L'escalation di nazionalismi vista agli Europei guardano all'ex Jugoslavia e non solo, soffiando su controversie e identità, confini e odio etnico. La seconda parte dell'analisi di Calcio e Rivoluzione.
L'edizione 2024 degli Europei, quando oramai siamo arrivati ai quarti di finale, hanno fatto emergere - come già sottolineato nella prima parte precedentemente pubblicata (che potete leggere qui) di questo articolo - un odio viscerale tra tifoserie (e non solo) che oltrepassa la rivalità calcistica per sfociare in una dimensione più propriamente politica e sociale, figlia di vecchi e nuovi nazionalismi mai sopiti e che negli ultimi anni stanno letteralmente esplodendo. L'ennesima riprova che, spesso e volentieri, il potere politico così come quello mediatico utilizzano il calcio, e le selezioni nazionali nello specifico, per costruire e rafforzare quel sentimento nazionale, fatto di identità ed appartenenza, capace di abbattere quelle che sono le distanze e differenze culturali ma non solo derivanti dal fatto che nazioni e confini, spesso e volentieri, sono stati disegnati a tavolino.
LE NAZIONI E LE NAZIONALI DELL'EX JUGOSLAVIA
Quello che ha rappresentato e provocato - a livello geopolitico - la disgregazione della Jugoslavia socialista e le conseguenti guerre civili per l'indipendenza delle varie Croazia, Serbia, Slovenia, Montenegro, Macedonia etc.etc. è qualcosa che ancora oggi possiamo - purtroppo - toccare con mano, con il dilagare di nazionalismi che hanno trovato - e continuano a trovare - nel mondo del calcio uno spazio, virtuale e non, dove potersi affrontare e regolare conti mai chiusi.
Come in un domino dove ogni tassello è collegato e in cui la geometria delle simpatie e delle alleanze è più che variabile, non meraviglia che nel corso della partita tra Serbia e Slovenia, dello scorso giovedì 20 giugno, entrambe le tifoserie abbiano cantato "il Kosovo è Serbia" o che la tifoseria albanese sulla stessa falsariga abbia esposto, in occasione della partita d'esordio con l'Italia, diverse bandiere nazionali con tanto di cartina geografica che includeva lo stesso Kosovo, o che il giornalista Kosovaro - Arlind Sadiku - abbia mimato con le mani l'aquila bicipite presente proprio sulla bandiera albanese in risposta ai cori razzisti e sciovinisti rivolti contro il Kosovo dalla tifoseria serba, durante la partita tra Serbia ed Inghilterra del 16 giugno.
Così come non stupisce che dagli spalti del Volksparkstadion di Amburgo in occasione della partita di mercoledì 19 giugno che vedeva contrapposte Croazia ed Albania, le due tifoserie abbiamo intonato congiuntamente il coro "uccidi il serbo, uccidi il serbo". Odio - ad ogni modo - corrisposto visto che la stessa tifoseria serba, in tutta risposta, nel corso della partita contro la Slovenia giocata il giorno seguente, ha intonato più volte il coro "uccidi, massacra, in modo che i Siptar (gli albanesi ndr) non esistano".
Per non parlare dell'attaccante dell'Albania, Mirlind Daku che - sempre al termine della partita contro la Croazia, ha aizzato - megafono alla mano, la tifoseria albanese con cori discriminatori contro la Macedonia del Nord, rimediando due giornate di squalifica. Macedonia dove il 20% della popolazione è - neanche a dirlo - albanese e i cui territori, sono - guarda un po' - rivendicati dai nazionalisti di Tirana.
LA QUESTIONE UCRAINA
Non potevano mancare, in un europeo del genere, riferimenti al conflitto che da oltre due anni sta interessando la Russia e l'Ucraina, e di riflesso tutta l'Europa, con le tifoserie delle nazionali che un tempo facevano parte dell'Unione Sovietica, in prima fila nel manifestare pubblicamente il proprio odio contro la Russia ed il suo presidente Putin. La tifoseria polacca, ad esempio, casualmente in corteo fuori l'ambasciata russa di Germania prima di giungere allo stadio che ospitava la partita di Lewandowski e compagni, ha scandito il coro "Rusia kurwa" (Russia put***a) mentre la tifoseria georgiana dagli spalti degli stadi dove è stata impegnata la nazionale vera e propria sorpresa di questa edizione degli Europei ha, più volte, scandito cori contro Putin e la Russia. A prendere le difese di quest'ultima, invece, la tifoseria serba che non ha perso occasione - dentro e fuori gli stadi tedeschi - di gridare al vento la propria simpatia per il presidente russo ed, evidentemente, per le sue politiche. Non a caso diversi ultras di squadre russe sono stati immortalati a seguire sugli spalti degli impianti che hanno ospitato la nazionale di Vlahovic e Milenkovic assieme agli omologhi serbi.
Chi, prevedibilmente, non ha perso occasione per utilizzare il palcoscenico offerto dalla competizione continentale in proprio favore è stata la nazionale ucraina. Il 17 giugno, alla Monaco Football Arena, dove è andata in scena la partita d'esordio tra la Romania e l'Ucraina, con la nazionale allenata da Iordanescu che ha vinto per 3a 0, i calciatori ucraini hanno fatto il loro ingresso in campo con indosso la bandiera nazionale per lanciare un chiaro ed inequivocabile messaggio politico ma soprattutto per raccogliere la solidarietà e l'appoggio dell'Europa (quando invece è assolutamente vietato mostrare quella Palestinese a dimostrazione del doppio standard/complicità di FIFA e UEFA con Israele e il genocidio in corso a Gaza).
Nella successiva partita, giocata il 21 giugno, dagli spalti del Merkur Spiel-Arena di Düsseldorf prima del calcio di inizio di Slovacchia - Ucraina era, invece, spuntata una bandiera (misteriosamente sparita mezz'ora dopo) giallo e azzurra con su scritto "ridateci le elezioni" in riferimento alle elezioni Presidenziali ucraine di quest'anno che sono state unilateralmente rinviate a causa della guerra e della legge marziale in vigore nel Paese e che - evidentemente - non trova il favore di una parte della popolazione ucraina.
A campeggiare a lungo sugli spalti dell'MHP Arena di Stoccarda - in occasione dell'ultima partita del girone tra Ucraina e Belgio dello scorso 26 giugno, invece, è stata la gigantografia di Nazarii "Grenka" Hryntsevich, ultras del Nyva Vinnytsia e nazifascista del battaglione Azov. Il giovane che, già minorenne, si era addestrato con i neonazisti del Battaglione Azov, con i quali era stato impegnato a Mariupol, prima di essere preso in ostaggio dai soldati russi nel 2022 e successivamente liberato, è morto lo scorso 6 maggio in guerra. Abbastanza surreale è stato il fatto che questa notizia sia stata riportata dai media tedeschi come "un momento toccante ed emozionante" senza alcuna menzione al fatto che il giovane fosse un neonazista dichiarato, tanto più se si pensa al passato della Germania e al fatto che da mesi in terra teutonica si parli, in maniera strumentale, di una nuova ondata di antisemitismo in riferimento alla solidarietà espressa da tanti e tante al popolo palestinese. Del resto è anche così che si applica il doppio standard europeo, che sa tanto di complicità: si vieta e si rende fuori legge ilmostrare qualsiasi simbolo in solidarietà con la Palestina ma si lascia indisturbati i neonazisti ed i sionisti di fare e mostrare ciò che vogliono…
IL CASO DELLA TURCHIA
La Turchia, calcisticamente parlando, ispira simpatia a tanti e tante forse per lo stesso fatto che fino a venticinque anni fa, era sicuramente una nazionale di seconda fascia che, come spesso accade, trovano il favore dei tanti sognatori che seguono il calcio. La nazionale di Chalanoglu&co, però, rappresenta anche una delle nazionali più interessanti da analizzare da un punto di vista più politico e sociale, evidenziando alcune delle principali contraddizioni dei giorni nostri. Stato fondamentalmente giovane, ha fatto del kemalismo uno dei pilastri su cui costruire la propria identità nazionale, sebbene lo stesso Recep Tayyip Erdoğan la pensi diversamente, come le sue politiche dimostrano. Un nazionalismo che, gioco forza, si basa sul non riconoscimento (che trascende facilmente in becero e violento odio) di minoranze etniche e religiose che da sempre vivono quei territori: il genocidio armeno, l'indipendentismo kurdo e la persecuzione degli alaviti sono solo alcune delle questioni scottanti che la Turchia si porta dietro sin dalla sua nascita e che vede una formazione politica paramilitare e fascista in particolare - i Lupi Grigi - da sempre protagonista, in negativo ovviamente.
E Merih Demiral, difensore con un passato in Italia al Sassuolo, Juventus ed Atalanta, ha fatto riferimento proprio ai Lupi Grigi con l'esultanza (ha riprodotto con le mani il saluto tipico dei Lupi Grigi) fatta in mondovisione dopo il secondo gol messo a segno contro l'Austria che ha regalato l'accesso ai quarti di finale degli Europei ai turchi. Esultanza che, proprio per questo, gli è costata due turni di squalifica…
Non è la prima volta, tra l'altro, che i calciatori della nazionale turca approfittino di vittorie ed esultanze per sostenere formazioni paramilitari ed esercito a fini chiaramente politico-nazionalistici: nel 2019, dopo la partita con la Francia valida per le qualificazioni ad Euro2020, gran parte della squadra esultò mimando il saluto militare per omaggiare l'esercito turco impegnato nell'operazione militare che stava conducendo in Siria del Nord contro la popolazione kurda.
Gesti e rimandi che risultano ancora più contraddittori se si pensa che tanto il governo di Erdoğan quanto la popolazione turca sia stata, anche durante questi europei, una delle poche tifoserie a manifestare la propria solidarietà con la Palestina. Sentimento che, alla luce di quanto appena scritto, si può intuire essere - almeno per quel che riguarda il Governo turco - abbastanza strumentale ed utile per un miglior posizionamento nello scacchiere geopolitico internazionale che ha poco a che vedere con un genuino supporto alla causa di autodeterminazione di un popolo.
LA DESTRA AVANZA MA NON COSÌ NETTAMENTE COME CI VOGLIONO FAR CREDERE
Tutti gli episodi appena raccontati - e ne abbiamo tralasciati altri, in primis quelli che hanno visto queste stesse tifoserie entrare in contatto tra di loro a suon di agguati e risse, ci restituiscono una fotografia della nostra società tutt'altro che entusiasmante ma che non deve né gettarci nello sconforto né tanto meno farci credere che sia tutto inutile o che non ci possa essere rimedio ad una situazione che ovviamente non va sottovalutata e a cui va posto rimedio.
Anche per questo diventa sempre più evidente la necessità innanzitutto di non lasciare ulteriore spazio a chi semina odio e violenza provando a riprendersi tutti gli spazi a disposizione, fuori e dentro gli stadi; partendo dalle strade dei nostri quartieri, dai luoghi di lavoro e di formazione ma anche da quelle curve degli stadi troppo spesso snobbate, provando a ricostruire un immaginario attorno al mondo del calcio che possa essere strumento per veicolare messaggi e idee totalmente diverse che parlino di solidarietà, accoglienza, antirazzismo, antifascismo e soprattutto anticapitalismo. Se gli stadi sono il fedele riflesso di quel che accade nella società "di fuori" e l'estrema destra non ha altra funzione se non quella di cane da guardia di un sistema che mira asfruttare e impoverire la maggioranza della popolazione, sta a chiunque tenga a cuore il benessere collettivo far saltare il banco e riprendersi tutto ciò che gli spetta, perché nessuno lo farà al suo posto. Che si tratti di calcio o di altro…
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