Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo
Menu
Post Image

Supercoppa Italiana, mamma mi sono perso i tifosi

Non solo sportwashing o softpower, la Supercoppa Italiana è un problema che riguarda l'elemento centrale del sistema calcio: i tifosi.

Lunedì a Riyad, Arabia Saudita, si è conclusa l'edizione 2025 della Supercoppa Italiana che ha visto impegnate Juventus, Atalanta, Inter e Milan, con quest'ultima che ha trionfato vincendo in finale il derby meneghino rimontando ben due goal ai neroazzurri. Per Sergio Conceiçao, neo allenatore dei rossoneri, è il primo trofeo italiano vinto da allenatore.

Un trofeo che, da quando si gioca nel Regno saudita, porta con sé critiche, sebbene quest'anno se ne siano registrate meno rispetto al recente passato.

A essere criticata è soprattutto la scelta della Lega di aver "trasferito" la competizione in un Paese fortemente antidemocratico in cambio di una ricca manciata di milioni di euro, contribuendo a quell'operazione di sportwashing che il principe ereditario Mohammad Bin Salman Al Sa'ud sta portando avanti con incredibile determinazione.

Lo striscione dei tifosi dell'Atalanta contro la Supercoppa Italiana in Arabia

Senza voler sminuire quest'aspetto, la criticità del giocare una competizione nazionale all'estero non è legata solo alle operazioni di sportwashing o softpower né ovviamente è questione di sovranismo o di difesa dei sacri confini della patria calcistica. Banalmente, sarebbe ugualmente un problema anche se la Supercoppa si fosse giocata o si giocasse in un Paese che, secondo gli standard occidentali, si potrebbe definire democratico. Perché disputare una competizione di carattere nazionale all'estero impatta in maniera negativa sull'elemento centrale del sistema calcio: i tifosi. Un aspetto che troppo spesso viene messo in secondo piano o, peggio, considerato poco rilevante quando si analizza la deriva che il calcio ha preso da qualche decennio a questa parte è la rottura del legame tra la squadra (che nulla ha a che vedere con la Società) e la propria tifoseria, la cui rappresentazione principale è la distruzione del legame fisico che si crea negli stadi in occasione delle partite.

La tifoseria bergamasca, a pochi giorni dall'inizio di questa edizione della Supercoppa, ad esempio, ha criticato la scelta della Lega di disputare il trofeo a Riyad con uno striscione all'esterno del Gewiss Stadium: Supercoppa a Riyad… uno schifo. Lega Italiana figli di p*****a. L'anno scorso era stata invece la tifoseria napoletana a manifestare il proprio dissenso con uno striscione altrettanto duro: La nostra passione oltre ogni meta. Ma in Arabia Saudita...la coppa della moneta, accompagnato da un volantino in cui si metteva in evidenza come tale scelta penalizzasse, soprattutto, chi quella maglia la segue ovunque, la sostiene e la difende.

Stessa storia a Firenze, con lo striscione dei tifosi viola

Proteste che dimostrano quanto la questione sia centrale per chi ha fatto del supporto alla propria squadra del cuore un tassello importante della propria vita e che, negli anni, è diventato il cuore pulsante di un sistema che da tempo ha smarrito i propri valori e che sta velocemente precipitando verso l'abisso. Un aspetto di cui si parla poco perché, probabilmente, la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica ha fatto propria l'idea di chi governa il Sistema Calcio secondo cui gli ultras sono "brutti e cattivi" e che le partite di calcio non siano altro che un prodotto commerciale che deve essere piazzato sul mercato al miglior offerente, chiunque esso sia e ovunque esso sia (tanto poi ci pensano le paytv ad "offrire" la possibilità di guardare lo spettacolo).

Il calcio - infatti - è oramai da considerarsi un settore dell'economia nazionale a tutti gli effetti, esattamente come gli altri "più tradizionali", il cui obiettivo è quello di generare profitti e non "offrire" uno spettacolo per puro altruismo, per cui chi ne muove i fili trova legittimo - per non dire opportuno - sacrificare i tifosi sull'altare del denaro, petroldollari o diritti TV che siano. Del resto, come messo in luce da un'analisi di Calcio e Finanza, durante la stagione sportiva 2022-2023, il calcio italiano è stato in grado di generare rilevanti ricadute a livello economico, fiscale e occupazionale, a beneficio del Sistema Paese. Considerando i cicli economici diretti, indiretti e indotti, si stima che grazie al calcio siano stati creati oltre 11,3 miliardi di euro di PIL e attivate quasi 130.000 Unità Lavorative Annue (il calcio nel nostro Paese genera 1€ ogni 200€ di PIL e sostiene un lavoratore ogni 200 occupati), generando 3,3 miliardi complessivi di gettito fiscale. Numeri che fanno del sistema calcio uno dei settori più importanti e redditizi dell'intera Nazione e che spinge i massimi dirigenti del Calcio Italiano a proseguire spediti sulla strada della messa a profitto del calcio che vuol dire anche esportare all'estero il prodotto.

Una tendenza confermata, proprio in questi giorni, da Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, che - da Riyad, nel parlare della Supercoppa Italiana ha sottolineato come il tema principale sia la costruzione di un mercato e di una relazione. In quest'ottica non basta una partita, ma una relazione costante nel tempo: siamo venuti qui 7-8-10 volte in un anno. Lavorare con realtà importanti come i nostri club, votati alla creazione di talento, è un elemento che a loro (i sauditi ndr) interessa. Se noi stiamo chiusi nel nostro Paese pensando ai nostri tifosi, che sono la nostra forza, non facciamo una buona gestione della property intellettuale della Serie A nel complesso.

Luigi De Siervo, AD della Lega Serie A

E proprio parlando del futuro del massimo campionato italiano De Siervo dimostra che non ci sono dubbi su quel che deve essere il futuro del calcio: è un progetto su cui stiamo lavorando da cinque anni (quello di portare la Serie A all'estero). Vorremmo imitare NFL e NBA che lo fanno da anni. Le partite dello sport americano continuano a crescere in maniera significativa: avviene per consentire a loro di aprire nuovi mercati in Europa. Sono fiducioso sul fatto che sarà possibile, sarebbe un fatto rivoluzionario che per ora non è possibile. Resto ottimista, penso che si potrà giocare in futuro: non credo che sia corretto giocare più di una partita a stagione lontano dall'Italia e non credo possa essere una partita importante come per esempio avverrà domani col derby. Penso che sarà una partita 'normale' di campionato, non una top perché vanno rispettati i nostri tifosi. Ma stiamo parlando di una partita a campionato, intendiamoci.

Dichiarazioni che dimostrano come i massimi dirigenti del mondo calcio italiano vedono chi segue il calcio come cliente - e non più come tifosə - assunto che porta con sé la convinzione che tutti siano importanti ma che nessuno sia indispensabile. Che chiunque possa essere rimpiazzato, dimenticando che quello che lega una tifoseria alla propria squadra del cuore è un qualcosa di difficilmente spiegabile, figuriamoci replicabile. La popolarità del calcio, del resto, è dovuta in larga parte proprio alla passione e all'amore che i tifosi e le tifose provano per la propria squadra. Passione che riversano ogni settimana sugli spalti degli stadi di mezzo mondo, rendendo quei luoghi e quei momenti iconici, indimenticabili. Svuotarli del loro cuore pulsante è quanto meno criticabile. Pensare di poter sostituire le tifoserie, non tanto in termini numerici quanto sentimentali, con clienti che vivono la partita con distacco - o comunque con meno trasporto emotivo - come quando si assiste a un film al cinema o a uno spettacolo a teatro è un errore madornale. Pensare di poter fare a meno di tutta la visceralità con cui chi fa parte di una tifoseria vive il calcio è quanto meno miope, soprattutto in un momento di profonda crisi di tutto il sistema calcio. È come quando si punta il dito contro la pirateria per giustificare il calo di abbonati alle pay-tv. Si guarda agli effetti senza avere il minimo interesse a risolvere il problema.

I tifosi e le tifose sono il cuore pulsante del calcio e solo dirigenti straccioni possono pensare che farne a meno, seppur in cambio di parecchi milioni, sia una strategia vincente per un sistema allo sbando. Di questo passo non rimarrà più nulla, se non la continua sete di profitto di una classe dirigente che ha svenduto e privato del suo valore emotivo quel gioco che, negli anni, è stato straordinario fenomeno popolare capace di fare innamorare milioni di persone. I dirigenti del calcio italiano, forse, farebbero meglio a concentrare le loro energie sul rilancio di un movimento in crisi, privilegiando una visione del calcio più sociale, maggiormente libera dagli opprimenti vincoli del mercato così da provare a restituire credibilità e bellezza ad un gioco che ha venduto la sua anima in nome della legge del mercato.

La maglia delle Isole Marshall racconta un paese c...
Quello di Stephane Omeonga è un caso di profilazio...
 

Commenti (0)

  • Non ci sono commenti. Inserisci un commento per primo.

Lascia un commento

Immagine Captcha

Accettando accederai a un servizio fornito da una terza parte esterna a https://il-catenaccio.it/

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...