Il filo di Roma Monza è quello che ci porta a Luigi Radice, storico allenatore entrato nel cuore dei tifosi giallorossi, per una squadra "povera ma bella" che in campo dava tutto.
"Sarebbe più utile che domenica in panchina andasse Bianchi o quantomeno che la guidasse dalla tribuna. Dispiace non essere stato messo al corrente di un accordo con un altro allenatore, dispiace soprattutto averlo saputo dai giornali e non dalla mia società". Per raccontare la storia, d'amore e non solo, tra la Roma e Luigi Radice partiamo dalla fine. Partiamo dall'ultima giornata del campionato 1989 1990, quella contro il Bologna. A parlare è proprio il tecnico della Roma. Ed è un discorso amaro, triste, fatto a denti stretti.
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Un precedente che è record, quello dell'ottobre 1929 quando allo Stadio della Rondinella, la Roma rifilò 9 reti alla Cremonese, la vittoria più larga della storia giallorossa. In quello storico impianto, che sorgeva nei pressi dell'attuale Curva Nord dello Stadio Flaminio e dove giocava la Lazio, la squadra di Renato Sacerdoti disputerà solo quel match, in attesa di inaugurare, nel 2 a 1 contro il Brescia, il nuovo impianto di Campo Testaccio.
La stagione sta per concludersi, la squadra giallorossa finirà sesta, portando a casa una qualificazione alla Coppa Uefa insperata a inizio anno, e fermandosi solo in semifinale contro la Juventus in Coppa Italia. Una Roma che non sarebbe dovuta esistere, quella di Radice, visto che Dino Viola ha già in tasca l'accordo con Ottavio Bianchi. Il Presidente del Napoli Ferlaino, però, non lo lascia partire, così a Trigoria arriva il Sergente di Ferro, reduce da un esonero dal Torino dopo cinque anni in granata e uno scudetto, nel 1976. Brianzolo, di Cesano Maderno, una carriera da calciatore tutta al nord tra Milan, con cui vince tre scudetti e una Coppa Campioni, Padova e Triestina. E sempre al nord Luigi Radice inizia la sua carriera da allenatore.
La Roma di Gigi Radice
La prima panchina non può che essere nel suo Monza, con tanto di salto dalla Serie C alla B e una promozione in A sfiorata nel 1970. Poi un pellegrinaggio tra Fiorentina e Cagliari, Bologna e Bari, Inter e Milan. Quindi la Roma. La Roma di Voeller e Rizzitelli, di Desideri e di Nela, di Giannini e Tempestilli. Una Roma "povera ma bella", che grazie al suo coraggio, alla sua forza, al suo impegno, riesce ad accendere l'amore dei tifosi. "Radice fu lo splendido condottiero di una Roma che andava in campo con il cuore - ha raccontato il capitano di quella squadra, Giuseppe Giannini - Era una persona che ti contagiava, un grande motivatore. Ricordo che negli spogliatoi, prima di entrare in campo, tutti i giocatori dovevano dargli una testata in fronte. E lui spesso entrava sul terreno di gioco con la fronte tutta arrossata. Riuscì a creare un grande gruppo".
Un gruppo di lottatori, fatto di nomi non altisonanti ma di sostanza, di giocatori veri che in campo lasciavano tutto. Anche se quella era una squadra di passaggio, Radice un traghettatore e addirittura lo stadio non era quello di sempre: l'Olimpico era in ristrutturazione per i Mondiali di Italia 90, così le romane sono costrette a giocare al Flaminio. Un ambiente ancora più piccolo, casalingo nel senso letterale, vero. Per una Roma semplice, popolare creata a immagine e somiglianza del suo allenatore. Capace di uscire imbattuta dai derby oppure di vincere contro la Juventus con gol di Desideri, che racconta: "Per lui, ex granata, quella vittoria significò una doppia gioia. Eravamo tutti con lui. Quando c'erano i pranzi tutti insieme, lui si sedeva con la squadra, era uno di noi. Una persona di cui ho un ricordo fantastico. Un grande a cui ho voluto bene, capace di essere il fratello maggiore di tutti noi".
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Una Roma che piaceva, che usciva dal campo con la maglia sudata. Una Roma destinata a finire anche se l'amore, ormai, era reciproco. "A campionato concluso – racconta un altro protagonista di quella stagione, Ruggiero Rizzitelli - a noi giocatori ci chiamava il suo vice, Cazzaniga, per dirci di telefonargli per convincerlo a firmare per un'altra squadra. Lo voleva la Fiorentina ma lui non firmava perché voleva rimanere alla Roma". Se ne andò silenziosamente come era arrivato. Se ne andò a Bologna, poi Firenze, Cagliari, Genova e di nuovo a Monza, di nuovo una promozione. Ed è sempre qui che morirà, a 83 anni, nel 2018. "È bastato un anno per entrarci nel cuore… Addio Mister Radice" questo l'ultimo saluto della Curva Sud al suo allenatore. L'allenatore di una Roma operaia che conquistò tutti con il suo modo di giocare.
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