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Milan senza appello, supercoppa all’Inter

Un sonoro 0-3 sul cielo di Riyad consegna la Supercoppa italiana all'Inter di Inzaghi. Le ragioni di una finale senza storia e le domande del Milan dopo la sconfitta 

 Senza storia. Uno 0-3 che dice persino poco di una partita gestita in pieno controllo da parte dell'Inter. La cronaca ha detto che il sinistro di Dimarco al 10' ha siglato lo 0-1 competando un'azione palla a terra, da esterno a esterno, come si faceva una volta. Dice che il solito Dzeko, 37 anni nel giorno dell'avvenuta unificazione dell'Italia (17 marzo), ha insaccato il secondo pallone alle spalle di Tatarusanu al 21', dopo un lancio di 60 metri e un dribbling secco su Tonali. Nel secondo tempo, mentre Pioli provava a riacciuffare il risultato coi cambi, le azioni degne di nota sono state così poche che Lautaro Martinez non ha potuto non timbrare il suo cartellino col terzo gol. I tiri in porta del Milan, nel suo tentativo di rimonta? Tre, la metà degli avversari.

L'Inter vince così con merito il suo terzo trofeo nel giro di un anno, confermandosi la squadra migliore dal dopo lockdown in poi: mentre la Juve di Sarri vinceva l'ultimo scudetto dell'era Agnelli, l'Inter di Conte chiudeva al secondo posto in campionato e in Europa League. In mezzo ci sono stati il cambio in panchina, le cessioni del mercato e i grandi colpi alla Marotta, costretto a puntare sui parametri zero (ottime le prestazioni di Mkhitaryan e Calhanoglu) e cedere pezzi come Perisic, Hakimi, Lukaku. Una squadra costruita come istant team, capace di vincere subito, come dimostra l'età media di 27.4 anni, la più alta della serie A. Uscire sconfitti nella corsa allo scudetto dello scorso anno ha un po' sorpreso tifosi e commentatori, che vedevano i nerazzurri favoriti; le quattro sconfitte nelle prime otto giornate, con una difesa che si mostra ancora sorprendentemente fragile, avevano persino messo in crisi il progetto tecnico del "re di coppe" Simone Inzaghi.

Eppure, con qualche accorgimento nell'undici iniziale (soprattutto la scelta di Onana come portiere titolare), l'Inter ha cominciato a macinare punti e gioco; ha ripreso il campionato a gennaio con una buona condizione psico-fisica, andando a vincere con merito col Napoli e con i cugini milanisti. Difficile dire cosa accadrà di qui a giugno, soprattutto in un campionato guidato da una squadra finora impeccabile e con tante imperfette al suo seguito. Sullo sfondo, dopo il primo titolo stagionale, ci sarà ancora la Coppa Italia e il turno non proibitivo di Champions League con il Porto. Squadra imperfetta, sì, ma con ancora tutte le possibilità di competere ai livelli più alti.

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I silenzi e le solitudini di Giuliano Giuliani, il portiere di Maradona morto per AIDS - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Campione d'Italia nel 1990, una Coppa Uefa con Maradona, poi la malattia, la solitudine e infine la morte. La storia del portiere di Napoli e Verona rivive oggi grazie al libro "Giuliano Giuliani, più solo di un portiere" di Paolo Tomaselli. Ecco la sua intervista.

 La crisi del Milan: si è rotto il giocattolo?

Storpiando il famoso detto, "Se Atene festeggia, Sparta non ride". Difficile comprendere le ragioni di una gara senza appello per il Milan. Difesa imbucata al primo affondo interista; colpevolmente distratta in occasione di altri due gol (due lanci da lontano abbastanza facili da leggere). La gestione del pallone è stata molto faticosa, con Leao che tentava di giocare da solo e tirare da ogni posizione, Giroud senza palloni giocabili e gli altri due attaccanti schiacciati dalla fisicità degli avversari. Se poi è vero che le gare si vincono a centrocampo, allora la coppia Bennacer-Tonali si è trovata sempre in inferiorità rispetto alla linea a cinque dei nerazzurri. Se l'incerto Tatarusanu risulta essere uno dei meno peggio, poi, il quadro della débacle in terra araba è pressoché completo.

La coppa alzata dai nerazzurri nel cielo di Riyad chiude così i dieci giorni peggiori dell'era Pioli. La lampadina spenta improvvisamente all'87esimo di Milan-Roma, la figuraccia col Torino in Coppa Italia, il terribile primo tempo di Lecce-Milan: se tre indizi fanno una prova, a Casa Milan dev'esserci la sirena dell'allarme accesa. Non è possibile che la squadra che aveva ben figurato contro i giallorossi a San Siro sia smarrita solo per questioni fisiche: la differenza tra il prima e il dopo è troppo marcata e i giocatori gli stessi. Così come le partite sulle gambe, uguali agli avversari.

Cosa si è perso allora? Era il 21 agosto quando Sandro Tonali, dopo Atalanta-Milan, parlava di scarsa convinzione e della necessità di riprendere lo spirito che aveva animato la squadra negli anni precedenti. «Dobbiamo capire che questo è un altro campionato», denunciava con la limpidezza di un 22enne cresciuto in fretta. Che la stagione 2021/22 potesse irripetibile era una possibilità: il Milan aveva già i suoi limiti tecnici e di esperienza, difficili da colmare se si guarda prima al bilancio che alla rosa. Un certo rilassamento era inevitabile, anche se a oggi i rossoneri si trovano con un punto in meno in classifica rispetto all'anno scorso e statistiche simili (al giro di boa del campionato,

i gol fatti erano 40 e quelli subiti 22, rispettivamente 5 e due in meno di oggi), ma con una qualificazione agli ottavi di Champions League. Il progetto Maldini-Massara, guida italiana di una proprietà americana, non si può dire che sia fallito.

Lo stato di forma dei reduci dal mondiale (Theo Hernàndez in primis, irriconoscibile in difesa e in attacco), le distrazioni di Leao, la preoccupante involuzione di Tomori, non giustificano una prestazione senza mordente come quella di Riyadh, in una finale. L'impressione è che dalla rimonta subita con la Roma il Milan abbia improvvisamente perso il suo entusiasmo, scoprendo in maniera evidente tutti i suoi limiti tecnici e fisici. Entusiasmo e grinta: se non dovesse ritrovare questi ingredienti, anche il posto tra le prime quattro potrebbe essere persino a rischio. E si sa che sul piano societario, negli Stati Uniti, contano di più le casse del semplice risultato sportivo.

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Gianluca Vialli, una rovesciata nel cielo - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

La straordinaria carriera di Vialli, scomparso oggi, è di più di una semplice traiettoria tra Cremonese, Sampdoria, Juventus e Chelsea. 

Kessie, una delle perdite più importanti per la squadra del Milan. Fonte foto: PianetaMilan

 Uomini in meno

Al netto della crescita di alcuni giovani, in molti hanno già speso parole sull'insufficienza del mercato estivo. Forse Maldini aveva ragione a cercare Botman e Renato Sanchez per puntellare la rosa, finiti poi rispettivamente al Newcastle e al Paris Saint Germain. Senza disponibilità di spesa, è chiaro che non è possibile pescare ogni anno il prodigio Leao, Tonali o Kalulu. Non è un caso che il rendimento dei tanti acquisti di quest'anno sia stato pressoché nullo: tanto si è detto di De Ketelaere e Origi, ma non diverso è il percorso di giovani abbastanza acerbi come Adli, Thiaw e Vranckx (gli ultimi molto apprezzati dai tifosi, che li vorrebbero di più in campo), così come Dest e Pobega.

Al netto degli acquisti che non hanno reso, quindi, la squadra potrebbe sembrare la stessa dello scorso anno. La realtà, però, dice altro. Già, perché nel Milan che affrontava la cavalcata scudetto, i titolari erano pressoché gli stessi, eccetto due: Maignan, infortunato al polpaccio e sparito nell'infermeria di Milanello, e Kessie. Se l'importanza del portiere titolare è ormai sotto gli occhi di tutti per la personalità, la reattività e il piede del francese, forse in molti avevano sottovalutato l'importanza dell'ivoriano nell'economia del gioco di Pioli. Presente in 174 partite su 190 di Serie A, in cinque anni; 37 lo scorso anno. Praticamente inamovibile. Forse per le questioni legate al contratto, forse per un rendimento non sempre eccelso, sembrava che di Kessie si potesse facilmente fare a meno, soprattutto dopo l'esplosione di Tonali e Bennacer. Eppure, Pioli non ha mai rinunciato al suo "Presidente", a costo di farlo giocare sulla trequarti per rinforzare il centrocampo. Senza entrare in tatticismi eccessivi, il Milan in versione 21/22 giocava con tre centrocampisti veri (Bennacer, Tonali, Kessie o Krunic). Risultato? Prima difesa del campionato.

Se ai due titolarissimi, poi, aggiungiamo i ricambi dei titolari, si scopre che dal mercato non è arrivato nessuno in grado di rimpiazzare Romagnoli, che di quella squadra era comunque il capitano, l'esperienza di Florenzi, il carattere di Rebic (nonostante i muscoli di cristallo, l'anno scorso sempre presente nei finali di partita) e, naturalmente, Ibrahimovic. Otto gol e tre assist (in 22 presenze) con un ginocchio inefficiente sono molto di più di quel che ha finora prodotto il suo sostituto Origi.

Significa che il percorso dei rossoneri è naufragato? Affermarlo non è certo corretto: il progetto societario va avanti, i giovani crescono e i risultati non sono così negativi. D'altronde, il modello Milan ha fatto scuola ma non è certo la strada più facile per vincere. E anche se i tifosi rossoneri si sono abituati molto bene negli ultimi tempi, non significa che non esistano limiti di organico e attenuanti.

Il problema sarà capire se la squadra saprà ritrovare la freschezza e l'entusiasmo di sempre. Non per vincere a tutti i costi, ma per evitare figuracce come quella in Supercoppa.

Andrea Sciretti


Foto in copertina: Rainews

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