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Dizionario Romanista: Illusione

Le strada di Nicolò Zaniolo e della Roma si separano. C'è il Galatasaray nel suo futuro, ma non è questa la cosa importante. 

Illusione, s.f. [dal lat. illusionem, da illudere, ingannare]. 1. in generale, qualsiasi errore dei sensi o della mente che alteri la realtà.2.La psicologia ne dà una definizione più precisa e la descrive come una percezione della realtà falsata dall'intervento di elementi che vengono associati erroneamente all'oggetto che il soggetto crede di percepire. 3. Nell'uso comune, invece, l'illusione è anche un inganno della mente.

Il 26 dicembre del 2018 ero in Curva Sud, quando Nicolò Zaniolo segnava il suo primo gol con la maglia della Roma, contro il Sassuolo. La corsa sfrenata sulla destra, lo strappo, la cavalcata, la forza. Poi la sterzata, in area di rigore, la leggerezza di un colpo di tacco per farsi passare la palla sotto e ritrovarsela sul sinistro. La finta, il gioco di prestigio, l'inganno e la beffa, difensore e portiere messi a sedere. E infine lo scavetto, il tocco sotto, delicato, per molti già cucchiaio. Il gol. Quel pomeriggio di dicembre ero convinto di essere nel posto giusto e nel momento giusto. A veder la Roma vincere, a veder il primo gol di Zaniolo con la maglia della Roma. Ero sicuro che quel momento sarebbe entrato di diritto nella nostra storia, nella mia storia, e già mi vedevo raccontarlo a qualche mio nipote, su una poltrona, in un pomeriggio di chissà fra quanti anni. È in quel momento che cominciai ad illudermi. È in quel momento, allo stesso tempo, che cominciai a divertirmi, a farmi cullare dal pensiero che forse anche noi avevamo di nuovo un campione, un fuoriclasse, un talento infinito. Il vuoto lasciato da Totti era troppo fresco per ragionarci con calma, per lasciar perdere, per guardare le cose con più attenzione. Andava colmato subito, anche solo con un'illusione.

C'è un filo sottile che lega l'illusione e il divertimento. Il verbo illudere nasce proprio mettendo una preposizione davanti al latino ludere, ovvero giocare, divertirsi. E con Zaniolo abbiamo giocato, con Zaniolo ci siamo divertiti. Ero sempre all'Olimpico per vedere un altro, forse il vero ultimo gol, del numero 22. Ero all'Olimpico anche se la partita si giocava a Tirana. Palla lunga di Mancini, il controllo di petto, la forza e la grazia, ancora suoi marchi di fabbrica, infine di nuovo il tocco, il pallonetto, il gol, la Roma campione. Forse è lì che doveva finire la storia d'amore tra Zaniolo e la Roma, perché di amore si è trattato, quello è certo. L'amore che viene facile nella vittoria, l'amore che si prova nell'attesa, nella paura per il crociato rotto, nella speranza coltivata durante il recupero, nell'ansia a ogni rientro in campo e poi di nuovo tutto da capo. L'amore che si assaggia nelle notti europee, quelle dell'esordio al Santiago Bernabeu, quelle delle lacrime per il ritorno al gol con il Trabzonspor, quelle del petto gonfio dopo la doppietta al Porto.

Il problema è che c'è un filo sottile anche tra il gioco, il ludus, e il ludibrio, l'offesa. Perché offesa è stata. La scelta di tirarsi indietro, di non far più parte della squadra, di volersene andare. Ed eccola là, l'illusione, l'aspettativa infondata, la speranza vana, il sogno infranto. Perché per me questo è stato Zaniolo. La certezza di un futuro, l'eroe giovane e bello, la forza e la leggerezza.

Eppure tutto questo, forse, a qualcosa è servito. Scriveva Giacomo Leopardi, nel suo Zibaldone: "Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni […], stante ch'elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa". Serviva illudersi quindi, che in fondo è la cosa che da romanisti facciamo di più. Illudersi prima di una partita con la Cremonese per poi risvegliarsi tristi e arrabbiati il giorno dopo. Illudersi di aver trovato un campione, il nostro campione, per poi vederlo andare via sbattendo la porta. Non dico che sia bello, certo, ma forse a qualcosa serve, a qualcosa è servito. Anche se non ho capito bene a cosa. Magari a non illudersi più. 

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