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Tutta colpa di Mourinho

A pranzo, oggi, mi hanno detto che la Roma giocava alle 15 e io non lo sapevo. Ovvero, sapevo che avrebbe giocato oggi, ma non sapevo l'orario. Non lo sapevo e in fondo non me ne fregava nulla. Ho fatto finta di niente, mi sono messo seduto, ma mentre guardavo il menù pensavo: come è possibile? Come è potuto succedere a me?

Ecco, a questo siamo arrivati quest'anno. All'indifferenza, anzi quasi al fastidio, alla delusione che non è più solo delusione, è rabbia, è rimpianto, è frustrazione. C'è un amico, abbonato in Curva Sud da 30 anni, che mi ha raccontato di essersi ritrovato a parlare di lavoro durante la partita. Era sorpreso, non ci credeva. Gli era successo di farlo all'intervallo, prima, dopo. Mai durante. La partita era sacra. Era un momento a sé. E per renderla sacra non serviva vincere, a volte non serviva neanche giocare bene. Serviva vedere qualcosa, che fosse una giocata, un'idea, un sentimento. La Roma di quest'anno tutto questo non ce l'ha. Non ha giocate perché non ha giocatori in grado di farle. C'è Dybala, direte voi, ma è un Dybala che ha giocato appena 533 minuti e ha segnato soltanto 2 gol. Un Dybala che da quando è alla Roma ha saltato 23 partite di campionato su 66 disponibili.

È una Roma che non ha idee, perché non ha nessuno capace di metterle. Non ha una dirigenza, eccetto quel Florent Ghisolfi che è stato annunciato il 22 maggio, non è stato mai presentato e ha parlato per la prima volta in conferenza stampa a ottobre. Non ha un presidente, con i Friedkin che decidono di non farsi vedere a Roma e di parlare neanche in un momento delicato come questo. Non ha le idee di un allenatore perché dopo aver costruito la campagna acquisti estiva con Daniele De Rossi, tecnico a cui era stato rinnovato il contratto a giugno fino al 2027, si è deciso di esonerarlo dopo appena 4 partite per prendere Ivan Juric, che di partite ne fa addirittura 8, con una media punti di 1,25 (3 vittorie, 1 pareggio, 4 sconfitte, stessa media europea con 1 vittoria, 2 pareggi e 1 sconfitta).

È una Roma che non ha sentimenti perché a nessuno, in campo e fuori, sa più cosa sono. Non lo sanno i senatori, quel gruppo storico fatto dai vari Mancini, Cristante, Pellegrini a cui si è deciso di affidare la squadra e che continua a deludere, stavolta in maniera definitiva. Non lo sa il suo capitano, difeso dagli allenatori e dalla Curva fino a quando non sono caduti anche gli ultimi alibi, tecnici, tattici, fisici.

Cosa rimane, allora, della Roma? Rimane il rimpianto che, come dicevamo, è diventato rabbia. Rimane l'amore, ovvio, che però a forza di essere bistrattato, di non essere ricambiato, di essere calpestato, si affievolisce. Rimane l'idea che, forse, ci eravamo tutti sbagliati. La Roma è questa, la sua dimensione è questa. E se oggi ci fa così male è tutta colpa di José Mourinho, che aveva provato a indicare una strada che in realtà non può essere la nostra. È colpa di Mourinho perché a Roma ha vinto, ha fatto vedere come si può vincere, ha ricordato che vincere è possibile ma invece, forse, non è vero. È colpa di Mourinho, un fantastico treno che la Roma e i romanisti hanno perso, per ritrovarsi con il secondo esonero in un anno e una zona retrocessione distante solo 4 punti. È colpa di Mourinho perché ci ha fatto capire che alla fine di ogni partita c'era sempre un pizzico di speranza, di sogno, di possibilità.

Il nuovo allenatore deve portare innanzitutto questo. Solo così potrà salvare una stagione. E un amore che oggi non si riconosce più.

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