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Povera patria

Siamo passati Totti, Del Piero, Toni, Inzaghi, Gilardino nel 2006, a sostituire Politano con Gabbiadini. L'Italia è in crisi per quanto riguarda gli attaccanti? 

Da alcuni anni, ormai, si parla di nazionale solo in prossimità di competizioni come Mondiali ed Europei. I Mondiali sarebbero alle porte, ma i nostri calciatori li vedranno solo in televisione. Ci sarebbe anche la Nations League con gli azzurri impegnati nei prossimi giorni, ma la competizione è quanto di meno affascinante sia stato creato dalle menti dell'UEFA ed ha un appeal inferiore alla vecchia Mitropa Cup. In questi giorni, poi, i problemi della nazionale vengono ignorati completamente. L'argomento che tiene banco è il possibile esonero di Allegri dalla Juventus o quello di Simone Inzaghi dall'Inter. Allegri sì, Allegri no oppure Allegri out come l'hashtag creato dai tifosi della Juventus per far cacciare il loro allenatore.

In mezzo a questa pochezza di contenuti ed argomenti (gli esoneri ci sono sempre stati e sempre ci saranno), Mancini ha diramato le convocazioni per le imminenti sfide della citata Nations League che ci vedrà impegnati contro Inghilterra e Ungheria. Gli infortuni subiti da Lorenzo Pellegrini e Matteo Politano hanno costretto Mancini a sostituirli nell'immediato con Salvatore Esposito e Manolo Gabbiadini. Se la chiamata del primo rientra nel piano di ringiovanimento del CT che cerca nuova linfa anche in serie B (Esposito gioca nella Spal), quella di Gabbiadini dovrebbe aprire gli occhi su quanto sia critica la situazione degli attaccanti italiani. Non ce ne voglia Gabbiadini, uno che a 20 sembrava tra i migliori prospetti della sua generazione, capace di giocare in più ruoli del fronte offensivo e in possesso di un sinistro non comune, capace di produrre assist e far male ai portieri avversari. La carriera di Gabbiadini, però, ora che l'attaccante è arrivato alla soglia dei 31 anni, non è stata quella che poteva essere e il suo talento è rimasto di fatto inespresso. I ripetuti infortuni hanno certamente bloccato il decollo che molti prevedevano. Sull'attaccante gravano anche alcuni episodi negativi, come le stagioni non brillantissime in Premier League, quando ebbe l'occasione di salire sul treno del Southampton che poteva lanciarlo nel calcio che conta. 

Con la maglia dei Saints furono tre stagioni in chiaro/scuro con un ritorno in Italia, dove nella Sampdoria degli ultimi ha trovato la dimensione più adatta alla sua carriera. Ma sulle spalle dell'attaccante ha pesato soprattutto la responsabilità enorme che gli assegnò Gianpaolo Ventura nel novembre del 2017, quando alla guida della nazionale lo scelse per far coppia, insieme a Ciro Immobile, nell'attacco che doveva portare l'Italia ai Mondiali in Russia nel drammatico spareggio contro la Svezia a Milano. Sappiamo tutti com'è andò a finire, con le polemiche che travolsero Ventura e lo stesso Gabbiadini, colpevole solo di essere stato schierato al posto dei reclamati Belotti e Insigne, confinati in panchina da un Ventura in stato confusionale.

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Ora, a distanza di 5 anni, Mancini rispolvera Manolo che non sta certo facendo sfracelli nella sua attuale squadra: la Sampdoria ultima in classifica dove spesso parte dalla panchina. La mia non è una critica a Mancini, né tantomeno al buon Gabbiadini, è solo una constatazione: in Italia non ci sono più attaccanti!

Se scorriamo la classifica dei marcatori di serie A lo scenario è sconfortante. Dietro dell'inossidabile e prolifico Immobile, secondo dietro ad Arnautovic con 5 gol in 7 partite, troviamo, prima di arrivare ad un italiano, venti nomi di stranieri, sottolineiamo venti, prima di arrivare, scorrendo la classifica, a Politano, in compagnia di tre centrocampisti (Bandinelli, Barella e Frattesi) e un difensore (Bastoni) tutti con 2 gol.

A Mancini, al quale dobbiamo il miracoloso Europeo del 2020, non fanno certo difetto il coraggio e la fantasia, ricordiamoci la convocazione di Zaniolo, ancor prima che esordisse in serie A e quando ne parlavano in pochi, o il lancio di Gnonto. Quindi, cosa possiamo rimproverare all'allenatore della nazionale? Nulla, perché dietro Ciro Immobile non esistono attaccanti di alto livello. Se nei mesi scorsi siamo arrivati a naturalizzare in fretta e furia il buon Joao Pedro, non ce ne voglia nemmeno lui, per vincere il disperato spareggio con la Macedonia del Nord, brutta copia dell'orribile partita con la Svezia del 2017, vuol dire che in casa nostra non nascono più punte.

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Eppure, negli anni passati gli attaccanti davano solo problemi per la loro abbondanza, tale da mettere prima in crisi i CT nelle loro scelte e poi in croce, da parte di pubblico e stampa, dopo averle fatte. Ai mondiali del 1982 Bearzot lasciò a casa Roberto Pruzzo, 206 gol in carriera. Un certo Paolino Pulici, 186 gol a referto, partecipò a due mondiali non giocando neppure un minuto. Nel 1970 Roberto Boninsegna, detto Bonimba la quintessenza del centravanti con 286 gol da ricordare, salì sull'aereo che portava a Città del Messico solo perché si fece male in ritiro Anastasi.

Il caso più eclatante riguarda, però, Gigi Riva (212 gol in carriera) che da giovane ma già fortissimo fu portato da Edmondo Fabbri ai Mondiali in Inghilterra nel 1966 solo in viaggio premio. Attenzione, i menzionati signori hanno segnato nella loro vita poco meno o poco più di 200 gol a capoccia, quando i difensori avevano licenza di picchiare e le regole tutelavano chi difendeva e non chi attaccava come ora.

Ma se mi sono spinto troppo in là nel tempo, a qualcuno può sembrare preistoria, posso portare esempi più recenti: la mancata convocazione di Baggio ai Mondiali in Corea-Giappone nel 2002. Oppure ricordare gli attaccanti a disposizione di Lippi nell'ultimo Mondiale vinto: Totti, Del Piero, Inzaghi, Toni, Gilardino e Pippo Inzaghi. Questi sei, in carriera, hanno segnato sommando i gol di ognuno di loro 1452 gol, più di 200 a testa! Quella che ha vinto i Mondiali in Germania è stata l'ultima grandissima generazione di attaccanti italiani. Ma come si può passare da un gruppo di campionissimi al deserto attuale? E' facile dare la colpa agli stranieri e alle rose della nostre squadre prive di italiani. Molta colpa è anche della mancanza di coraggio di alcuni allenatori che non rischiano i giovani italiani e delle società che, soprattutto, per motivi fiscali comprano all'estero. In ogni caso, è necessario un cambio di rotta perché il problema non riguarda solo gli attaccanti ma anche i portieri, i centrocampisti e i difensori. Sarebbe necessario un lavoro capillare come quello che fanno in Germania da anni dove la Federazione controlla sul territorio, con una fitta rete di tecnici e osservatori, il lavoro dei settori giovanili. Un'idea che da noi non è nemmeno presa in considerazione, perché oltre ai giocatori, ci mancano soprattutto i grandi dirigenti, quelli illuminati in grado d'invertire la rotta. 

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