Sono passati otto giorni dalla finale tra Roma e Feyenoord, sono passati otto giorni dalla vittoria della Conference League. Ma stiamo ancora così.
Famiglia, s. f. [lat. famĭlia, che (come famŭlus «servitore, domestico», da cui deriva) è voce italica, forse prestito osco, e indicò dapprima l'insieme degli schiavi e dei servi viventi sotto uno stesso tetto, e successivamente la famiglia nel sign. oggi più comune]. – In senso ampio, comunità umana, diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche, ma in genere formata da persone legate fra loro da un rapporto di convivenza, di parentela, di affinità, che costituisce l'elemento fondamentale di ogni società
Sono passati sette giorni da quando la Roma ha vinto e io, stamattina, ho pianto. Ho pianto mentre guardavo le immagini del trionfo, della partita, della Coppa, cosa che faccio più o meno a ripetizione da mercoledì sera. Ho pianto perché forse, finalmente, sono riuscito a capire che cosa significa questa vittoria per me, per noi.
C'è stato un momento, nel prepartita di Roma Feyenoord allo Stadio Olimpico, in cui sui maxischermi sono andate le immagini delle notti europee del passato. C'erano i gol di Totti al Bernabeu, il doppio passo di Mancini col Lione, la rimonta col Barcellona. I grandi indicavano i giocatori ai più piccoli, i papà spiegavano ai figli le partite. Ogni tanto lo sguardo si faceva serio, la bocca si storceva in una smorfia, mentre di sfuggita, quasi per sbaglio, venivano proiettati il gol di Pruzzo contro il Liverpool, e quello di Rizzitelli, nel ritorno di Coppa Uefa contro l'Inter. Due finali, due sconfitte, due cicatrici nel petto, due urli strozzati.
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Josè Mourinho, alla vigilia dell'ultimo impegno di Conference League, aveva parlato di "Famiglia Roma". E mai definizione, forse, fu più appropriata. Famiglia Roma. Perché certe cose si possono capire solo in famiglia, solo se fai parte di una famiglia. E in una famiglia, innanzitutto, ti riconosci. E riconosci anche gli altri. Io, ad esempio, sapevo indovinare chi stava salendo le scale di casa dal suono dei suoi passi. Un po' più lento, un po' più leggero, un po' più forte. Lo riconoscevo sempre, ma come faccio a spiegarvelo? Per mercoledì scorso, per la Roma Campione, per la Roma che vince, vale la stessa cosa: come faccio a spiegarvelo, se non fate parte della mia famiglia?
Perché certi momenti, è lì che si devono vivere. Anzi è solo lì che si possono vivere. In famiglia, a casa. E allora contro scaramanzie e precedenti, la finale si vede allo Stadio Olimpico. La Via Flaminia è un tripudio di macchine e bandiere, di sciarpette messe fuori dal finestrino anche se al triplice fischio mancano cinque ore. Piazza Mancini è un fiume in piena, tutto rigorosamente giallo e rosso. Si deve stare insieme, in notti come questa. Che è un po' come Natale o il giorno del tuo compleanno. Si deve stare insieme, per farsi forza, per starci vicino se ci dovesse andare male. Bisogna stare nel posto con la più alta concentrazione di gente nella tua stessa condizione.
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Si respira insieme, si trattiene il fiato. Ci si guarda negli occhi senza conoscerci, per dirci che ci siamo, che sta per iniziare. Ci si abbraccia e ci si bacia quando Zaniolo decide di fare un cucchiaio nella nostra notte europea più bella di sempre. Ci si guarda intorno, in quei 15 minuti interminabili di intervallo, per chiederci se è vero che siamo lì, se è vero che stiamo in vantaggio, se è vero che ci deve essere un secondo tempo. Si sta insieme, in famiglia, anche quando il Feyenoord entra in campo e sembra indemoniato e picchia, tira, prende pali e traverse, sterza e sferza. Ma non segna.
E non segnerà mai, anche perché non avrebbe mai segnato, neanche se la partita fosse durata due anni. Non avrebbe segnato perché a difendere quella porta non c'era solo Rui Patricio, c'eravamo tutti noi, a Tirana e allo Stadio Olimpico, a casa e in giro per il mondo, c'eravamo noi anche per chi non poteva esserci più. A difendere quella porta c'era tutta la mia famiglia. C'erano tutti quelli che aspettavano dall'ottantaquattro, quelli che aspettavano dal novantuno, quelli che aspettavano da sempre e basta. C'erano tutti quelli che se la meritavano, che aspettavano un giorno così per esplodere di gioia, per perdersi e poi ritrovarsi.
Per abbracciarci e per dirci sì, stavolta siamo noi, stavolta tocca a noi. Ha vinto la Roma, abbiamo vinto tutti noi. E non c'è cosa più bella al mondo.
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