Freccia nerazzurra. Si, perché l'Inter continua a correre. Il convoglio di Inzaghi viaggia ad alta velocità e raggiunge il secondo obiettivo stagionale, dopo la qualificazione agli ottavi di UCL.
La vittoria arriva in extremis, servita su un vassoio d'argento da Alex Sandro, che Sanchez è troppo goloso per declinare. I cambi dell'allenatore si sono rivelati decisivi, e confermano la qualità e la profondità di una rosa costruita sapientemente. L'Inter non vinceva dal 2010. La sesta Supercoppa arriva dodici anni dopo l'ultima, con Inzaghi, che batte per la terza volta i bianconeri in una finale di Supercoppa aggiudicandosi un trofeo che Conte non era riuscito a portare nell'albo nerazzurro durante la propria gestione. La maturità acquisita dall'Inter è beneaugurante non solo per il proseguimento del campionato, ma anche in vista del doppio confronto con il Liverpool di Klopp.
L'Inter domina i primi minuti e controlla il gioco nella prima frazione di gara. La Juventus si vede solo in alcune ripartenze ed uscite interessanti. Ma le finali e il calcio sono ricchi di sorprese. All'improvviso arriva il vantaggio di Mc Kennie (9 gol in 67 presenze), grazie a un colpo di testa, dopo una buona azione sviluppata da Kulusevski e rifinita da un suggerimento di Morata (ancora un assist per lui). L'Inter recrimina per alcune decisioni arbitrali, che interessano episodi avvenuti all'interno dell'area di rigore bianconera. Alla fine, il penalty arriva. De Sciglio non riesce ad anticipare Dzeko, che astutamente mette il piede tra il terzino e il pallone. Doveri fischia. Dagli undici metri si presenta Lautaro che realizza. Nonostante la mole di tiri in porta dell'Inter, si segnalano solo due interventi di Perin, su conclusioni provenienti da fuori area. Anche nel secondo tempo, la partita procede su ritmi intensi: rovesciamenti di fronte, duelli e contrasti, tanta corsa e agonismo. Entrambe le squadre vanno vicine al nuovo vantaggio. I tempi regolamentari, però, si concludono con le due contendenti ancora in parità. Il gol decisivo arriva però durante l'ultimo giro di orologio del secondo tempo supplementare, quando Alex Sandro, anzi che appoggiare all'indietro o spazzare un cross di Dimarco diretto in out, propizia prima Darmian – abbattuto da Chiellini – poi Sanchez che non fallisce la palla del KO. Beffa per i bianconeri, già proiettati ai calci di rigore, senza tuttavia essere sicuri di aver finito la partita indenni. Non dire gatto finché non è nel sacco direbbe Allegri. Ma il tecnico nel post gara si è affidato ad un altro detto popolare: dicono che il calcio l'abbia inventato il diavolo. Diabolico in questo caso è stato il non perseverare, perché le partite durano fino all'ultimo secondo. L'Inter se ne ricorda e alza la Supercoppa.
Allegri si è complimentato con la squadra nonostante il risultato finale. Nei tempi regolamentari i suoi si sono dimostrati non inferiori ai campioni d'Italia. La fiducia è riposta ora nelle leve emotive sfruttabili, perché l'orgoglio della squadra è stato frustrato ma anche stimolato dall'amara visione dei rivali trionfanti, gaudenti per la vittoria all'ultimo secondo. L'ottimismo di Allegri non è infondato. Intanto, perché il fantomatico 6-0 invocato da Bedy Moratti prima della partita non è arrivato. La Juventus avrebbe potuto perfino portare a casa questo trofeo. I bianconeri non hanno demeritato, anche visti e considerati gli handicap. Il tecnico livornese – oltre allo sfortunato, oltre che infortunato, Chiesa (cui non si perde occasione di augurare il meglio) – non poteva schierare titolari del calibro di Cuadrado (spesso decisivo contro l'Inter) e De Ligt squalificati per un regolamento che appare controverso, visto che porta a scontare sanzioni accumulate in tornei diversi; Danilo era in panchina, ma non era in grado di scendere in campo. Altrettanto si può dire per Bonucci, che sarebbe sceso in campo esclusivamente per calciare i rigori. Il suo ingresso non è mai avvenuto. Il difensore, invece, è stato protagonista di un diverbio con un dirigente nerazzurro a bordocampo, forse dovuto ad una provocazione legata all'esultanza, che ha portato il giudice sportivo a sanzionare sia Bonucci per la reazione, sia l'Inter per aver permesso ad un proprio membro di transitare senza distinta nei pressi della panchina avversaria, come rilevato dall'ispettore federale. Un altro handicap è consistito nella scelta dello stadio. La finale, ospitata da San Siro, non si è svolta in un campo neutro. Per quanto i biglietti possano essere spartiti in parti uguali, i giocatori dell'Inter hanno una confidenza con lo stadio di Milano nettamente maggiore, visto che è la loro casa calcistica. Anche se al posto della Juve ci fossero state Atalanta, Fiorentina, Napoli, o una delle romane, il dubbio sollevato sarebbe rimasto legittimo. Differente è il caso delle finali allo stadio (ad ora) Olimpico di Roma, perché anche quando una delle finaliste è una romana, questa città rimane la capitale d'Italia. Milano però non è Roma. Occorre riflettere.
Le attenuanti non devono distrarre da un dato: l'Inter ha meritato di vincere il trofeo. Questo vale anche se il gol è arrivato all'ultimo istante, quando qualcuno aveva staccato la spina mentale, pensando già alla lotteria dei rigori. In questo l'Inter è stata superiore. La Juve esce da San Siro vinta, ma non umiliata. La partita, eccetto alcune fasi come quella iniziale, ha visto due squadre fronteggiarsi con equilibrio, seppur con strategie differenti. La sensazione è che Allegri non avrebbe potuto chiedere di più ai suoi uomini stasera. I giocatori a disposizione sono questi.
La difesa non ha sfigurato. Perin si è dimostrato sicuro, la coppia centrale formata da Rugani e Chiellini ha retto gli urti nerazzurri e De Sciglio, al netto del fallo che ha determinato il calcio di rigore per gli avversari, ha offerto una prestazione dignitosa. La prova di Alex Sandro, invece, non era stata negativa ma il blackout all'ultimo istante, nonostante la tensione e la fatica mentale e fisica accumulate nei centoventi minuti di gioco, ha confermato alcune lacune del difensore, relative alla concentrazione e, forse, alle scorie di un matrimonio ai titoli di coda. In questo caso, l'errore del brasiliano è costato un trofeo, in una stagione che potrebbe essere avida di titoli.
È chiaro: gli errori non sono mai completamente frutto delle scelte di singoli giocatori. Il cross che ha portato all'errore del terzino non doveva essere concesso. Mancavano pochi secondi e la panchina chiedeva a gran voce un fallo tattico, per consentire l'ingresso di Bonucci.
A centrocampo, oltre a Locatelli che garantisce come al solito affidabilità e costanza, da segnalare la buona prestazione di Bernardeschi e quella di Mc Kennie, autore di un gol e migliore in campo per la propria squadra. Di livello anche la partita Rabiot. Gli stessi Bentancur e Arthur sono entrati con la giusta determinazione, favoriti anche dalla stanchezza degli avversari. Morata e Kulusevski hanno corso tanto, ma eccetto la trama di gioco con cui hanno propiziato l'occasione del vantaggio, non hanno creato reali pericoli ad Handanovic. Nemmeno Dybala e Kean hanno inciso.
Della Joya si è parlato soprattutto dopo la gara, quando è emersa da una fonte argentina la possibilità dell'interruzione della trattativa per il rinnovo. Anche in occasione del match di ieri, Arrivabene – nonostante abbia dichiarato di rivolgersi a tutta la rosa – non ha mancato di punzecchiare l'argentino. Nell'ultimo mese l'AD ha rilasciato dichiarazioni, forse giuste, forse dettate da una strategia, forse dettate da dinamiche riservate riguardanti la trattativa estenuante con Antun, che iniziano ad essere numerose e rilevanti: …alcuni giocatori sono più attaccati ai procuratori che alla maglia…, …Dybala non è scarso ma guardiamo avanti…, …si deve dimostrare in campo di saper portare il peso della maglia numero dieci…, …io non parlo proprio con nessuno… Oggi sarebbero filtrate delle smentite sui malumori dell'argentino dall'entourage, ma un fondo di verità presumibilmente c'è. In ogni caso, i dubbi maggiori al momento sono covati non tanto dal fantasista, quanto dalla dirigenza bianconera, che riflette su un investimento da circa 100 milioni per un giocatore che non convince per l'affidabilità fisica e per la possibilità di investire la stessa cifra su Vlahovic o su un altro centravanti pregiato della gold generation e virare definitivamente su un 4-3-3 allegriano, in cui Dybala non troverebbe collocazione, se non compromettendo la stabilità tattica. Al di là delle dichiarazioni di Arrivabene e dei piani di mercato, l'argentino è un giocatore che vanta 274 presenze e 109 gol realizzati con la maglia bianconera, e merita rispetto e riconoscenza, indipendentemente dal corso e dall'esito delle trattative per il rinnovo di contratto.
Il dispendio di energie notevole accumulato nella finale riequilibra le sorti del match con l'udinese falcidiato dal covid. Nei bianconeri rientreranno De Ligt, Cuadrado, Bonucci e Pellegrini. Dybala potrebbe essere schierato titolare, così come Arthur, a meno che le sirene dell'Arsenal, sempre più insistenti, non lo portino oltremanica già nelle prossime 72 ore, possibilità remota in assenza di un sostituto, vista la partenza prossima di Ramsey, ormai separato in casa. A centrocampo qualcuno potrebbe rifiatare. Meno scelta nel reparto offensivo dove due terzi dell'attacco potrebbero essere confermati. Starà alla Juve non disperdere il capitale emotivo ed esperienziale accumulato con la sconfitta in Supercoppa, e dovrà essere bravo Allegri a imbrigliare le passioni dei propri giocatori, traducendole in grinta e voglia di rivalsa. La sua squadra continua ad apparire in crescita, seppur lieve, nonostante la delusione di Supercoppa. Ci riuscirà? Si vedrà sabato, allo Stadium.
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