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Un Retegui non fa primavera

L'involuzione di Verratti e Jorginho, l'assenza di difensori centrali di livello, l'emergenza attaccanti e la toppa Retegui. Sono tante le questioni che aleggiano sull'Italia di Roberto Mancini.

L'Italia s'è desta nel secondo tempo, forse perché nel primo era ancora stordita dalla terrificante e inascoltabile esecuzione dell'inno di Mameli da parte del pur simpatico Clementino e dall'onnipresente (sulle reti RAI) Gigi D'Alessio. La partita di Napoli lancia dei segnali inquietanti sul futuro della nazionale. L'Inghilterra nel primo tempo ci ha preso a schiaffi, quasi umiliato, con un Bellingham da applausi, mettendo a nudo altri problemi oltre alla ormai nota mancanza di attaccanti: la pochezza dei difensori e il centrocampo titolare, fiore all'occhiello durante l'Europeo, in crisi d'identità. Per i primi va fatto un discorso simile agli attaccanti: non abbiamo più centrali di livello internazionale e non se ne vedono all'orizzonte, forse Scalvini ma tra l'essere una promessa e diventare un campione c'è molta strada da fare. In mezzo al campo è incomprensibile l'involuzione di Verratti e Jorginho ma, siccome da molte partite le loro prestazioni sono deludenti, l'allenatore deve trovare una soluzione a quella del doppio play e rinunciare a uno dei due o a entrambi.

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I silenzi e le solitudini di Giuliano Giuliani, il portiere di Maradona morto per AIDS - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Campione d'Italia nel 1990, una Coppa Uefa con Maradona, poi la malattia, la solitudine e infine la morte. La storia del portiere di Napoli e Verona rivive oggi grazie al libro "Giuliano Giuliani, più solo di un portiere" di Paolo Tomaselli. Ecco la sua intervista.

E l'attacco? Retegui è arrivato dall'Argentina, si è allenato tre giorni con dei compagni che aveva visto solo in televisione, è stato buttato in campo e il primo pallone decente che gli hanno servito l'ha scaraventato in rete. Poi a Retegui, nei giorni precedenti, avranno anche insegnato in fretta e furia l'inno, che tutti gli azzurri dovrebbero cantare (ma perché?), ma lui sentendo il duo Clementino-D'Alessio è andato in confusione e il suo primo tempo non è stato granché. Comunque, il suo esordio è stato più che positivo, considerato che è avvenuto in una partita complicata come quella del Maradona. L'intuizione di convocarlo è l'unica nota positiva di questa prima partita del girone eliminatorio del campionato Europeo. La situazione sembra persino peggiore di quella seguente alla partita contro la Macedonia del Nord che ci costò la partecipazione all'ultimo Mondiale. Il brillante cammino delle nostre squadre nelle coppe non deve trarre in inganno, i giocatori italiani titolari nelle squadre ancora in lizza tra Champions, Europa League e Conference sono pochi. Ma il povero Mancini che deve fare? Da un lato è forte dell'inaspettata vittoria all'Europeo che lo protegge dalle critiche dopo l'esclusione al Mondiale e le ultime disarmanti prestazioni, dall'altro qualche critica inizia a sentirsi. Il calcio è strano. Un suo predecessore, Ferruccio Valcareggi, dopo aver vinto l'Europeo nel 1968 ed essere arrivato secondo al Mondiale di Messico 1970, fu accolto, al suo ritorno in Italia, a pomodori e uova marce dai tifosi inferociti per la sconfitta nella finalissima contro il Brasile. Ricordiamo che era il Brasile di Pelè, Rivelino, Garrincha e Tostao e non la Macedonia del Nord di Trajkovsky e Ristovsky. Parliamo, però, di ere geologiche differenti e anche il seguito per la nazionale era diverso.

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Zdenek Zeman, l'eterno ritorno - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Odiato ma allo stesso tempo amatissimo, polemico e geniale, schietto e silenzioso. Zdenek Zeman è il simbolo di un calcio diverso, alternativo, contro le regole. Come quella che dice di non tornare due volte sulla stessa piazza. 

Chiaramente è partita la caccia al colpevole di questa crisi, che va dai troppo stranieri nelle squadre non solo di serie A ma anche di B e C alla cattiva gestione dei vivai. I giocatori di altri paesi però sono presenti in tutti i campionati europei e, nonostante ciò, nazionali come Spagna, Germania e Inghilterra non hanno i nostri problemi. Per non parlare della Francia che produce senza sosta giocatori di altissimo livello, ma oltralpe la situazione è diversa perché i nostri cugini hanno un bacino a cui attingere ben diverso dal nostro.

Ma vogliamo lanciare una provocazione: e se il problema non fossero tanto i troppi stranieri nel nostro campionato quanto la scarsa presenza dei nostri giocatori nei tornei delle altre nazioni? Numericamente i calciatori italiani all'estero nei principali tornei non sono tanti. Forse, ma è solo un'ipotesi, oltre alle note fughe di cervelli ci vorrebbero quelle dei piedi. Intanto, pensiamo al prossimo Europeo. Nonostante il primo posto del girone sembra sia già un miraggio dopo aver visto l'Inghilterra a Napoli, ci consoliamo col fatto che basta la seconda piazza per qualificarci. Basta solo superare la Macedonia del Nord. Trajkovsky ancora tu? Ma dovevamo non vederci più?

Messina e gli altri: la rivincita dei bolliti
Auguri, Picchio De Sisti
 

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