Roma Feyenoord è passata da qualche giorno e domani c'è un'altra gara, quella contro l'Atalanta. Ma serate come quella di giovedì hanno bisogno di un po' di tempo per essere messe a posto.
Ci sono serate che hanno bisogno di qualche giorno per essere messe a posto, per essere capite, comprese. Ci sono serate che ti spaccano la testa e ti riempiono il cuore, che ti mandano a letto senza voce e con il petto gonfio. Oppure a letto non ti ci mandano per niente. Roma Feyenoord è una di quelle. Una di quelle serate che ti aspettano da giorni prima, da settimane, che ti fanno svegliare col nodo in gola e ti fanno fare il conto alla rovescia delle ore per tutto il giorno. Sembrano non arrivare mai e invece alla fine arrivano davvero, con tutto il loro carico di ansia, di aspettativa, di sogni, di paura.
È con quel carico che giovedì sera salgo sul trenino che da Labaro mi porta a Flaminio. Lo scooter mi aveva appena lasciato a piedi, la serata iniziava nella maniera peggiore possibile. Era un segnale, ovviamente Perché stavo andando allo stadio? Perché dovevo illudermi? Perché dovevo crederci? C'era una nuova rimonta da fare, una nuova corsa contro il tempo. Ti pare che succeda di nuovo? Lo penso mentre salgo sul 2, direzione Piazza Mancini. Lo penso e mi guardo intorno, cerco un segnale. Lo cerco negli occhi del signore seduto di fronte a me, con la sciarpa del Cucs al collo. Lo cerco negli sguardi di una coppia, lei la maglia di El Shaarawy, lui quella con il volto di Mourinho. Lo cerco nei discorsi di un gruppo di ragazzi. È qui che sento la formazione e capisco che Dybala non gioca. Eccolo, il segnale. Senza di lui come facciamo a vincere?
Eppure ci sono serate che le riconosci, o almeno dovresti, dall'aria che tira, dal profumo di stadio e di passione che senti mentre ti mescoli insieme agli altri romanisti verso lo stadio, tra i semafori, i ponti, i marciapiedi. Ci sono serate che ti promettono qualcosa anche mentre stai in fila ai tornelli, a sentire e ad assorbire l'adrenalina di chi ti sta intorno.
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— AS Roma (@OfficialASRoma) April 22, 2023
Ci sono serate che ti fanno brillare gli occhi e ti fanno felice prima ancora del fischio d'inizio. Serate in cui ti senti a casa, al sicuro, nel posto giusto, nel posto in cui dovevi essere nonostante l'ansia, la tensione, la paura. Serate in cui lo stadio sembra una persona sola, fatta di più di 65 mila anime e vestita da qualche migliaio di bandiere giallo e rosse.
Poi c'è la partita, la gola che pizzica, la testa che fa male. La sfuriata iniziale, l'assedio dei primi quindici minuti, poi gli avversari che prendono coraggio, l'ansia che sale, il buco nello stomaco. Finisce il primo tempo e la sensazione è quella di essere ancora interi, con il sogno ancora intatto. Eppure c'è qualcosa di strano. Esiste una parola per descrivere la paura di qualcosa di bello che poi va a finire male? Il gol di Spinazzola scaccia via per un momento tutto questo. Lo fa con un pallone lento, sporco, che neanche ti accorgi che sta entrando in rete. Esulto e penso: allora è vero, allora sta succedendo di nuovo. La Roma è in vantaggio, la rimonta è iniziata. Passano i minuti, il cronometro corre più veloce del solito. Si fa male Smalling, si era già fatto male Wijnaldum, intanto sono entrati Abraham, Dybala, Ibanez. È quando la speranza inizia a superare la paura, che il Feyenoord decide di gelarci. Un gol muto, silenzioso, ma allo stesso tempo rumorosissimo. Ecco, ci risiamo. Ci sono ricascato. Perché mi sono illuso? Come ho fatto a crederci davvero? Una nuova rimonta era impossibile, una nuova impresa impensabile. Ho un buco di tutto quello che è successo tra il gol di Paixao e il momento in cui Paulo Dybala decide di resuscitarci, di scrivere un nuovo capitolo della mia e della nostra storia. Lo fa con un gol paranormale, non convenzionale, quasi da terra. Lo fa in una maniera inaspettata, a un minuto dal termine, dal triplice fischio e dall'eliminazione. Lo fa in un modo che non mi lascia neanche il tempo di capire che siamo vivi, siamo ancora vivi.
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Ci sono serate che sembrano durare una vita e che vorresti non finiscano mai. Ci sono serate in cui capisci che le cose possono andare solo in un verso, il tuo. Ed è una sensazione strana per chi è abituato esattamente al contrario. Ci sono serate in cui guardi il cielo, stringendo una preghiera tra i denti. Eppure non è il cielo che devi guardare, è il campo. Precisamente la panchina, dove Mourinho ha raccolto la sua squadra, in cerchio. Al centro c'è lui. Sembra uno sciamano impegnato in chissà quale strano e assurdo rito. Sembra un aruspico, un sacerdote, un druido. Prende i suoi uomini e li prepara, prende il destino e lo plasma a suo piacimento. Infonde sicurezza e determinazione. Ci riesce anche con me.
Ci sono serate in cui Roma Roma Roma risuona due volte. Serate in cui la Roma vince due volte, una dopo 90 minuti e l'altra dopo 120. Serate in cui si esulta due volte anche per un gol, come quello di capitan Pellegrini, prima segnato, poi tolto e infine restituito.
Ci sono serate in cui devi guardarti intorno due volte per capire se è tutto vero, se non te lo stai sognando. Mi guardo intorno e vedo "tutte quelle facce, migliaia di facce stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione, tutti completamente persi senza nient'altro nella testa". È successo di nuovo, la rimonta è completata, l'avversario è battuto. La Roma è di nuovo in semifinale. La Roma ha vinto insieme a tutto lo Stadio, insieme a tutto il suo popolo. Insieme a me. Perché in serate come questa è possibile veramente di tutto.
Foto in copertina: As Roma Twitter
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