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Nelle mani di Claudio Ranieri

Le mani, le sue. Quelle di Claudio Ranieri, che sa come curare la Roma, che sa indicare la via. Che sa prendere per mano. 

Chi vi dice che in uomo o in una donna la prima cosa che guarda sono le mani, mente. E sa di mentire. Figuratevi chi ve lo dice di un allenatore di calcio.

Eppure, a chi siede sulla panchina della Roma, guardo sempre le mani. Per gelosia forse, per vedere se fossero adeguate a toccare la cosa che amo di più. Come ho amato, e odiato, le mani nodose di Certaldo, mani forti, sicure, da calli ovunque. Mani da contadino. Sulle mani boeme, invece, mi sono illuso, sperando accarezzassero la squadra come accarezzavano le sue sigarette. Sulle mani portoghesi ho sognato, con le mani portoghesi ho immaginato futuri che poi si sono rivelati illusioni. Mani parlanti, dietro un orecchio, davanti alla bocca, strette in un pugno, mani che tengono una sciarpa, mani che accarezzano una coppa. Con le mani di Ostia ho sorriso, sentendomi a casa, ma ho ancora avuto timore che non potesse durare. Ma sono mani simili alle mie e soprattutto sono mani che torneranno, aspettando un tempo migliore, più adatto.

Claudio Ranieri, sciarpa della Roma al collo

Per ripartire servivano mani sicure, mani esperte. Servivano mani che conosci. Quelle di Claudio Ranieri le ricordo dal giorno del "fumo della pipa", dalla conferenza del "a Roma faccio il romano". Le ricordo da quel 26 maggio 2017 in cui ci eravamo detti addio, senza sapere che ci saremmo rincontrati. Mani chiuse in un applauso che sembra quasi una preghiera. Sono mani agili, esili, curate, forse viziate. Non a caso, a Testaccio, lo chiamavano "il piccolo Lord". Nato e cresciuto qui, a Roma, tra la Piramide Cestia, l'oratorio di San Saba, la casa in via Giotto. Mamma Renata casalinga a tempo pieno, papà Mario e il fratello Carlo in macelleria. Claudio invece preferisce pensare al pallone. "Passava con la borsa della Roma e ogni tanto la battuta gliela facevi 'a Clà ma 'ndo vai? Che tanto non sai giocà? – racconta Sergio, oggi presidente del Roma Club Testaccio – "Non lo chiamavamo "er fettina", perché lui in macelleria non ci stava mai. Per noi era "er pecione" perché quando tirava la palla la mandava sempre pe' dritto".

Claudio Ranieri, in divisa da portiere, con le mani sul pallone. Fonte Foto: Marco Di Tillo per la newsletter Ufficio Poesie Smarrite

Er pecione, a Roma, è un ciabattino, un artigiano poco abile, uno che insomma con le mani non ci sa fare. Ranieri ci prova con i piedi, è attaccante, la Roma di Helenio Herrera lo nota e lo tessera, a 17 anni. Arriva in giallorosso quando in prima squadra c'è Giuliano Taccola, l'eroe dimenticato. "Gli dissi che in attacco non avrebbe mai sfondato – a parlare è Antonio Trebiciani, all'epoca allenatore delle giovanili - non segnava e un centravanti che non fa gol non arriva lontano. Gli consigliai di arretrare, di fare il difensore. Mi diede retta e l'anno dopo entrò nella Primavera". In realtà prima Claudio Ranieri aveva giocato anche da portiere: "all'epoca voleva giocare all'attacco, ma a noi serviva il portiere – racconta Marco Di Tillo - perché il nostro, soprannominato Nonnetta, era troppo basso e, quando gli avversari tiravano alto, facevano sempre goal. Costringemmo Claudio, alto e grosso, a giocare tra i pali. Veniva ad allenarsi con noi, dopo aver fatto le consegne della carne per suo padre, macellaio di Testaccio. Giocavamo all'oratorio finché non chiudeva e poi continuavamo in piazzetta, per la strada".

Ranieri a Trigoria, con il nipote.

Dopo aver smesso di usare i piedi, Ranieri è tornato a usare le mani. A Londra, ad esempio, lo chiamavano Tinkerman, il saldatore che girava nelle piazze per riparare padelle e pentole: lo stagnino, il magnano, dal latino "manus". Ancora le mani, le sue. Quando torna in Premier League, per salvare il Leicester ufficialmente, in realtà per vincere, aggiungono un'acca e il Tinkerman diventa Thinkerman, il pensatore, lo stratega della tattica. E alla fine lo stagnino, come in tutte le favole che si rispettano, diventa addirittura re, diventa King Claudio.

A Roma però di re non ce n'è bisogno. Ce ne sono stati sette, abbiamo visto giocare l'ottavo. Non c'è bisogno di re, di imperatori, di generali. Non c'è bisogno neanche di visionari, di geni, di maghi. C'è bisogno di sostanza, di realtà, di concretezza. C'era e c'è bisogno di uno che sappia dove mettere le mani. Le cose semplici, come una volta, genuine. Mani che sanno indicare una via, che sanno accompagnare. Claudio Ranieri, all'ultima esperienza a Trigoria, aveva portato suo nipote Orlando a conoscere i genitori. Lo aveva preso per mano. Lo sta facendo di nuovo, con tutti noi.

Tutta colpa di Mourinho
 

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