Più di 10 anni a servizio della Roma, dalla Primavera allo Scudetto del 2001 fino al difficile anno dei 5 allenatori. Ezio Sella, sulla panchina giallorossa, ne ha viste di ogni tipo: grandi successi, passi falsi, momenti difficili, partite esaltanti. Dopo gli anni nella capitale inizia a girare l'Italia insieme ad Alberto Malesani: Udinese, Empoli, Siena, Bologna, Genoa, Palermo, Sassuolo.
Ed è proprio con i neroverdi che la Roma se la vedrà domenica sera. Una gara che ci presenta proprio Ezio Sella, in questa intervista esclusiva a Il Catenaccio.
Ha visto le prime uscite della nuova Roma?
Ho seguito le partite di questo inizio stagione e ho visto una squadra molto solida, si vede la mano di un grande tecnico come Mourinho. Li vedo più motivati, è una Roma che per me può fare cose importanti.
Che gara si aspetta domenica sera?
Il Sassuolo è una squadra difficile da affrontare, è una formazione propositiva, che tenta sempre di cercare il gol. Non verrà a Roma per fare le barricate e partire in contropiede. Credo che sarà una partita abbastanza aperta, dove la Roma dovrà stare attenta. Il Sassuolo poi ha giocatori importanti che possono mettere in difficoltà qualsiasi difesa della Serie A. In questo senso la Roma può stare tranquilla: ha dimostrato di essere una squadra forte fisicamente, attenta all'aspetto difensivo ma anche capace di affondare in maniera decisa quando serve.
Un pronostico?
Ovviamente la Roma è più forte, ma il campionato italiano è sempre una sorpresa. Bisogna prendere le partite in modo giusto. Ma in questo non ho dubbi, perché Mourinho è una garanzia per quanto riguarda la concentrazione, l'attenzione, il modo di interpretare le partite.
Più di dieci anni sulle panchine della Roma, dalla primavera a vice della prima squadra. E della Roma ha vissuto epoche e momenti diversi. Il primo, quello del ritorno di Liedholm.
Con il Barone era il periodo dopo l'esonero di Carlos Bianchi. Allenavo la Primavera, mi chiamò il presidente Franco Sensi che mi volle in prima, insieme a Liedholm, per portare la squadra in fondo al campionato. Lo abbiamo fatto in maniera tranquilla, raggiungendo un 12esimo posto tra mille difficoltà, perché quella squadra aveva grandi problemi di spogliatoio. Siamo stati bravi insieme a Nils a condurla in porto.
Poi l'anno dopo ecco Zeman, com'è stato allenare con il Boemo?
Per me è stata una fortuna lavorare due anni con lui. Sono stati anni bellissimi, soprattutto sotto l'aspetto professionale. Mi piaceva molto come interpretava il calcio, amavo la sua filosofia di gioco. In quegli anni poi sono cresciuti tanti giocatori, in primis Totti che durante il primo anno di Zeman si è letteralmente trasformato.
E proprio con Totti vincerà lo scudetto, da vice di Fabio Capello, nel 2001. Qual era il segreto di quella squadra?
Il segreto è che c'erano grandi giocatori, non c'era solo Totti. Anche perché nel calcio se non hai grandi calciatori non vinci. C'erano Emerson e Tommasi a centrocampo, Aldair e Samuel in difesa, un attacco con Montella, Delvecchio, Batistuta. E me ne dimentico sicuramente qualcuno. Era una squadra fortissima soprattutto sotto l'aspetto caratteriale, della personalità. L'unica cosa che mi sorprende è che ha vinto poco, era una squadra che se negli anni successivi avesse confermato alcuni giocatori e ne avesse innestati di altri, funzionali alle idee del tecnico, sicuramente poteva vincere ancora. Era una grande squadra. L'unico rammarico è che anche nel secondo anno non siamo riusciti a vincere, invece poteva essere l'inizio di un ciclo.
A proposito di vittorie mancate, una delle più grandi ingiustizie del calcio è che Daniele De Rossi non abbia vinto uno scudetto con la Roma. Lei l'ha visto esplodere, che cosa ricorda di lui?
De Rossi non l'ho mai allenato nelle giovanili, quando io ero in Primavera lui era negli allievi. Poi però l'ho avuto in prima squadra, dove ho avuto l'opportunità di metterlo in campo, di conoscere bene il giocatore. Stiamo parlando in grandissimo campione sotto ogni aspetto e soprattutto di una grandissima persona, che ha dimostrato oltre all'appartenenza e all'attaccamento anche una maturità importante. È un peccato che non abbia alzato uno scudetto con questa maglia, è stato uno dei centrocampisti più forti in Europa.
E proprio De Rossi fu uno dei protagonisti di quella notte al Santiago Bernabeu, quando sulla panchina della Roma c'era lei.
Segnarono lui e Cassano, 0-2 nei primi 45minuti. Poi un autogol Dellas e la partita prese la piega che sappiamo (4-2 risultato finale, ndr). Quel periodo presi una Roma dove erano cambiati tre allenatori, c'era una confusione totale. Quella partita me la ricordo perché è stato il più bel primo tempo che la Roma abbia mai disputato in quel periodo, mancavamo però troppo sul piano fisico. Anche perché cambiando tanti allenatori, tante metodologie, non riesci ad avere nella testa e nelle gambe la giusta concentrazione e la giusta energia per giocare una competizione importante come la Champions League.
Dopo la Roma inizia l'esperienza da vice di Alberto Malesani, con ultima panchina proprio a Sassuolo. Che rapporto avete?
È qualcosa che va oltre il calcio. Sul campo avevamo le stesse idee, lo stesso calcio. Lui non mi considerava neanche un collaboratore, un allenatore in seconda, ero di più. Ci conoscevamo, ci capivamo con uno sguardo, c'era una sintonia importante. Ho avuto con lui un rapporto meraviglioso, si è creata un'amicizia forte che va avanti anche oggi. C'è una cosa però che mi dà fastidio…
Quale?
Spesso lui viene dipinto come una persona che fuori dal calcio fa delle cose estreme, allucinanti. Ho letto che lui beve, è una cosa scandalosa, parlare male di una persona che non si conosce è gravissimo. Come allenatore ha dimostrato di aver vinto e di essere stato un grande innovatore.
E adesso la sua esperienza da allenatore continua, come procede il progetto della sua Academy?
Io mi diverto soprattutto a formare gli allenatori, cercando di trasmettere le mie idee agli istruttori. Ci aiuta molto anche la Roma in questo senso. Per quanto riguarda la scuola calcio la cosa migliore, anche a livello dilettantistico, è l'aspetto educativo, l'educazione sportiva. In Italia si parla tanto di cultura di lavoro e poco di cultura sportiva. Questa è la prima cosa che chiedo.
Cosa serve al calcio giovanile italiano per ripartire?
Stiamo parlando di uno dei vivai migliori del mondo, dove ci sono molte società che lavorano bene, come la Roma, che ha sfornato tanti talenti, non solo quelli che vediamo con la maglia giallorossa. Dobbiamo cercare solo di avere coraggio e mettere dentro i giovani, se meritano, a prescindere dalla carta d'identità.
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