Riserva, titolare, gregario poi dirigente, segretario, allenatore addirittura traduttore. Per la sua Roma, Giorgio Carpi avrebbe fatto di tutto.
La coreografia è una tra le più belle della Curva Sud. Semplice e unica, allo stesso tempo. "Figli di Roma, capitani e bandiere. Questo il mio vanto che non potrai mai avere" recita lo striscione ai piedi del settore. Gli stendardi rappresentano sedici volti in tutto: da Francesco Totti a Daniele De Rossi, da Agostino Di Bartolomei a Bruno Conti, passando per Amedeo Amedei, "il fornaretto", Giacomo Losi, "core de roma", Giancarlo De Sisti e Giuliano Taccola, Francesco Rocca e Giuseppe Giannini. Poi i protagonisti di Campo Testaccio: Masetti "ch'è primo portiere", De Micheli e Bernardini "che dà scòla all'argentini", poi Ferraris "bravo nazionale e capitano" e Volk, "un mago pe segnà". Infine c'è anche Giorgio Carpi, forse il meno conosciuto dei tanti idoli della storia giallorossa.
Giorgio Carpi, dal Roman alla Roma
Centrocampista, nato a Verona nel novembre del 1909. Figlio di uno dei fondatori della Roma, che morì prima della fusione, in un incidente automobilistico. Famiglia altolocata e buona istruzione, la sua carriera la svolge tutta nella capitale: nel Roman fino al 1927, quando poi venne fondata la squadra giallorossa. Carpi era un mediano destro e nella neonata Roma gioca col contagocce: appena 5 presenze la prima stagione, altrettante nella successiva. Che sia panchinaro o meno, al centrocampista veronese spetta uno stipendio. Ma lui rifiuta, niente paga, niente contratto, solo i rimborsi spesa per le partite e l'onore di vestire la maglia della Roma.
Così Carpi fa breccia nel cuore dei tifosi giallorossi ma soprattutto negli allenatori che si avvicendano sulla panchina romanista. Certo, non è tra i centrocampisti più forti della Serie A, ma lo spirito con cui entra in campo e con il quale si allena lo fanno diventare un modello per tutti gli altri compagni. In nove anni non diventerà mai titolare, ma quel forestiero che veniva dal nord a Roma ha trovato la sua seconda casa. Per i romani diventa il "Signorino", per il modo elegante in cui vestiva e per la brillantina con cui si pettinava. "Carpi, il magnifico secondo sinistro, e capitano delle riserve, ha un giuoco brillantissimo; egli si prodiga in modo veramente ammirevole, egli, l'osiamo sperare, sarà l'animatore della prima linea, l'uomo capace di penetrare tra la ferrea difesa avversaria" scriveva il giornale L'impero, nel novembre del 1927.
La trafila da calciatore a dirigente
Smette di giocare nel '36, ma per la Roma sarebbe stato tutto: socio emerito, segretario del comitato esecutivo, Direttore Sportivo negli anni 50 e traduttore Jesse Carver, allenatore inglese della Roma tra il '53 e il '55. Ma Giorgio Carpi della sua Roma sarà anche allenatore, in occasione del doppio incontro con il Vojvodina, nell'estate del 1955. Una carriera lunga, felice, con un solo rimpianto: quello di non aver mai segnato un gol in Serie A con la maglia giallorossa: "Ci andai molto vicino contro la Juventus, ma Combi, con un balzo, mi privò di questa gioia quando pensavo di avercela fatta".
"Per papà la Roma era tutto - ha raccontato il figlio, Andrea Carpi, a LaRoma24 - era la squadra voluta anche dal padre che aveva lavorato sodo al progetto e lui ne diventa un giocatore. Il padre che muore qualche mese prima della fondazione della società e la madre, già separata dal padre, era andata a vivere in Brasile. Ha solo diciotto anni… e la Roma diventa per lui un riferimento fortissimo, è la sua famiglia".
Preciso, innamorato, presente, un vero e proprio custode della sua Roma. La squadra per cui non ha mai segnato e con la quale non ha mai alzato al cielo niente. La squadra per cui, forse, ha vinto molto di più.
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