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Intervista a Roberto Muzzi: "Ho portato la strada nel campo. Vi racconto Scamacca e il mio Cagliari"

Roberto Muzzi con la maglia della Roma

L'immagine del profilo su WhatsApp è quella con la maglia del Cagliari. Non poteva che essere così per uno che con i rossoblu ha segnato 64 reti in 157 presenze. Mentre Roberto Muzzi risponde alle mie domande in sottofondo si sentono i rumori dell'allenamento: i fischi regolari del mister, le indicazioni, le urla. "Dobbiamo avere il coraggio di buttare dentro i giovani" spiega l'ex attaccante di Roma, Lazio, Torino e Udinese, oggi Responsabile del settore giovanile dell'Arezzo.

"A certi ragazzi manca la strada e io ho provato a portarla sempre". Lo ha fatto per sei anni a Trigoria, allenando tra gli altri anche Scamacca e Pellegrini. Lo racconta, in vista di Cagliari Roma, in esclusiva per il Catenaccio, in questa intervista. 

 Come sta andando questa avventura con l'Arezzo?

Sta andando bene, qualche errore l'ho fatto sicuramene ma mi sta piacendo. Devo ringraziare la dirigenza, i fratelli Manzo con Guglielmo Gentile, direttore generale, che mi hanno proposto questa esperienza, sono persone serie e ho sposato il progetto in pieno.

Da esperto di settori giovanili, come giudica la situazione in Italia?

Dobbiamo lavorare tanto, bisogna avere coraggio di lanciare i ragazzi, di buttarli dentro. Nei campionati esteri fanno giocare i giovani senza paura e noi dobbiamo fare la stessa cosa. Dobbiamo fare come nel passato, quando si buttava dentro i Totti, i Muzzi, i Del Piero. Solo così possono venire fuori i campioni.

E l'importanza della scuola calcio non può che trasmetterla lei, che ha iniziato così a Morena, periferia sud di Roma.

La mia scuola calcio era il pomeriggio, in campo, ma anche il resto dei giorni per strada, che era la parte più importante. Si giocava tra amici giù in via, si calciava contro le serrande. Forse manca questo ai giovani, manca un po' di strada. Ora facciamo la tecnica dentro al campo, prima la facevamo con la ruota della macchina, con il muro, con la saracinesca. Oggi se parli con un allenatore del settore giovanile sembra che senza le casacche non si possa più fare la partitella, io mi ricordo che per strada riconoscevo il mio compagno in mezzo a tutti, anche se avevano la maglia bianca, rossa, verde. E mi sono imparato ad alzare la testa, a guardare il campo.

Mancano le ginocchia sbucciate, il pallone sotto la macchina?

Ora ci sono i campi sintetici, prima c'era il campo di terra. Il pallone rimbalzava come voleva e tu dovevi capire come metterti con il corpo, come stopparla. E così lavoravi tecnicamente, lavoravi con le posture.


Roberto Muzzi, da allenatore delle giovanili della Roma


A proposito di giovani, lei è stato per sei anni allenatore delle giovanili della Roma.

E ho cercato di portare la strada dentro il campo. Sin dai piccolini, dagli esordienti. È stata un'esperienza bellissima. Ho visto nascere gente come Scamacca, come Pellegrini, come Antonucci, mi è piaciuto vedere la crescita di ragazzi che ho avuto per 4 anni.

Quanto c'è di suo nell'attaccante del Sassuolo?

Scamacca era arrivato dalla Lazio che non sapeva stoppare un pallone, ora vediamo un centravanti importante, bravo tecnicamente. Merito suo, ovviamente, ma anche di chi ha avuto pazienza.

E di Lorenzo Pellegrini? Il suo è stato un grande inizio.

Sono giovani con cui ho lavorato tanto, si vedeva che avevano qualcosa. Miglioravano giorno per giorno, avevano la voglia di migliorare, questa è la cosa più importante. Loro mi chiedevano di stare lì a fare tecnica, di calciare importa, di fare movimento. È questo che li ha spinti in alto.

Oltre che da allenatore, lei la Roma l'ha vissuta anche da calciatore, dall'89 al 94. Che squadra era?

Una Roma più rustica, non tanto di qualità ma di cuore. Ovviamente il talento c'era, penso a Giannini, ad Hassler, a Rizzitelli, a Voeller. Caratterialmente era combattiva, una squadra che buttava il cuore oltre l'ostacolo. Abbiamo vinto una Coppa Italia, fatto una finale di Uefa, battuto il Milan di Van Basten, Rijkaard, Baresi. Era una Roma capace anche di questo.

Poi l'approdo al Cagliari. Cosa ha significato per la sua carriera?

Cagliari è tutto, è la seconda casa, è l'amore per questa gente, quello che ho dato e quello che ho preso. Quando parlo di Cagliari mi vengono le lacrime agli occhi. 


Muzzi Bum Bum Gol


Con una maglia pesante, quel numero 11 che era di Gigi Riva.

Era una cosa bellissima, loro mi avevano fatto l'11 con sotto la scritta "Bum Bum Gol". Mi paragonavano a Riva per i gol in rovesciata. Lui per me è un idolo, mi ha aiutato nei momenti difficili, è una persona speciale.

E tra i suoi successi ci sono anche due Europei Under21 con la nazionale, nel 1992 e nel 1994.

Quando vinci con la nazionale italiana è bellissimo, in qualsiasi categoria. È un'emozione vincere per la tua nazione. Quella azzurra è una maglia che ti trasmette grande emozione, vai all'estero e lotti per il tuo paese. E vincere per due anni consecutivi è per pochi. Era una nazionale di spessore, c'erano giocatori importanti come Peruzzi, Corini, Buso, Cannavaro, Panucci, Toldo, Inzaghi, Vieri. Una bella nazionale davvero

E sulla Lazio, invece, che mi dice?

Sulla squadra di Sarri c'è il cartello "lavori in corso". Io sono fiducioso, sono stimatore di Sarri e tifoso della Lazio, spero che trasmetta il gioco che vuole fare lui, perché per me può fare molto bene a Roma. Sicuramente dovremo dargli il tempo di lavorare.

A proposito di allenatori, qual è quello che le ha trasmesso di più?

Non posso fare un nome, devo fare degli step. Quando ero giovane avevo Radice, tecnico che mi ha trasmesso valori. Quando sono cresciuto avevo Tabarez e Ventura, poi a Udine fu fondamentale Spalletti. Non ce n'è stato uno. A Roma anche Mazzone mi ha dato qualcosa, tutti mi hanno trasmesso idee, valori, consigli. Prendo un pezzo di tutti.


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