Il calcio dilettantistico nasconde storie che meritano di essere scoperte e raccontate. Come quella di Mister Bonfiglio, che al Paperino San Giorgio, in provincia di Prato, porta avanti i suoi progetti di "calcio sociale".
"Aldilà del gesto tecnico, del passaggio, del tiro corretto, secondo me è importante trasmettere un messaggio educativo, diverso". Andrea Bonfiglio ha 37 anni, da quando ne ha 22 allena giovani calciatori, bambini e ragazzini. Oggi è al Paperino San Giorgio, provincia di Prato, ma è passato per Jolly Montemurlo, Vaianese I. Vernio, C.F. 2001, Prato Nord, Poggio a Caiano 1909 e Seano 1948. In tasca un diploma alla Juventus University di Vinovo, in bacheca, da qualche settimana, il Premio Emiliano Mondonico, il riconoscimento che Sport e Salute del Coni ha creato per valorizzare tecnici, dirigenti, operatori del mondo sportivo dilettantistico, in grado di promuovere il valore sociale dello sport. Come motivazione della giuria, per Mister Bonfiglio, si legge "promotore di iniziative contro il razzismo e a favore dell'inclusione".
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Nella periferia Nord Ovest di Roma c'è una squadra, anzi una famiglia, che usa il calcio come strumento di integrazione e inclusione. Questa è la storia del Pineto United, raccontata per noi dalle parole del suo allenatore, Pietro Lucari.
"È stato un riconoscimento inaspettato – ci racconta – è stata una bella sorpresa, che ripaga di tanti sacrifici fatti, di un percorso da allenatore che dura da 15 anni. È stata una bella pacca sulla spalla diciamo, un premio per qualcosa che facciamo per passione, ritagliando tempo agli affetti, alla famiglia, agli amici". Un premio per la sua capacità di unire il calcio e la memoria, l'inclusione, il rispetto. "Ogni anno, insieme ai miei ragazzi, ai loro genitori e agli altri allenatori, in occasione della Giornata della Memoria andiamo in visita al Museo della Deportazione e della Resistenza di Figline di Prato. Un'iniziativa che ha sempre grande riscontro perché è insolito legarla al mondo del calcio. Oppure la visita, di qualche anno fa, fatta in Germania, al campo di concentramento di Dachau, in occasione di un torneo con gli Esordienti. Fu una giornata particolare, qualcosa di forte, di toccante, che ancora oggi, a distanza di anni, genitori e ragazzi ricordano".
Ma Mister Bonfiglio non si ferma qui. Tra le sue iniziative ci sono anche il progetto "Social Board", durante il quale ha allenato una squadra composta di minori appartenenti a un campo nomadi locale, oppure "Un gol non ha colore" e "Un calcio al bullismo". "Questa è l'idea più recente. Cerchiamo attraverso il calcio di evidenziare i gesti umani positivi, virtuosi, quelli verso un compagno, verso un avversario, verso l'arbitro. Atteggiamenti che servono come rafforzativi nella vita, nella crescita, nell'educazione, perché questi ragazzi non è detto che arrivino ad essere professionisti del calcio, magari diventeranno un altro tipo di lavoratori, ma saranno uomini, cittadini".
Mister Bonfiglio lo chiama "calcio sociale", un modo diverso di vivere la partita, l'allenamento, lo sport. Un modo diverso di insegnare e di trasmettere valori, che porta anche bei frutti. "Lo vedo nella partecipazione dei ragazzi e delle famiglie, ma anche in campo – ha raccontato in questa intervista a InToscana - Faccio l'esempio di uno dei miei ragazzi che ha ricevuto un cartellino verde durante la partita, una sorta di attestazione di fair play, poiché ha segnalato all'arbitro che aveva fischiato in suo favore che in realtà quel calcio d'angolo non c'era dimostrando grande correttezza e onestà". Un ritorno umano che vale più di qualsiasi premio, di qualsiasi riconoscimento. Una visione che dal mondo dilettantistico dovrebbe irradiarsi in ogni categoria, in ogni campo di allenamento, in ogni stadio. Per un calcio diverso e per una società nuova.
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