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Il terzo scudetto

Lo scudetto del Napoli ha tre padri: De Laurentiis, Giuntoli e Spalletti. Porta la firma di Kvara, di Osimhen, di Di Lorenzo. E dimostra che un altro tipo di calcio è possibile.  

Alzi la mano chi avrebbe puntato sullo scudetto del Napoli dopo la campagna acquisti della scorsa estate. Per molti, quasi tutti, la squadra era stata indebolita dalla cessione eccellente di Koulibaly e dai mancati rinnovi di Insigne e Mertens. Tre bandiere ammainate in un colpo solo, per di più rimpiazzate con l'arrivo d'illustri sconosciuti: il coreano Kim al posto di Koulibaly e il georgiano Kvaratskhelia per sostituire Insigne. Molti poi non condividevano di dare fiducia a Meret dopo la partenza di Ospina e invocavano l'acquisto di un portiere.

Le critiche, soprattutto dagli stessi tifosi partenopei, furono feroci e impietose nei confronti del presidente Aurelio de Laurentiis, che, è bene ricordarlo, tiene da anni stabilmente il Napoli tra le prime quattro con bilanci in regola e senza stadio di proprietà. Gli stessi che offendevano De Laurentiis saranno probabilmente tra i primi a inneggiare a questo splendido Napoli che per la terza volta si cuce il tricolore sul petto. Quello che sembrava un ridimensionamento è stato invece un capolavoro che rimarrà nella storia del nostro calcio. Non tutti gli scudetti sono uguali, quelli che escono dal circolo vizioso e viziato che corre sull'autostrada A4, la Torino-Milano, hanno un sapore diverso e, non nascondiamocelo, un coefficiente di difficoltà maggiore.

Finalmente Spalletti sul tetto d'Italia

Festa sia, allora, con una Napoli che attende da 33 anni e dove le celebrazioni bollono in pentola da mesi visto il vantaggio siderale accumulato giornata dopo giornata. E' giusto ricordare, però, che questo trionfo ha tre padri: il citato presidente De Laurentiis, il direttore sportivo Cristiano Giuntoli, che ha scovato in angoli nascosti della geografia pallonara campioni sconosciuti ai più, e Luciano Spalletti. Il tecnico toscano si prende la sua rivincita, dopo che per anni è stato accusato ingiustamente di essere un perdente. Ma come può essere perdente un allenatore che per ben quattro volte è arrivato secondo nel nostro campionato quando la sua squadra non è mai partita da favorita indiscussa? Spalletti è anche quello che ha portato per la prima volta l'Udinese in Champions League, competizione dove ha riportato l'Inter dopo anni. Spalletti, tralasciando i successi in Russia con lo Zenit, ha pure condotto, all'inizi della sua carriera, l'Empoli dalla C alla A con un gioco spettacolare. In più, l'allenatore di Certaldo si è sempre rinnovato, non rimanendo ancorato a un unico modulo. Ha innovato e rinnovato, sperimentato, lanciato negli anni una valanga di giovani, rimotivato giocatori ritenuti al capolinea, cambiato e inventato ruoli.Il suo 4-2-3-1 nel primo anno alla guida della Roma (stagione 2005/06) con l'invenzione di Perrotta trequartista e Totti centravanti fu un colpo di genio che generò undici vittorie consecutive e un gioco invidiato e studiato anche all'estero. Con la sua ultima creatura ha costruito il capolavoro della sua carriera, un'impresa inseguita, sognata e sfiorata alla Roma, e realizzata ora a Napoli.

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Lo scudetto di Kvara e Osimhen. Ma non solo

Gli azzurri giocano un 4-3-3 che spesso si trasforma nel corso della partita in un 4-2-3-1, ma i numeri lasciano il tempo che trovano, sono sempre gli uomini a fare la differenza. Così Luciano si è inventato un Lobotka regista sopraffino, dopo che sotto la gestione Gattuso si vedeva spesso confinato in panchina con l'etichetta di oggetto misterioso, coadiuvato in mezzo da un bodyguard e recuperatore di palloni come Anguissa e dal talento di Zielinski, giocatore di cui si parla ingiustamente troppo poco. La bravura di Spalletti è stata soprattutto quella di aver reso velocissimo, e quindi imprevedibile, il gioco del Napoli, grazie alla spinta sulle fasce di Di Lorenzo, capitano che non conosce turnover, e Mario Rui, alla migliore stagione della sua carriera, alle accelerazioni a turno di Lozano e Politano e alla classe e al genio di Kvaratskhelia. Il georgiano non viene solo da un paese lontano ma sa di un calcio antico, fatto di dribbling e invenzioni. A noi che abbiamo i capelli grigi ricorda George Best e Luigi Meroni e forse per questo ci piace particolarmente. Al centro di tutto questo, delle invenzioni di Kvaratskhelia e degli assist di Di Lorenzo, Politano e Lozano e delle imbucate di Lobokta, Spalletti ha messo la stella della squadra: Osimhen. Il centravanti nigeriano ha vissuto un'annata d'oro, gravata da meno infortuni, con i compagni tutti al suo servizio e lui pronto a trasformare il loro lavoro in gol. Non possiamo, infine, dimenticarci di Kim, perno della difesa ma non solo. Spalletti, infatti, gli ha permesso, grazie alle sue incredibili doti atletiche, di fare il guastatore in attacco.

E' il trionfo di Napoli e, ironia della sorte, una squadra del sud ha dimostrato ai club del nord che un altro modo di fare calcio è possibile e si può vincere senza indebitamenti folli.

E' curioso notare come la vittoria del Napoli coincida con la rinascita europea dei nostri club (cinque squadre in semifinale delle tre coppe europee) e che tutte questo coincida a sua volta con il crollo finanziario e sportivo della Juventus. Forse il nostro calcio aveva bisogno della fine di questa tirannia ma forse ne avevano bisogno anche la Juventus stessa e suoi tifosi. 

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