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Lessico Eusebiano

Parole, parole, parole. Che possono farti innamorare o farti mettere le mani tra i capelli, farti fomentare o sprofondare ancora di più nel rimpianto. Un fiume di parole, come quelle di Eusebio Di Francesco in conferenza stampa, da allenatore della Roma. Precisamente 27.061, più del Macbeth di William Shakespeare (17.084) o de Il Vecchio e il Mare di Ernest Hemingway (26.601).

Le ho contate usando il software TAPoRWare, dell'Università di McMaster, in Canada, ideato per analizzare le occorrenze e la distribuzione dei lemmi in opere letterarie, e ho provato a mettere in evidenza alcuni punti di interesse. Perché gli occhi sono lo specchio dell'anima, ma anche le parole non scherzano.

IO VS NOI

Tralasciando le steps words, ovvero gli articoli, le congiunzioni, le proposizioni semplici e articolate, la parola più pronunciata da Di Francesco è "squadra". Ripetuta 165 volte, sembrerebbe voler evidenziare un forte spirito aggregativo, un legame saldo e sicuro. Ma l'apparenza, forse, inganna: confrontando l'uso dei verbi si evidenzia una netta supremazia della prima persona singolare rispetto a quella plurale. Sono quindi 217 i "sono" e appena 56 i "siamo", ben 19 i "voglio" contro i 7 "vogliamo", 9 "penso" e un solo "pensiamo".

Un senso unico confermato anche dai 119 pronomi "mi" e dai 99 "ho" disseminati durante quasi un anno di parole. Solo in un caso la persona plurale supera la singolare: è nel verbo dovere, in cui troviamo al primo posto il "dobbiamo" (115), seconda piazza per "deve" (81) e infine medaglia di bronzo per "devo" (43), legato principalmente a tre verbi ("dire", "essere" e "cercare"). Dati che sembrano sposarsi alla perfezione con la grande colpa attribuita ad Eusebio Di Francesco: la poca assunzione di colpa, un individualismo a tratti a senso unico che si è intensificato nelle ultime conferenze, quando la panchina era sempre più traballante.

Quali sono, invece, i soggetti privilegiati del verbo "deve"? Due giocatori, ovviamente, dei più pronunciati dal tecnico abruzzese: Patrick Schick (35), al centro delle dichiarazioni del nuovo mister giallorosso Claudio Ranieri, che lo ha subito investito di grandi responsabilità ricevendo in cambio un gol da 3 punti contro l'Empoli, e Javier Pastore (38). Due elementi che, forse, rappresentano al massimo i rimpianti della Roma, di questo e dello scorso anno: il talento giovane e cristallino che non trova continuità e il brillante fantasista che brancola nel buio. Due problemi, due fardelli, mentre il calciatore più nominato è ovviamente un sostegno a cui appoggiarsi, anzi a cui aggrapparsi direttamente: Daniele De Rossi, il cui nome è stato ripetuto come una preghiera in 48 casi, a confermare l'importanza dell'uomo, oltre che del regista, nello spogliatoio e nell'equilibrio della Roma.

YES MAN

A leggere le parole di Di Francesco sembra emergere con forza l'altra grande macchia indicata dalla vulgata sportiva: quella di essere l'allenatore perfetto per questo tipo di dirigenza, per questo tipo di progetto tecnico. Un'accusa secondo alcuni, un merito per altri. Perché Eusebio Di Francesco, ad esempio, parla pochissimo di mercato (nominato appena 13 volte): nomina 2 volte la parola "cessioni", solo una volta il verbo "comprare", addirittura mai "acquisti" o "vendere". E le grandi partenze estive sono nominate, contando anche le domande dei giornalisti, secondo questa scala: "Strootman" 5 volte, "Nainggolan" 2 volte, "Alisson" 2 volte.

Anche per quanto riguarda gli obiettivi c'è un'adesione totale ai dettami societari: lo "scudetto" è nominato appena 2 volte, la "Coppa Italia" solo 4, mentre l'accoppiata "Champions League" e "quarto posto" raggiunge quota 35 occorrenze. Ad analizzare i nomi degli avversari ripetuti in conferenza sembrerebbe, però, che il mirino fosse puntato direttamente al terzo posto, visto che l'Inter è nominata 17 volte, contro i 9 del Milan e gli 8 della Lazio. Il piazzamento, la Champions come massima ambizione, visto che il verbo "vincere" viene nominato solo 13 volte. Cristiano Ronaldo, nella sola conferenza di presentazione alla Juventus in estate, lo aveva ripetuto 12 volte.

Nessuna protesta per il mercato, totale uniformità con gli obiettivi della società e nessun pensiero al domani: la parola "contratto" è nominata solo 1 volta, come la formula "in bilico", mentre di "futuro" si parla appena 11 volte. Quasi sottovoce.

IL CAMPO E GLI SPALTI

Le ultime due considerazioni legate alle parole del tecnico abruzzese sono legate ai due poli del calcio: il campo e gli spalti. Il grande deficit della Roma di quest'anno è stato quello di non aver mai, realmente, trovato un modulo adatto: il 4-3-3 eusebiano è stato rigettato dai calciatori, il 4-2-3-1 non ha dato gli effetti immaginati, i disperati 4-2-4 da rimonta o la difesa a 3 che diventa a 5 non hanno funzionato. Un ondeggiare tra moduli e metodi che trova precisa declinazione nell'uso delle parole: se il verbo "provare" registra in tutte le sue occorrenze appena 6 presenze, più nutrita è la rappresentanza di "cercare" (29) e "cambiare", presente addirittura 52 volte. Un sinonimo di instabilità, di mancanza di punti di riferimento tattici.

L'altro polo, dicevamo, è quello del cuore, della passione, dei tifosi. Una parola nominata da Eusebio Di Francesco, in questo suo secondo anno, appena 8 volte. Per intenderci, Claudio Ranieri, alla prima conferenza nel suo ritorno a Trigoria, si è rivolto ai "tifosi" ben 10 volte. Una strategia di comunicazione sicuramente studiata, "paracula" come direbbero a Roma. Ma funzionale. Perché serve a fare squadra, a indicare la via, a chiamare alle armi. Basta questo per conquistare la Champions? Ovviamente no. Ma forse aiuta. Perché le parole sono importanti. E forse Di Francesco non le ha sapute usare. 

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