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L'onda lunga spagnola

La Spagna conquista gli Europei e ci ricorda una cosa: si può vincere divertendo e divertendosi.  

Domenica trionfale per la Spagna che conquista prima Wimbledon con Alcaraz e poi Berlino con il sorriso contagioso di Lamine Yamal. Il presente dello sport iberico è al tempo stesso passato e futuro col tennista (con 4 slam esposti nel salotto di casa ma solo ventunenne) e proiettato nella fantascienza con la nuova stella del Barcellona. 

Un sorriso, quello del bambino-campione, da cui traspare la voglia di giocare per divertirsi, a differenza dei rivali inglesi che sul campo hanno la faccia di chi se la tira sempre un po' troppo. Se c'è un messaggio che lancia la Spagna dopo questo Europeo che ha dominato, vincendo sette partite su sette, e conquistato con pieno merito è proprio questo: si può vincere divertendosi perché il calcio è un gioco. In barba alle valanghe di dati, statistiche e discussioni da cui siamo inondati nei pre e post partita per spiegarci il calcio manco fossero gli equilibri dell'Europa dopo il Congresso di Vienna. In un campionato Europeo brutto, molto brutto e spesso noioso per l'uso e soprattutto l'abuso da parte della maggior parte delle squadre di un possesso palla lungo e lentissimo, la Spagna ha rappresentato l'arrivo della televisione a colori dopo il regno del bianco e nero. Giocate di classe ad alta velocità, grazie alla qualità degli interpreti e alla bravura, riconosciamoglielo, dell'allenatore. Luis de La Fuente è la classica figura di tecnico cresciuto in Federazione. Una volta anche in Italia funzionava così: gli allenatori della Nazionale, i cosiddetti selezionatori, si costruivano in casa. Valcareggi, Bearzot e Vicini conquistarono la panchina azzurra dopo una lunga trafila nelle formazioni giovanili della Nazionale. Non a caso con loro portammo a casa una serie di risultati positivi: un Mondiale (1982) e due quarti posti a Mondiali (1978) ed Europei (1980) con Bearzot, un Europeo (1968) e un secondo posto ai Mondiali (1970) con Valcareggi e un terzo posto ai Mondiali (1990) con Vicini.

Il buon de La Fuente si è guadagnato la guida delle Furie Rosse dopo una serie di vittorie con i più giovani (trionfo agli Europei di categoria: under 19 e under 21 e un argento Olimpico a Tokio). L'allenatore spagnolo ha saputo mischiare i ragazzini cresciuti con lui nelle varie under con la vecchia guardia. Il risultato è stato gradevolissimo e vincente. Mai si era vista una squadra mantenere per tutta la durata di una competizione la stessa condizione atletica, unita alla bellezza del gioco. Bellezza simile a un garofano rosso dell'Aragona che non è mai appassito nonostante il caldo opprimente di questa estate. Unica macchia la partita contro la Germania dove il terribile arbitro Taylor non ha visto un mani di Cucurella che avrebbe probabilmente cambiato le sorti dell'incontro e del torneo, ma di questo gli uomini di de La Fuente non hanno colpe.

E l'Inghilterra? Forse la finale è stata una delle partite giocate meglio dalla nazionale dei tre Leoni, ma la sensazione lasciata alla fine della partita è stata sempre la stessa: gli inglesi sembrano una macchina di Formula 1 che non riesce a scaricare in pista tutti i cavalli che ha nel motore. E' solo colpa, come molti sostengono, dell'allenatore? Certo, Southgate ha le sue responsabilità ma se gli inglesi da 58 anni non vincono nulla qualcosa vorrà pur dire. Nello stesso lunghissimo periodo di tempo gli spagnoli hanno vinto 1 Mondiale e 3 Europei (4 se si va a ritroso fino al 1964). Gli iberici godono ancora degli effetti dell'onda lunga del loro sport iniziata nell'agosto del 1992 con le Olimpiadi di Barcellona. Evento che i vertici dello sport spagnolo prepararono a puntino dotando il paese di strutture all'avanguardia gestite da tecnici di primo livello. La Spagna da quella data ha iniziato e continuato a vincere nei più svariati settori (atletica, tennis, basket e calcio) grazie a una vasta azione di reclutamento, gestendo al meglio anche il multiculturalismo. Lamine Yamal e Nico Williams, le due stelle della Spagna campione d'Europa, sono figli di questa politica. In Italia, invece, non riusciamo ancora a estirpare i buu razzisti di alcune curve e, fino a qualche tempo, nascevano discussioni sull'opportunità di naturalizzare un calciatore. E se i problemi del nostro calcio nascessero proprio da questa arretratezza culturale? La splendida nazionale multietnica di atletica leggera è lì a dimostrarci quale strada bisogna seguire. Così come la nuova stella del tennis femminile, l'indomabile Jasmine Paolini, toscanissima ma con mamma polacca e nonno ghanese. Abbiamo mandato il generale Vannacci in Europa ora non lamentiamoci se non manderemo la nazionale di calcio ai Mondiali.

di Giulio Giusti

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