All'interno della collaborazione tra Il Catenaccio e Civolandia, ospitiamo un pezzo di Roberto Beccantini sul Bologna di oggi e quello di ieri. Un Bologna di nuovo in formato europeo.
Nel 2024 saranno 60 anni tondi dall'ultimo scudetto, il settimo, quello conquistato nello spareggio di Roma, il 7 giugno 1964, contro l'Inter di Helenio Herrera: 2-0, punizione di Romano Fogli e raddoppio di Harald Nielsen.
Oggi il Bologna è quinto in classifica, in piena zona Champions, e, al di là dei rigori di coppa a Firenze, «questi impostori», se non gioca come si giocava solo in paradiso, bè, poco ci manca. Impunito discepolo, ho provato a mettermi nella sua penna e immaginare come lo avrebbe descritto. Thiago Motta (ma lo chiamavan «Drago») gli sarebbe piaciuto. Un po' damerino un po' professorino, con l'aria astratta di Fulvio Bernardini, il dottor Pedata di Gianni Brera, molta lavagna e poca lagna. A zona o a uomo, in base ai palati della curva e alle curve delle fanciulle in fiore (e in fila).
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Dragusin, Postecoglou, Guendouzi, Zirkzee e tanti altri. La redazione de Il Catenaccio prova a guardare al calcio del 2024, tra sorprese e conferme, ritorni e definitive esplosioni.
Poi il portiere, Lukasz Skorupski: polacco, non sempre san Luca, più Pagliucone che «Gatto magico», al secolo Mario Gianni, the best, il suo preferito. In fin dei conti anche papa Wojtyla giocava in porta. Nella selva di Paride Tumburus e Franco Janich, detto Lord Brummel (per l'eleganza nel vestire) o «Armeri» (armadio in dialetto, per la possanza), fanno legna, metafora che Gianfranco adorava, Riccardo Calafiori e Sam Beukema. Il romanino («ino»?), l'olandesone. Un terzino adattato e di larghe incursioni; un nipote del calcio totale, più specialista che eclettico. E guai a voi, anime prave, a considerarli volgarmente «centrali». Stopper e libero, libero e stopper a seconda degli indizi circostanziali e del lessico del Novecento. Ve lo do io il dolce stil novo.
In mezzo, si va a spanne. Giacomino Bulgarelli è troppo lontano per sollecitare paragoni. Bisogna, così, ripiegare sui sentieri che accomunano Lewis Ferguson, scozzese, a Helmut Haller, tedesco. Per carità: lo scottish è il whisky che si offriva nei saloon del vecchio West, tra il crepitio delle pallottole che confondevano sceriffi e banditi. Nelle vene di Helmut, viceversa, scorrevano fiumi di sangue parte-germanico e parte-nopeo. Quando si presentò, Bernardini lo accolse con queste parole: «Lei stia dove le piace di più». Capito? Nel Duemila, gli avrebbero subito imposto l'esame del palloncino-quaderno, per dirgli cosa fare, come farlo e con chi. E che più non «dimandasse».
Civola, Civola, Civola. Il meglio della prosa lo dedicherebbe ai centravanti. Da Nielsen a Joshua Zirkzee. Il prence danese viveva per il gol, il batavo di scuola Bayern vive per far fare gol. Uno, tutto casa e area; l'altro, tutto movida e milonghe, una foresta di riccioli e quel gusto per l'assist che fa smadonnare dalle emozioni (e, spesso, dalle esitazioni). Harald l'avevano ribattezzato «Aroldo» o «Dondolo», per il dribbling ciondolante che riecheggiava lo swing di Edoardo Vianello («Guarda come dondolo, guarda come dondolo»). Giosuè, in compenso, è uno spilungone mobile e nobile nei tocchi. Lui sì di radici halleriane nella filosofia spicciola al cammino.
E dal momento che non ci si realizza solo con il pallone ai piedi, Civ si sarebbe divertito a calcolare e spulciare le spasimanti al talamo del lanzichenecco orange, perché Bologna la dotta non crederete mica che si esaurisca con gli orgasmi del popolo tifoso. Al contrario: l'altra Bologna, la Bologna del peccato, comincia proprio lì, sul confine tra l'ovvio e l'oppio. «A mezzanotte va la ronda del piacere, e nell'oscurità ognuno vuol godere». Pressing e petting, elastici e triangoli, passi doppi (alla Amedeo Biavati) e passi furtivi (alla Riccardo Orsolini); tetti di rendimento e tette di rodimento; il calcio alla Ribalta (erre maiuscola, il suo teatro). Buon anno e buon girone di ritorno, bei passeroni.
di Roberto Beccantini
Giornalista sportivo, firma de La Stampa dal 1992 al 2010. Ha scritto per Tuttosport, La Gazzetta dello Sport, Il Fatto Quotidiano, Guerin Sportivo, Eurosport Italia. Giurato italiano per il Pallone d'Oro, ha seguito 10 Olimpiadi, 9 Mondiali di calcio, 8 Europei e tutte le finali di Champions League dal 1992 al 2010.
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