L'aneddoto, passato alla storia come la prima guerra del calcio, raccontato sinteticamente attraverso le parole di Ryszard Kapuscinski, testimone diretto della vicenda e autore del libro La prima guerra del Football.
"La guerra del football è durata cento ore. Vittime: seimila morti, qualche decina di migliaia di feriti. Circa cinquantamila persone hanno perso casa e terra, molti villaggi sono andati distrutti"
dall'Autore Ryszard Kapuscinski
Il libro racconta alcune storie vissute dal giovane giornalista polacco Kapuscinski, durante i viaggi nei continenti africano e americano. La guerra del football è un capitolo del libro e della vicenda biografica dell'autore. La guerra tra Honduras e Salvador scoppia il 14 luglio 1969, proprio mentre il corrispondente si trova a Tegucigalpa. L'esercito salvadoregno invade l'Honduras. La tensione generata da una partita di calcio tra due nazionali alimenta una crisi più ampia e profonda, legata anche all'emigrazione precedente in Honduras di trecentomila salvadoregni.
La guerra lampo termina con una tregua e con il sostanziale mantenimento dei confini preesistenti. L'autore racconta anche le goffe movenze degli altri inviati esteri, l'incontro con un soldato honduregno che rischia la vita pur di aggiudicarsi degli scarponi lasciati al fronte, il volo "della speranza" in un elivelivolo riparato con travi di legno, oltre ad altri piccoli episodi in grado di riflettere la ricchezza percettiva ed emotiva dell'autore.
"Quando ritornai in me e aprii gli occhi, vidi un lembo di terra con sopra delle formiche che camminavano. Seguivano i loro percorsi in qua e in là, una dietro all'altra. Non era il momento più adatto per mettersi a osservarle, ma la sola vista di quelle formiche che marciavano tranquillamente, la vista di un altro mondo e di un'altra realtà, fu sufficiente a riportarmi in me. Pensai che se fossi riuscito a controllare la paura abbastanza per tapparmi le orecchie e guardare soltanto il movimento degli insetti, sarei riuscito a farmi venire un'idea sensata. Sdraiato tra gli arbusti folti, mi tappai forte le orecchie con le dita e, faccia a terra, contemplai le formiche"
dall'Autore Ryszard Kapuscinski
I frammenti sono tratti da "La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Ryszard Kapuscinski, Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 149-170"
Le cause extra sportive del conflitto
La densità demografica salvadoregna e la migrazione dei contadini in Honduras
«Quanto al vero motivo della guerra, eccolo: il Salvador, lo stato più piccolo dell'America centrale, ha la maggior densità di popolazione di tutto il continente americano (più di centosessanta abitanti per chilometro quadrato). Ci si sta stretti, tanto più che la maggior parte delle terre si trova nelle mani di quattordici grandi clan di latifondisti. Si dice addirittura che il Salvador sia "la proprietà privata di quattordici famiglie". Mille latifondisti possiedono esattamente dieci volte più terra di centomila contadini tutti insieme. Due terzi della popolazione rurale non possiedono terra.
Parte di quei poveri senza terra sono emigrati anni fa nell'Honduras, dove la terra di nessuno abbondava. L'Honduras (centododicimila chilometri quadrati) è quasi sei volte più grande del Salvador, ma possiede metà della sua popolazione (due milioni e mezzo circa). Fu un'emigrazione silenziosa e illegale, ma tollerata per anni dal governo honduregno. I contadini del Salvador si stabilirono nell'Honduras, vi fondarono villaggi e vissero un po' meglio che al loro paese. Erano trecentomila».
Le agitazioni degli anni Sessanta, la riforma agraria e gli espropri
«Negli anni sessanta sorsero delle agitazioni tra i contadini dell'Honduras che chiedevano terra. Il governo emanò un decreto sulla riforma agraria. Trattandosi di un governo oligarchico e dipendente dagli Stati Uniti, il decreto non prevedeva la divisione dei latifondi né delle terre appartenenti alla multinazionale americana United Fruit, che possiede in Honduras grandi piantagioni di banane. Il governo intendeva dividere tra i contadini dell'Honduras la terra occupata dai contadini del Salvador. Ciò significava che trecentomila emigrati salvadoregni dovevano ritornarsene in patria, dove non possedevano niente.
Ma il governo oligarchico del Salvador rifiutò di accogliere tutta quella gente, temendo una rivoluzione contadina. Il governo dell'Honduras insisteva, quello del Salvador rifiutava. I rapporti tra i due paesi erano tesi. Di qua e di là dalla frontiera i giornali promuovevano una campagna di odio, calunnie e invettive. Le due popolazioni si davano a vicenda dei nazisti, nani, beoni, sadici, ragni, aggressori, ladri, organizzavano pogrom, bruciavano negozi».
La scintilla calcistica
«Questa era la situazione quando si arrivò agli incontri di calcio tra le nazionali dell'Honduras e del Salvador. La partita decisiva si svolse in territorio neutrale, il Messico. Vinse il Salvador tre a due. I tifosi dell'Honduras furono sistemati da una parte dello stadio, i tifosi del Salvador dall'altra mentre nel mezzo sedettero cinquemila poliziotti messicani armati di grossi manganelli. Il calcio contribuì a rinfocolare lo sciovinismo e l'isteria patriottica, tanto necessari per scatenare la guerra e rafforzare il potere dell'oligarchia in entrambi i paesi.
Il primo ad attaccare fu il Salvador, che possedeva l'esercito più forte e contava su una facile vittoria. La guerra è terminata con una tregua. La frontiera è rimasta la stessa: una frontiera tracciata a occhio nella macchia e sulla quale entrambi i contendenti avanzano rivendicazioni. Parte degli emigrati è ritornata in Salvador, parte continua a vivere nell'Honduras».
Il legame del conflitto con il calcio
La partita d'andata in Honduras
«La prima partita si era svolta domenica 8 giugno 1969, nella capitale dell'Honduras, Tegucigalpa, senza che nessuno ci facesse caso. La squadra del Salvador, arrivata a Tegucigalpa il sabato, aveva passato in albergo una notte insonne. Causa dell'insonnia, la guerra psicologica scatenata dai tifosi dell'Honduras.
Una folla di persone intorno all'albergo si era messa a tirar sassi contro i vetri e a fare chiasso con lamiere e latte vuote. C'erano stati scoppi di petardi, strombazzate di clacson, fischi di tifosi: tutto perché la squadra ospite, esasperata e stanca, l'indomani perdesse la partita. In America latina si tratta di una procedura normale, nessuno se ne stupisce.
Il giorno dopo l'Honduras batté l'insonnolito Salvador uno a zero. Quando l'attaccante dell'Honduras,Roberto Cardona, segnò all'ultimo minuto il goal della vittoria, in Salvador la diciottenne Amelia Bolanos, che stava seduta davanti al televisore, si alzò, si precipitò alla scrivania dove il padre teneva la pistola e si sparò al cuore».
Il ritorno infuocato
«La settimana dopo, però, nella capitale del Salvador, San Salvador, allo stadio dal bel nome di Flor Blanca ebbe luogo la rivincita. Stavolta fu l'Honduras a non dormire: una folla di tifosi urlanti spaccò tutti i vetri dell'albergo lanciando all'interno tonnellate di uova marce, topi morti e stracci puzzolenti. I giocatori furono portati allo stadio dentro i carri armati della Prima divisione corazzata del Salvador per proteggerli dalla folla che, assetata di vendetta e di sangue, si era ammassata lungo il percorso e sventolava la fotografia dell'eroina nazionale Amelia Bolanos.
Lo stadio era interamente circondato dall'esercito. Attorno al campo c'erano i cordoni dei soldati del corpo scelto della Guardia Nacional con i mitra spianati... È ovvio che, in tali condizioni, i giocatori di Tegucigalpa non pensassero al gioco ma a come salvare la pelle. "Fortuna che abbiamo perso" commentò con sollievo Mario Griffin, allenatore della squadra ospite.
Il Salvador vinse per tre a zero. Sempre su un carro armato, la squadra dell'Honduras fu riportata direttamente dallo stadio all'aeroporto. Se la cavarono peggio i suoi tifosi, costretti tra pugni e calci a scappare verso la frontiera: due morti, vari feriti all'ospedale, centocinquanta automobili di cittadini dell'Honduras bruciate».
La previsione di Luis Suarez
«Luis Suarez aveva detto che ci sarebbe stata la guerra e io credevo sempre a quello che diceva Luis. Abitavamo insieme in Messico, Luis mi dava lezioni di America latina: che cosa era e come capirla. Era capace di prevedere un sacco di cose.
A suo tempo aveva predetto la caduta di Goulart in Brasile, la caduta di Bosch nella Repubblica dominicana e quella di Jimenez in Venezuela. Molto prima del ritorno di Peron sapeva che sarebbe stato ancora presidente dell'Argentina e aveva predetto anche la morte improvvisa del dittatore di Haiti, François Duvalier, cui tutti davano anni e anni di vita..
..Sapeva muoversi nelle sabbie mobili della politica locale dove dilettanti come me affondavano senza speranza commettendo errori a ogni passo. Questa volta Luis disse che ci sarebbe stata la guerra. Aveva appena messo via il giornale con la cronaca della partita di calcio tra le squadre dell'Honduras e del Salvador, che affrontavano le qualificazioni per il Campionato del mondo annunciato per l'estate del 1970 in Messico...
...Dopo aver letto questi fatti sul giornale, Luis disse che sarebbe scoppiata la guerra. A suo tempo era stato un bravo corrispondente, sapeva di che cosa parlava. "In America latina," disse, "il confine tra football e politica è molto sottile e lunga è la lista dei governi caduti o rovesciati dall'esercito per una sconfitta della nazionale. I giocatori della squadra perdente vengono definiti dalla stampa traditori della patria».
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