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Gianluca Vialli, una rovesciata nel cielo

La straordinaria carriera di Vialli, scomparso oggi, è di più di una semplice traiettoria tra Cremonese, Sampdoria, Juventus e Chelsea.  

Gianluca Vialli ha affrontato la vita come era solito giocare una partita di calcio: lottando fino all'ultimo secondo, prolungando, se possibile, l'agonia ai tempi supplementari o ai calci di rigore.

Se analizziamo le tappe fondamentali della sua carriera, è sempre stato così: il 20 maggio del 1992 a Wembley nella finale di Coppa dei Campioni che la Sampdoria perse ai supplementari contro il Barcellona, il 3 luglio del 1990 a Napoli nella semifinale del Campionato del Mondo persa ai rigori dall'Italia contro l'Argentina, il 22 maggio del 1996 nella finale all'Olimpico che la Juventus vinse ai rigori sull'Ajax e ancora a Wembley l'11 luglio del 2021 nella vittoriosa finale azzurra contro l'Inghilterra ai Campionati Europei. Quattro tappe vissute con ruoli e maglie diverse, da giocatore di Sampdoria, Juventus e Nazionale e da dirigente di quest'ultima. In ogni occasione sempre da leader e capo branco perché Vialli aveva il pregio di coinvolgere il gruppo e di farsi seguire.

Anche il tumore al pancreas, uno dei più aggressivi e implacabili, è stato affrontato da Vialli come se davanti avesse avuto il Barcellona di Cruijff e Guardiola, prolungando la sopravvivenza ben oltre le prime drammatiche previsioni. Questa sua lotta alla malattia l'ha reso un esempio per tanti e gli rende il giusto onore per le enormi qualità umane che Gianluca ha sempre dimostrato nel corso della sua vita. Una volta Marcello Lippi, che oltre che esserne stato allenatore alla Juventus era anche suo amico, disse che Vialli era così intelligente che nella vita avrebbe potuto eccellere in qualsiasi attività. L'ex commissario tecnico della nazionale pronunciò queste parole nel 1998, dopo la prima trionfale esperienza da allenatore di Vialli al Chelsea, guidato alla conquista della Coppa delle Coppe e della FA CUP. A dimostrazione della veridicità delle parole di Lippi, Gianluca smise quasi subito di allenare e si trasformò in uno degli opinionisti più ascoltati e ricercati tra Italia e Regno Unito.

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Quando Gianni Brera usò Leopardi per descrivere un dribbling di Pelé - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Per ricordare il Re del Calcio, Pelé, prendiamo in prestito le parole di Gianni Brera che durante la finale di Coppa Intercontinentale del 1962, tra Benfica e Santos, usò i versi di Leopardi per descrivere il suo dribbling. 

Ma il ricordo che rimarrà indelebile nei tifosi è quello del Vialli calciatore e dei suoi anni d'oro alla Sampdoria, dove arrivò giovanissimo dopo aver fatto intravedere mirabilie con la maglia della Cremonese in serie B. Era l'estate del 1984 quando il presidente dei blucerchiati Enrico Mantovani decise di portarlo alla Sampdoria, strappandolo addirittura alla Juventus di Boniperti che, in quegli anni, aveva una sorta di ius primae noctis con i giovani di alcune società. Mantovani, però, non aveva paura della Juventus e aveva deciso di comprare la meglio gioventù del calcio italiano per vincere e rimanere il più a lungo in vetta. Per mettere in atto il suo piano, il presidente della Samp si affidò al direttore sportivo Paolo Borea, un grandissimo dirigente ingiustamente dimenticato, che nel giro di poco tempo individuò sul mercato i migliori talenti nazionali. Non a caso Toninho Cerezo anni dopo disse a Borea: "Paolo, sei il miglior direttore sportivo del mondo". Mantovani fece poi capire a Borea come i soldi non fossero un problema e così il dirigente portò a Genova: Mancini, Vialli, Vierchowod, Pagliuca, Pari, Lombardo, Salsano, Mannini e tanti altri. Vialli, insieme a Mancini, era la stella di quella squadra che la saggezza di Boskov rese grandissima, portandola allo scudetto nel 1991, ad una doppia finale di Coppa delle Coppe, vincendone una, e alla finalissima di Coppa dei Campioni persa contro il Barcellona e a tre Coppe Italia.

Fu proprio quell'amarissima sconfitta che convinse Vialli a lasciare Genova, dopo che per otto anni la Juventus e il Milan avevano provato invano ad acquistarlo, ricevendo sempre dei secchi no da Mantovani e dallo stesso Vialli che col presidente e col suo fratello Mancini avevano stretto un patto d'onore ma soprattutto d'amore. Ormai però il massimo era stato raggiunto e dopo la finale di Wembley sarebbe iniziato solo un lento declino al quale Vialli non voleva assistere. Non fu un tradimento ma solo la voglia di una nuova sfida. In più, il suo trasferimento portò giocatori e denaro sonante nelle tasche doriane che iniziavano a essere bucate. I cartellini di quattro giocatori (Bertarelli, Corini, Serena e Zanini) e un forte conguaglio economico, valutato 40 miliardi, resero la sua cessione la più costosa del calcio italiano fino a quel momento. Dopo due stagioni non brillanti (nonostante una Coppa UEFA) per colpa degli infortuni, della scarsa intesa con Baggio e forse con l'allenatore Trapattoni, Vialli chiese il trasferimento. Fu il nuovo allenatore Marcello Lippi a convincerlo a rimanere, mettendolo al centro del progetto e dell'attacco nel trio con Del Piero e Ravanelli e consegnandogli la fascia di capitano. Era una Juventus granitica e muscolare dove Vialli riuscì a esaltarsi e a diventarne leader. Arrivò subito uno scudetto nel 1995 e la tanto agognata Coppa dei Campioni la stagione seguente. Anche dopo questa finale, anche se vittoriosa, Vialli decise di partire per una nuova avventura. Sempre attratto dal calcio inglese, disse sì al Chelsea forse perché gli ricordava gli inizi alla Sampdoria. I londinesi, all'epoca, non erano la corazzata attuale ma stavano pensando in grande grazie a dei pesanti investimenti e, come il Doria degli anni '80, volevano sovvertire la leadership del loro campionato. Alla prima stagione in terra inglese, nel 1997, arrivò subito una FA CUP (primo trofeo per il club dopo 26 anni). Ma fu nella stagione successiva che Vialli diede il meglio di sé nell'inaspettato doppio ruolo di giocatore-allenatore. All'inizio della stagione 1997/98 il tecnico dei blues Ruud Gullit si dimise per contrasti con la società e con la squadra (pare con lo stesso Vialli). La dirigenza decise allora di affidare, proprio per le sue doti di leadership, la guida a Gianluca che guidò i suoi ad un'altra FA CUP e alla Coppe delle Coppe. Quella che sembrava una brillante carriera da allenatore si bloccò pochi anni dopo per volere dello stesso Vialli che si era stufato di una vita da giramondo e si stabilì a Londra con la famiglia, diventando, come detto prima, un popolare commentatore televisivo.

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L’intreccio tra Storia, storia personale e storie mondiali - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

I Mondiali sono appena finiti ma il libro di Fabio Licari ci fa ripiombare nell'atmosfera della rassegna iridata, definita come "un cortocircuito di emozioni, ricordi personali, fatti storici ed episodi celati nelle pieghe della storia". La recensione, per Il Catenaccio, a firma di Marco Fontanelli.

Un capitolo a parte merita la carriera in azzurro, unico rimpianto della sua carriera. Troppo giovane nel fallimentare mondiale in Messico del 1986, dove non giocò mai, Vialli sprecò la sua occasione a Italia '90, dove era annunciato come la stella di una Nazionale data come favoritissima alla vigilia. Un infortunio prima del Mondiale condizionò però il suo stato di forma e dopo le prime due partite il suo posto fu preso da Totò Schillaci che divenne il padrone indiscusso e inaspettato di quelle "notti magiche". Ballò una sola estate Schillaci ma in pista c'era posto solo per lui nell'estate del 1990 e Vialli fu confinato in panchina da Azeglio Vicini, quello che era stato il suo mentore nell'under 21, dalla terza partita fino alla semifinali, quando l'allenatore romagnolo provò a riaffidarsi al suo centravanti per battere l'Argentina. Sappiamo tutti come andò a finire in una partita dove le scelte del nostro allenatore rilette ora appaiono discutibili. Soprattutto quella di Roberto Baggio in panchina.

Dopo Italia '90 arrivò Arrigo Sacchi sulla panchina azzurra ma i due non si amavano e così si concluse l'esperienza in Nazionale di Gianluca. Ma Vialli non seppe resistere al richiamo della Nazionale quando il suo amico Mancini, alla guida degli azzurri, decise di riscostruire un pezzo della vecchia Sampdoria chiamandolo nello staff insieme ad "Attila" Lombardo e Salsano. Vialli per quella nazionale fu qualcosa di più di un semplice dirigente accompagnatore. Si trasformò nel ruolo che aveva sempre amato e nel quale aveva sempre reso al massimo. Quel capo branco citato in precedenza. La guida del gruppo, il compagno più forte, anche se malato, a cui affidarsi e con cui confidarsi.

Vialli nella sua nuova avventura, da migliore interprete della rovesciata nella storia del calcio italiano, segue a pochi giorni di distanza il miglior rappresentante di questo gesto della storia, Pelé. Nel loro viaggio i due campioni avranno molte cose da raccontarsi.

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