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Goggia, un bel tacer non fu mai scritto

A due mesi dalle Olimpiadi invernali di Pechino 2022, Sofia Goggia è tornata a parlare in un'intervista al Corriere della Sera uscita a Pasqua. Polemiche sulle sue frasi su gay e transgender 

È stata la polemica della domenica di Pasqua, mentre tanti italiani partivano per una domenica e un lunedì sotto il sole. Appena finita la stagione sciistica, a scaldare gli entusiasmi dei social ci ha pensato la nostra campionissima Sofia Goggia, reduce dall'impresa dell'argento alle Olimpiadi di Pechino 2022 a meno di un mese dal brutto infortunio al ginocchio.

Ma le imprese sportive, si sa, non sempre si accompagnano con l'arte della parola. E così, in un'intervista ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera si è lasciata andare ad alcune considerazioni su due temi complessi, che richiederebbero molto più tempo di qualche riga su un giornale. Sulla possibilità che atlete trangender possano partecipare alle competizioni al femminile, esprimeva i suoi dubbi per quanto i livelli ormonali possano influire sulle prestazioni fisiche. Interrogata sulla presenza di omosessuali nella sua disciplina, invece, si è lasciata andare a una frase lapidaria che, come si poteva immaginare, ha sollevato il solito vespaio di commenti: «Tra gli uomini direi di no. Devono gettarsi giù dalla Streif di Kitz».

Non serve sapere cosa sia lo Streif (una celebre pista di discesa libera in Austria) per capire che il tono della risposta intendesse più o meno: gli uomini gay non sono in grado di sostenere una discesa così dura e faticosa. Primo paradosso: ma allora Goggia stessa, che è donna, non è in grado di sostenere certe pendenze? Secondo paradosso: se tra le atlete esistono omosessuali, dovremmo per questo pensare che lo sia anche la vice-campionessa olimpica? Di paradosso in paradosso, si potrebbe smontare ogni parola di un discorso che, essenzialmente, è solamente un insieme di luoghi comuni.

 Rompere i tabù

Presi dalla noia del pranzo pasquale, tra un calice e una pastiera, in tantissimi hanno infiammato i social network dei loro commenti, come sempre divisi in due schieramenti l'un contro l'altro armati; persino molti esponenti politici (come Ivan Scalfarotto a Mario Adinolfi) sono scesi in campo per dire la loro. Anna Paola Concia, ex deputata da sempre attiva nel campo dei diritti civili, ha ricordato la sua laurea in scienze motorie, il suo lavoro di insegnante e allenatrice, per precisare che «l'omosessualità non condiziona in nessun modo la prestazione di un'atleta». Un'ovvietà, ma non per tutti: se l'omosessualità non fosse ancora un tabù, non sarebbe necessario nemmeno discutere degli orientamenti sessuali degli atleti. E non ci sarebbe ancora bisogno di porre certe domande.

Sulla partecipazione per atleti transgender, invece, la questione appare un po' più complessa, dal momento che riguarda la scienza e il diritto. In questo campo, il CIO ha recentemente emanato un documento in dieci punti sull'Equità, l'inclusione e la non discriminazione, entrato in vigore proprio dopo le Olimpiadi invernali. In sostanza, viene eliminato il parametro chimico del livello di testosterone, che aveva portato al "caso" Caster Semenya, atleta sudafricana che negli anni aveva spesso registrato livelli superiori ai limiti. In questa nuova spinta all'inclusione, saranno le singole federazioni a regolamentare l'accesso alle competizioni femminili di atlete che hanno affrontato un percorso di transizione. Un vuoto normativo, su cui solamente esperti di scienza e di leggi dovrebbero essere chiamati a esprimersi.

Come spesso accade, quindi, dobbiamo chiederci se abbia senso pretendere che uno sportivo dia giudizi su argomenti che riguardano la società, l'equità e la giustizia. Sofia Goggia è un fenomeno dello sci ed esempio di sport, non certo un'esperta di diritti civili, anche se studia scienze politiche alla LUISS. Non si può pretendere che abbia le competenze per dare risposte su pandemie, guerre, diritti o altro. Come sosteneva il campione NBA Charles Barkley, gli sportivi non sono role model, modelli di comportamento anche fuori dal campo di gioco.

Charles Barkley. Fonte foto: Ilovenba.it

Modelli sportivi o sociali? 

Sommersa dalle critiche, la sciatrice si è prontamente scusata per le sue parole, precisando che non avrebbe voluto offendere nessuno. La gaffe potrebbe essere stata risolta, fino alla prossima polemica. Restano irrisolti, però, i luoghi comuni contenuti nelle sue frasi: quelli che si sentono negli spogliatoi, nei bar, nei social. Se un'atleta non è per forza role model, non significa che debba per forza dire banalità: lo sport ha una parte fondamentale della nostra società; i ragazzi ascoltano e imitano i loro idoli, prima ancora degli esperti del diritto. Il ruolo sociale dello sportivo è un dato di fatto, e le "battute infelici" non aiutano a migliorare la società.

Non ha senso chiedere agli atleti e alle atlete di risolvere i problemi del mondo: non è il loro compito. Un po' di prudenza nelle parole, però, è il giusto compenso per l'enorme attenzione che i tifosi e gli appassionati concedono loro ogni giorno. E se viene chiesto un parere a una persona che ha solo 20 o 30 anni su grandi questioni, su cui non possono aver piena competenza, non è necessario dare un giudizio. Meglio soprassedere o, al limite, tacere.

Andrea Sciretti

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