Un parafulmine e una guida, un profeta e uno scudo. Un sogno. José Mourinho, per la Roma, è stato tante cose, tutte insieme.
José Mourinho se n'è andato dalla Roma più o meno nella stessa maniera in cui era arrivato. Di colpo, a sorpresa, inaspettatamente. E la mattina del 16 gennaio 2024, quando la notizia del suo esonero è diventata ufficiale, ha molto in comune con il pomeriggio del 4 maggio 2021. Hanno in comune lo stupore, l'incredulità, la necessità di fermarsi, per un attimo, e capire cosa sta succedendo. Ecco, proviamo a fermarci. E soprattutto proviamo a capire: cosa è stato José Mourinho per la Roma? Cosa è stato José Mourinho per noi?
Per provare a rispondere dobbiamo partire dalle sensazioni di questi giorni persi, strani. A partire dalla prima, quella che ha iniziato a farsi sentire ai primi messaggi, alle prime notifiche, alla lettura delle prime agenzie. Lo smarrimento. La sensazione di aver perso la posizione, la direzione, di non riconoscere più lo spazio in cui ci si trova. E se è questo il primo sentimento, vuol dire che José Mourinho, per la Roma, è stato soprattutto una guida. Lo ha fatto dal primo momento a Trigoria, affacciato sul tetto, davanti ai tifosi, una sciarpa in mano. Indicava la lupa, indicava una via, una speranza. Rimettere le cose nel giusto ordine, guardarle dalla giusta prospettiva: la Roma, poi tutto il resto.
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È da lì che abbiamo iniziato a sognare. Perché José Mourinho, per la Roma, per i romanisti, è stato soprattutto un sogno. L'idea di poter diventare grandi davvero, l'idea di poter vincere. E così è stato, in effetti. A Tirana, per un soffio a Budapest. Due finali europee in due anni. L'idea di poter finalmente invertire il destino, di cambiare la storia. Arrivava l'allenatore che aveva vinto tutto in giro per il mondo. Quello che ci aveva sbattuto il Triplete in faccia, alzandoci di fronte uno scudetto che avremmo meritato come pochi. Quello antipatico, brutto e cattivo. Quello che ho odiato e che proprio per questo ho amato quasi più di tutti gli altri.
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Mourinho è stato un salto verso l'alto, un atto di ribellione. Un tuffo nel vuoto, una barriera da scavalcare per poi ritrovarsi sul prato del tuo stadio, in una notte di fine maggio, a piangere e a ridere insieme, per la Roma Campione. Mourinho è stato lacrime e sudore, in un'altra notte dello stesso mese, stavolta senza lieto fine, dopo una cavalcata eroica che resterà uno dei miei ricordi da tifoso più belli, più veri. L'attesa, la trepidazione, la paura. La certezza che qualcosa sarebbe potuto succedere. Ho un'immagine nella mente che non mi passerà tanto facilmente: Bayer Leverkusen Roma è finita da poco, siamo in finale. Torno a casa e quasi non ci credo. Me lo devo ripetere, prima solo in testa, poi quasi sottovoce, fino ad urlarlo dal motorino. Mourinho per la Roma, per i romanisti, è stato una rivoluzione, un tentativo di sovvertire l'ordine prestabilito. Lo è stato nelle parole, nei gesti, negli sguardi.
Mourinho è stato un mercante di sogni, un profeta, uno sciamano. Un parafulmine, un guardiano, uno scudo. L'allenatore che, anche solo per un attimo, è riuscito a invertire la storia di questa squadra, a farci vedere più da vicino quello che abbiamo sempre immaginato. Anzi, quello che abbiamo sempre avuto paura di immaginare. Ci ha fatto vedere dove vogliamo essere, dove dobbiamo essere. José Mourinho è un pezzo di prato dello Stadio Olimpico, che ho staccato e ho messo in un quadretto, qui a casa. A ricordarmi per sempre dove sono stato. E dove voglio tornare.
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