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In ricordo del Barone

L'8 ottobre 1922 nasceva Nils Liedholm, il Barone del calcio che trionfò con Milan e Roma.  

Molto prima del tiki-taka, che molti spacciano per un'invenzione geniale, c'era la ragnatela. Uno dei padri della ragnatela è stato Nils Liedholm ma l'allenatore svedese, non amando mettersi in mostra, non si è mai appropriato della paternità di un'innovazione o della scoperta o del lancio di un giocatore. Invece, Liedholm è stato l'allenatore più rivoluzionario della storia del calcio italiano, molto più del tanto glorificato Arrigo Sacchi che se non avesse ereditato un Milan in buona parte già educato alla zona dal Barone, difficilmente avrebbe raccolto i risultati che tutti conoscono. Franco Baresi, Tassotti,  Filippo Galli e Paolo Maldini, l'impenetrabile difesa dei rossoneri, che dal 1988 per oltre un decennio ha vinto tutto, era stata creata e formata da Liedholm. Per non parlare poi di Ancelotti arrivato a Milano a fine carriera ma che si era abbeverato nei suoi anni migliori alle sponde del Tevere sotto la guida del maestro svedese.

La ragnatela presupponeva un centrocampo formato da giocatori con i piedi buoni per tenere palla il più a lungo possibile perché, come diceva il Barone, "se la palla ce l'abbiamo noi gli avversari non possono segnare". Quindi più buoni sono i piedi più facile sarà tenere il pallone. Su questi presupposti, Liedholm creò il suo capolavoro: la Roma che nel 1983 vinse il secondo scudetto della sua storia e quella che l'anno successivo perse la finale di Coppa dei Campioni in finale contro il Liverpool. Nel 1983 il centrocampo era in mano a Paulo Roberto Falcao coadiuvato da Prohaska e Ancelotti, con la regia arretrata di Agostino Di Bartolomei che Liedholm dispose sulla linea difensiva accanto a Vierchowod. La lentezza del capitano veniva compensata dallo Zar che in quegli anni era il più veloce difensore del mondo. Ma Di Bartolomei vedeva il campo come pochi altri sul pianeta e grazie alla nuova posizione e al suo piede potente e preciso trasformava in un attimo la ragnatela in un arco dove i suoi lanci erano le frecce per l'attacco e che attacco: Pruzzo e Bruno Conti supportati da Iorio. Fu scudetto. L'anno dopo il Barone perfezionò la sua creatura, sacrificando l'austriaco Prohaska (all'epoca non si potevano avere più di due stranieri per squadra) per Cerezo, un giocatore completissimo che migliorò ancor di più il centrocampo e inserendo Graziani al posto di Iorio, anche se l'infortunio di Ancelotti tolse per quasi tutto il campionato a Liedholm una delle sue pedine fondamentali. La Coppa Campioni fu solo sfiorata ai calci di rigore nella finale all'Olimpico contro il Liverpool.

Nils Liedholm calciatore, con la maglia del Milan. Fonte: Uefa

Ma le tappe della storia rivoluzionaria di Liedholm non si fermano solo ai suoi anni d'oro con la Roma. Nella Capitale l'allenatore svedese lavorò in altre due fasi, una antecedente allo scudetto del 1983 ed una terza successiva. Nella prima, dal 1973 al 1977, il Barone gettò i primi semi di quella che poi sarebbe diventata la sua zona integrale e della ragnatela. Non era ancora la Roma del presidente Viola che anni dopo avrebbe lanciato il guanto di sfida alla Juventus, in una battaglia non solo sportiva ma anche dialettica e politica. Era la Roma di Anzalone, un presidente dimenticato ma in realtà importantissimo perché fu un grande innovatore. Grazie a lui, infatti, nel 1978 fu inventato il primo logo di una squadra italiana: il famoso lupetto stilizzato, disegnato da Piero Gratton, che ancora troneggia sulle maglie giallorosse a distanza di 44 anni. Era l'inizio del merchandising.

Liedholm fu chiamato da Anzalone nell'autunno del 1973 per subentrare a Scopigno, ormai annoiato dal calcio e già assalito da diversi guai di salute.Il filosofo, però, prima di congedarsi fece un regalo alla Roma e ai romanisti: lanciò Agostino Di Bartolomei, da lui ritenuto un potenziale campione.

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Non ho mai visto giocare Di Bartolomei - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

C'è una parola tedesca che è intraducibile in italiano. è "Fernweh" e, letteralmente, significa "nostalgia per un posto in cui non si è mai stati". Un luogo fisico, una città, una via, uno scorcio. Un luogo dell'anima, dei sogni. Ogni volta che si parla di Agostino Di Bartolomei provo nostalgia, nostalgia di un'epoca mai vissuta, di una Roma non conosciuta, di un calciatore mai visto. Sono nato venti giorni prima di quel 30 maggio di Castellabate. Non ho mai visto giocare Di Bartolomei. E provo invidia a sentire raccontare certe cose. Provo nostalgia per quel calcio senza creste e tatuaggi, senza nomi sulla maglia. Ma si può essere gelosi di una cosa che non ti appartiene?

Liedholm rimase a Roma quattro stagioni, dal 1973 al 1977, un periodo in cui iniziò a sperimentare la zona che in Italia, patria del catenaccio, era vista come un sacrilegio. Anche perché la stampa più influente, quella del nord capeggiata da Gianni Brera, era abbastanza ostile alle novità. Già in quegli anni il tecnico svedese gettò le basi della specialità della casa: la sua famosa ragnatela con un centrocampo di piedi buoni, imperniato sul fosforo di Picchio De Sisti, rientrato nella Capitale dopo anni gloriosi a Firenze e in nazionale (scudetto con i viola, campione d'Europa e vice campione del mondo in azzurro) e il talento di Ciccio Cordova. Dopo ottime stagioni in giallorosso, soprattutto un terzo posto nel 1975, Liedholm è spinto dal richiamo del Milan. In rossonero aveva dato il meglio di sé da giocatore per dodici anni ed aveva anche esordito da giovane allenatore. I tempi erano maturi per tornare anche perché il Milan doveva risollevarsi dopo una stagione dove aveva rischiato la retrocessione. 

A Milano Liedholm compirà quello che, insieme allo scudetto con la Roma, deve considerarsi il capolavoro della sua carriera: lo scudetto della stella. Era un Milan da rifondare e il Barone attuò la rivoluzione con uno splendido mix di anziani campioni e giovani in rampa di lancio. Dopo un quarto posto al suo primo anno, nella stagione1977/78 Liedholm s'inventò una squadra priva di punti di riferimento, senza un vero bomber perché Roberto Chiodi, il centravanti titolare, segnava col contagocce e per di più quasi solo su rigore, ma apriva gli spazi agli inserimenti di centrocampisti e difensori. In una squadra dove due leggende del calcio come Albertosi e Rivera recitavano la loro ultima grande interpretazione, Liedholm dava il timone della difesa al diciottenne Franco Baresi, dal tecnico già battezzato come il futuro libero della nazionale, coadiuvato da un altro ragazzo che diventerà famoso: Fulvio Collovati. Il resto della squadra era un cocktail di classe, colpi di genio, corsa e muscoli: Novellino, Antonelli, Bigon, De Vecchi e Buriani. Senza dimenticare Aldo Maldera, che poi il Barone si porterà a Roma, fondamentale terzino di spinta e autore di ben nove gol.

Nils Liedholm con Agostino Di Bartolomei

Liedholm capì che erano all'orizzonte sconquassi societari per il Milan e lasciò da trionfatore i rossoneri per completare il lavoro che aveva iniziato a Roma, dove intanto era arrivato alla guida della società Dino Viola. Come andò l'abbiamo spiegato poc'anzi. Poi il Barone, che ha sempre amato tornare dove si era trovato bene, dopo cinque stagioni fece ritorno al Milan, nel 1984/85, e ancora una volta a Roma nel 1987/88. Nel suo ultimo soggiorno a Milano incontrò Silvio Berlusconi ma i due erano troppo diversi per piacersi. 

A una pesante critica del cavaliere, Liedholm rispose con una delle sue fulminanti battute: "il presidente capisce di calcio perché ha allenato l'Edilnord". Proprio sulle battute di Liedholm, intelligenti, taglienti, geniali, si potrebbe aprire un capitolo a parte. Una delle più belle riguarda Andrade, che gli fu acquistato nelle sue ultime stagioni alla Roma, un centrocampista passato alla storia per la sua lentezza. Alla precisa domanda di un cronista sul difetto conclamata del giocatore, Liedholm rispose: "Non è vero che Andrade non corre, corre piano ma corre."

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Ma al di là delle battute, divertenti e memorabili, delle vittorie e delle innovazioni portate nel calcio, Liedholm va ricordato per aver scoperto e lanciato un gran numero di futuri campioni. Su tutti: Antognoni alla Fiorentina, dal quale fu rapito in pochi minuti dopo avergli visto giocare nell'Asti Macobi in serie D, Franco Baresi al Milan e Carlo Ancelotti alla Roma.

Andrebbe ricordato anche il Liedholm calciatore, componente del famoso trio Gre-No-Li, il terzetto di giocatori svedesi (Gre, Nordahl e appunto Liedholm) che spopolò con le maglie della nazionale (vincendo le Olimpiadi di Londra e arrivando secondi ai Mondiali del 1958 dietro al Brasile) e nel Milan degli anni cinquanta. Sugli anni da giocatore del Barone andrebbe scritto un libro a parte.

A noi piace ricordare, a 100 anni dalla nascita, un grande uomo di sport che in cinquantacinque anni di carriera, tra campo e panchina, non ha mai alzato la voce, neppure quando è stato danneggiato da pesanti errori arbitrali, come il famoso gol di Turone in Juventus-Roma nel maggio del 1981. 

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