Riflessione sulla trasformazione del calcio, tra Marx ed Eraclito, mutamento e tradizione.
Panta rei: espressione greca che in italiano può essere tradotta con le parole "tutto si muove, tutto è in movimento, tutto scorre, tutto muta". Il primo a pronunciarla pare sia stato il filosofo Eraclito, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. a Efeso, poi però è stata ripresa successivamente da altri filosofi, come nel caso di Platone nell'opera Cratilo.
Con questa espressione, il cui utilizzo è spesso inflazionato, arriva forte e chiaro il messaggio che tutto ciò che vediamo ora, tra un istante lo vedremo in modo diverso, o addirittura potremmo non vederlo. L'attimo appena trascorso non sarà mai uguale a quello successivo. Tutti i processi, che siano naturali o artificiali, seguono un progressivo e inarrestabile mutamento, positivo o negativo, più o meno evidente. Eraclito, per esempio, diceva che «non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume», perché l'acqua scorre, si muove e quindi muta continuamente.
Dove voglio arrivare con questa premessa?
Vorrei fare con voi una riflessione, condivisibile o meno naturalmente. Una riflessione tra il concetto di panta rei, e quindi di mutamento, e il calcio. Vorrei quindi traslare il pensiero eracliteo nel mondo calcistico. Questo sport ha ormai raggiunto ogni parte del globo terracqueo, anche la più remota, permeando la quotidianità di milioni e milioni di persone. Coniando la definizione di Federico Casotti, utilizzata nel suo libro Non è solo un gioco, il calcio è diventato un vero e proprio «fatto sociale totale», che porta alla sublimazione della definizione di semplice sport; infatti, questo si carica di un significato sociale, culturale, storico, politico, rituale, tradizionale. Come tutte le cose di questo mondo, anche il calcio è soggetto a mutamento: sicuramente il football di oggi non è lo stesso di quello degli albori nella seconda metà del XIX secolo, o del dopoguerra o di fine XX secolo. Anno dopo anno, questo sport ha subito dei mutamenti, per esempio nelle infrastrutture, nei servizi, nel vestiario, nelle regole, nei formati di coppe e campionati. Tutto questo, insomma, ha seguito la logica del panta rei, del mutamento. Ci sono però cose che sono rimaste stabili, ferme, salde e immutate: mi riferisco alla passione per questo sport, al senso di appartenenza a una squadra e a dei colori, all'emozione per un gol fatto e alla disperazione per uno subito, alla trepidante attesa di vedere la propria squadra del cuore scendere in campo, al senso di libertà dato da un pallone che scorre su un tappeto verde, al valore aggregante creato da una partita, all'imprescindibilità della figura del tifoso. Come potete notare ho usato la parola "cose", ma in realtà non hanno alcuna caratteristica materiale bensì soltanto immateriali: si parla infatti di valori, emozioni, sensazioni. Ho fatto poi riferimento al tifoso, una figura centrale e fondamentale per il calcio, e questo lo abbiamo notato con gli stadi vuoti durante il periodo della pandemia da Covid-19: il tifoso ama incondizionatamente, tifa nella buona e nella cattiva sorte, compie sacrifici economici e dedica gran parte del proprio tempo alla propria squadra senza chiedere nulla in cambio se non passione e amore da parte del proprio club e dei giocatori per i colori della maglia indossata.
Oggi, tuttavia, viviamo in un'epoca storica dove la logica del guadagno sembra aver fatto definitivamente breccia nel mondo del calcio a tal punto da aver quasi completamente eclissato qualsiasi sentimentalismo. Lungi da me voler cadere in forme di qualunquismo, però credo che, rimanendo sempre in ambito filosofico, potremmo tranquillamente utilizzare il termine di matrice marxiana "mercificazione", in questo caso "mercificazione del calcio".
Ormai il calcio è diventato a tutti gli effetti un vero e proprio business e i vari club delle aziende a tutti gli effetti. Questo rischia di determinare una pericolosa deriva di quello che è, a oggi, probabilmente lo sport più diffuso e più bello al mondo.
Sembra ormai un dolce e lontano ricordo il senso di appartenenza di un giocatore nei confronti di una squadra e di riconoscenza verso i tifosi. Sembra ormai svanito il tempo delle "bandiere", e chissà quando e se ritornerà.
Icilio Zuliani, il calciatore partigiano della Fiumana - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo
Per un giocatore, è ormai sempre più importante la ricerca di un contratto più generoso, a cifre spropositate espesso indecorose, piuttosto che il raggiungimento di traguardi sportivi ambiziosi o la conquista dell'amore dei propri tifosi. Tanto per fare un esempio, i «petrodollari» – termine coniato nel 1973 da Ibrahim Oweiss, professore di Economia alla Georgetown University – degli arabi in questo preciso momento storico stanno progressivamente monopolizzando il mondo del calcio, poiché sembrano essere in grado di acquistare tutto e tutti. Ultimamente, infatti, sta accadendo che un numero sempre maggiore di grandi giocatori cede alle offerte folli di alcuni club arabi, nonostante ciò comporti abbandonare i principali palcoscenici del calcio mondiale. Ma è veramente questo il calcio del futuro che vogliamo, dove gli acquisti scriteriati superano qualsiasi forma di progettualità e ambizione, dove passione e amore devono cedere alle logiche del denaro?
Sembrano ormai messe in secondo piano le esigenze dei tifosi, poiché quest'ultimi appaiono sempre più dei clienti dei rispettivi club piuttosto che, appunto, tifosi. Le priorità di quelli che potrei definire "club-azienda" e delle varie emittenti televisive prevalgano ormai su quelle dei tifosi: tanto per fare un esempio, il cosiddetto "campionato spezzatino", con partite spalmate lungo l'arco della settimana, programmate a orari improponibili e con una cadenza incessante, porta a una "indigestione di calcio" che, di conseguenza, causa un senso di nausea e porta molti tifosi ad allontanarsi da questo sport o a viverlo con un certo distacco emotivo.
Tutto evolve, tutto muta, ma questa "dittatura del denaro" nel calcio rischia di distruggere la vera essenza di questo sport che, forse più di tutti gli altri, incarna i valori della condivisione, della semplicità e dell'inclusione. Spesso, tutti coloro che orbitano nel mondo del calcio dovrebbero ricordarsi che questo sport nasce come forma di svago popolare, e non come passatempo esclusivo per le classi elitarie. Questo non significa che il calcio non debba evolversi, ma che è necessario non oltrepassare il limite trasformando tale sport in semplice business, poiché si rischierebbe di farlo cadere in una seria crisi. Non troppo tempo fa, un certo Maurizio Sarri, attualmente allenatore della Lazio, conosciuto per la sua schiettezza comunicativa, in un'intervista si è espresso proprio sul rischio della trasformazione di questo sport in un mero business, poiché nel giro di qualche anno potrebbe non essere più interessante per la gente a fronte dell'arrivo di altre forme di intrattenimento più interessanti da vedere. Il mutamento deve, perciò, tenere di conto di quelli che sono i punti cardini su cui ruota questo sport, come: la passione, l'inclusività, l'accessibilità, la tradizione, il senso di appartenenza, la condivisione e il ruolo centrale del tifoso.
Chiudo questa riflessione personale riprendendo l'espressione eraclitea, panta rei (tutto muta), per presentare a voi lettori una serie di domande: come credete che sia cambiato il calcio dalla sua nascita fino a oggi? Credete che il cambiamento che questo sport sta subendo oggi sia positivo o negativo? Come vi immaginate il calcio nel prossimo futuro?
Marco Fontanelli
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