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A noi che siamo cresciuti con Sergio

Un addio preparato da tempo e ugualmente inaspettato, quello di Milinkovic Savic alla Lazio. Eppure la sua carriera a Roma ha segnato un'epoca. 

Era la stagione 2015-2016. L'ultimo anno di Klose a Roma. Quello dei preliminari di Champions e dell'esonero di Pioli che portò sulla panchina biancoceleste Simone Inzaghi. Sergej doveva giocare per la Fiorentina. Era tutto fatto, bisognava solo limare gli accordi. Poi il dietrofront improvviso. Il sì alla Lazio, pronta a diventare la squadra più importante della sua carriera.

Nasce così la storia d'amore tra Milinkovic ed il popolo laziale. Destinata ad essere una delle più belle e sentite della storia del club capitolino. Una di quelle che ha colpito soprattutto le nuove generazioni post secondo scudetto. Un innamoramento reciproco che non si potrà scordare facilmente.

Ora, io quando Sergio venne a Roma avevo la bellezza di dieci anni ed andavo alle elementari. Più precisamente dovevo cominciare il quinto anno ovvero quello finale. Oggi ne ho diciotto e sto per iniziare l'ultimo anno delle superiori. Un enorme traversata insieme a lui. Il Sergente è arrivato quando ero bambino ed ora se ne va che sono diventato uomo.

Ricordo quando con mio padre guardavamo le sue prime partite. Era alto e robusto. "Un armadio" come si suol dire. Aveva già convinto almeno noi che guardavamo estasiati. Uno dei suoi primi goal lo fece in Europa League di testa. Da lì in poi ad ogni corner speravamo gliela servissero così perché era sicuramente uno dei migliori ad insaccarla in quel modo e ormai ci aveva lasciato un segno.

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AMARCORD. Wilson: "La Lazio del 74, divisa ma vincente grazie a Maestrelli" - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

"Provate a chiedere alla gente una formazione della Lazio rimasta nel cuore. Partiranno da Pulici, senza dubbio". C'è orgoglio e nostalgia nelle parole di Giuseppe Wilson, storico capitano della Lazio campione d'Italia nel 1974. Quasi 400 presenze con la maglia biancoceleste, con in mezzo una veloce esperienza nei New York Cosmos dove fino all'anno prima aveva giocato Pelè. Classe 1945, giocava da libero, divenne capitano per precisa volontà di Maestrelli. "A lui dobbiamo tutto, era la persona che ci sapeva ricompattare".

Poi gli anni avanzavano e diventava sempre più forte. Lo vedevi allo stadio fare quello che voleva con il pallone. Incantando il pubblico con le sue meravigliose giocate e quei goal da attaccante puro nonostante il suo ruolo fosse un altro. Man mano che le stagioni avanzavano ci accorgevamo di avere il centrocampista più forte del campionato italiano in squadra. E tutti lo volevano.

Il goal al derby, quelli contro la Juve (squadra che lo ha sempre bramato), le sue punizioni capolavoro dove insaccava la palla in rete e lo stadio cantava "E se tira Sergej è goal!" ricalcando un vecchio coro dedicato a Sinisa. Innumerevoli sono le emozioni che ci ha donato e per ognuna lo ringrazieremo sempre.

Otto anni meravigliosi. Tanti rumor di mercato, ogni singola estate. Come "esser con la testa in un'orrida fucina". "Ogni anno dite che vado via ma poi rimango sempre qua". Per amore della maglia e della sua gente. Per la città che lo ha cullato, Roma, amandolo incondizionatamente.

Sembra un testo troppo sdolcinato il mio. Sarà che a questo addio mi sono preparato spesso e queste parole le ho tenute dentro per troppo tempo.

Grazie di tutto Sergio. Per aver combattuto ed onorato la nostra maglia. Per essere stato il marcatore straniero più prolifico della nostra storia. Per aver sempre creduto in noi, ogni anno. Per averci portato, insieme a tutta la squadra, ancora una volta in Champions League. Per averci donato tutte quelle splendide emozioni.

Non è un addio, non lo sarà mai. È un caloroso arrivederci.

Io mi dico è stato meglio lasciarci
Che non esserci mai incontrati

(Giugno '73, Fabrizio De André)

Come ti soffio il grande slam
Quello che ci insegna Jakub Jankto
 

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