Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo
Menu
Post Image

Da Brindisi e Buenos Aires, passando per Napoli. Il viaggio di Gianni Di Marzio

La gamba sacrificata su un campo di periferia, i sogni che si spostano sulla panchina e poi arrivano fino a Buenos Aires. L'avventura di Gianni Di Marzio è stata lunga. E felice.

E se c'è una ragione per tutto, allora uno come Gianni Di Marzio se ne poteva andare solo in una città come Padova. Perché in nessun'altra fetta di terra ci si è tanto sforzati di alzare lo sguardo per liberare il cielo dalla scatola di cartapesta nella quale era imprigionato.

Sfere perfette che, spogliate da una lente, improvvisamente si scoprono vulnerabili, stelle fisse che soffrono la banalità del tempo e astri nuovi che demoliscono l'affresco di un cosmo immobile promosso dal clero di Roma e battezzato nel mare Egeo.

I suoi, di astri nascenti, Gianni li cercava di giorno e di notte in ogni angolo del globo: tra le colline di Alba dove la nebbia entra nei grappoli d'uva, in una favela argentina, come in un'isola orgogliosa che resiste in mezzo all'Atlantico; umanissime gemme ancora grezze che però, con il primo bagliore, sono in grado di cancellare ombre di giganti – o presunti tali – del calcio.

 Dal campo alla panchina

Il calcio, sì, che a Gianni ha tolto tantissimo e dato ancora di più. La Natura, sciagurata e cattiva, ci mette del suo nel romanzo della sua vita: gli dona talento ma muscoli poco elastici che soffrono le sollecitazioni come una Ferrari su una sgangherata provinciale.

Nel 1964, in un campo di periferia, sacrifica una gamba: insieme al ginocchio vanno in frantumi anche i sogni di professionismo.

Fa onore al suo cognome Gianni, non si arrende, sposta il baricentro del suo sogno dal campo alla panchina: Internapoli, Nocerina, Juve Stabia in serie D, poi il salto in B con il Brindisi dove il destino sembra non accontentarsi.

Il 13 dicembre 1973 dieci anni esatti dopo la faccia nella polvere, mentre in Puglia guida una squadra quasi perfetta, prova a prendersi il bene più prezioso nel modo più tragico e sul teatro più banale: la Mini Minor perde aderenza sul ghiaccio dell'autostrada all'altezza dei caselli di Pompei e Angri.

Gianni si butta con il corpo a protezione della moglie che aspetta il primogenito. Si salvano per miracolo e, per la stessa grazia, prima passa una macchina che li soccorre, poi la mano di un chirurgo vicentino gli ricostruisce la faccia ridotta a brandelli.

La degenza lo allontana da Brindisi in uno degli esoneri più disgustosi della storia del calcio. È Catanzaro a bussare alla sua porta e lui ripaga come meglio non potrebbe. L'anno 0 finisce con uno spareggio per la A perso con l'Hellas Verona tra i fumi della Thyssenkrup che abbracciano Terni.

Gianni Di Marzio. Fonte foto: lacnews

 Gianni Di Marzio, il Napoli e Maradona

Quello dopo vince passando dalla porta principiale. Di lui si accorge il Napoli. Lo chiama, lo vuole. E lui risponde presente. Squadra da rifondare quella partenopea. Una soffiata gli dice di volare in Argentina dove c'è un ragazzo che pare un dono del Dio del pallone. Gianni, il cacciatore di stelle, insegue la chioma della cometa per 11164 km e trova la sua personalissima Betlemme in un quartiere a sud di Buenos Aires.

A Villa Fiorito c'è un 18enne che fatica a trattenere la rabbia per l'esclusione dal mondiale di casa. "Aveva un cespo di capelli, un culo larghissimo e le gambe corte", dirà Di Marzio in un'intervista. Dubita che possa essere quel fenomeno che dicono. Eppure gli bastano 10' e tre magie per capire che il figlio di Don Diego e Doña Dalma è una divinità "di quelle – aggiungeva Di Marzio – che nascono una volta sola". Gli fa firmare un foglio di carta negli spogliatoi. L'affare sembra fatto, ma da una parte Ferliano è scettico dall'altra le frontiere chiuse costringerebbero il ragazzotto a un parcheggio svizzero prima di arrivare in Italia.

Diego a Napoli ci arriverà comunque, 6 anni dopo che Di Marzio aveva visto la sua stella accendersi. Il resto è una storia d'amore infinita. Di Diego, il giorno della sua scomparsa, disse: "Non aveva un amico, è stato schiavo della sua grandezza e ha lasciato che le persone sbagliate entrassero nella sua vita". Un destino che forse era già scritto, proprio come quello delle stelle morte da milioni di anni che pure continuano a brillare in un firmamento dove, dal 22 gennaio, riposa anche lui. 

Sabatini e la Salernitana: l'ultima utopia di Walt...
Mercato, caro mi costi: da Kulusevski a Gosens
 

Commenti (0)

  • Non ci sono commenti. Inserisci un commento per primo.

Lascia un commento

Immagine Captcha

Accettando accederai a un servizio fornito da una terza parte esterna a https://il-catenaccio.it/

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...