L'immagine scorre a rallenty anche nella memoria. Sul pallone c'è Antonio Cassano, il cronometro dice che siamo al minuto 35. Paolo Negro marca John Carew, Oddo è su Panucci. Amantino Mancini è in area, passa quasi inosservato. Quando il barese parte, lui taglia sul primo palo, Corradi prova a prenderla ma quello che fa il brasiliano è inaspettato, assurdo, improbabile: salta e si fa passare il pallone sotto le gambe, per colpirlo con il tacco destro. Palo più lontano, Sereni battuto: gol.
Il filo che lega Venezia e Roma, prossime avversarie di oggi, è un filo che nasce a Belo Horizzonte, il primo agosto del 1980. Un filo che si chiama Alessandro Faiolhe Amantino, ma per tutti è semplicemente Mancini. Anzi, meglio: il "Tacco di Dio" come lo ribattezzò Carlo Zampa dopo quella partita. "E io a Dio lo ringrazio, così come la famiglia, la squadra, la società. Un gol così me lo sognavo da bambino, ma certo di tacco... - raccontava il brasiliano, dopo il derby - Me lo aveva detto Emerson, che tutta la città si ferma per questa partita. Appena sono arrivato a Roma, i tifosi hanno subito cominciato a chiedermi ' mi raccomando, il derby...'. Sono entrato nella storia? Così? Ah, sono contento".
C'è voluto poco, per Mancini, per entrare nella storia della Roma. Un gol nel derby, un gol di tacco, ma soprattutto più di 200 presenze e oltre 50 reti. La stagione 2003-04 è la prima, in giallorosso, per l'esterno cresciuto nell'Atletico Mineiro. È qui che Toninho Cerezo gli cambia nome, trasformando il suo soprannome "mansinho", ovvero calmo, mansueto, in "Mancini", in onore dell'amico Roberto, bandiera della Sampdoria.
"Il merito di questa scoperta va tutto a Franco Baldini - racconta Fabio Capello - Siamo stati bravi perché abbiamo battuto anche club spagnoli. I sei mesi a Venezia ci hanno fatto venire qualche dubbio, ma appena ho visto Mancini ho capito che valeva". La Roma infatti acquista Amantino Mancini e lo spedisce in prestito in Serie B, in laguna. Parte bene, con qualche presenza da titolare, poi l'allenatore Gianfranco Bellotto lo spedisce in tribuna. Quel suo tocco di palla, sempre con l'esterno, gli fa venire i nervi. Quelle sue leziosità, quei doppi passi inutili, lo fanno imbestialire.
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A Roma iniziano a pensare male. C'è da sostituire Cafù, che in estate è andato al Milan, e l'erede dovrebbe essere proprio Amantino Mancini. Ci vogliono un paio di apparizioni, nel ritiro austriaco, per capire il suo talento. E il pendolino diventa quasi subito un ricordo. "Per tutti noi giovani calciatori brasiliani, è un idolo e un esempio da seguire. è uno dei più forti, ha vinto tanto e per me è veramente un onore vestire oggi la maglia che è stata sua fino a pochi mesi fa".
Subito in doppia cifra la prima stagione, con 10 reti in 45 presenze, per arrivare al suo record personale di 18 centri in 41 partite nella stagione 2005-06, l'apice della Roma di Luciano Spalletti. Dietro a Francesco Totti, inventato punta, agiscono Mancini, Taddei, Perrotta. Ed è un piacere per gli occhi. Amantino sulla fascia è l'esterno ideale per il gioco del tecnico di Certaldo: tecnico, rapido, capace di creare superiorità numerica, esplosivo. Al termine della sua esperienza romana, prima di andare all'Inter e poi al Milan, porterà a casa due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. E metterà a segno uno dei suoi gol più belli: quelli contro il Lione, in Champions League.
Stavolta il ricordo va veloce, come le gambe di Amantino Mancini davanti a Reveillere. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra. Difensore da una parte, attaccante dall'altra. Gol sotto l'incrocio dei pali. Un esterno così, senza dubbio, servirebbe anche oggi.
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