazione e dal colonialismo". Perché "il calcio italiano non può ignorare questa situazione e le proprie responsabilità, con cui sarà chiamato a confrontarsi il prossimo autunno nella Nations League, quando la nostra Nazionale dovrà viaggiare in Israele il 9 settembre e poi ospitare la selezione di Tel Aviv il successivo 14 ottobre. Così come non potrà farlo il prossimo 14 marzo quando la Fiorentina ospiterà il Maccabi Haifa per il ritorno degli ottavi di Conference League".

Appello che ha già raccolto centinaia di firme, raccogliendo l'approvazione di tantissime squadre di calcio popolare nonché di tifoserie storicamente sensibili a determinate tematiche e di tantissimə addettə ai lavori che, evidenziano, il profondo senso di solidarietà che anche nel mondo del calcio vi è nei confronti del popolo di Palestina. Una solidarietà che fa paura alle Istituzioni, calcistiche e non, e che fa emergere il lato peggiore - quello disumano, violento e repressivi, del nostro Paese dove sembra sia più pericolosa una bandiera palestinese in uno stadio che la violenza dell'esercito israeliano che da oramai oltre cinque mesi sta massacrando civilə palestinesə. 

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