Pubblichiamo l'intervista di Emanuela Audisio, nel 2003, a Manuel Vazquez Montalban. Per parlare di calcio e letteratura. E Barcellona ovviamente.
Lo scrittore catalano sarebbe morto nell'ottobre dello stesso anno, stroncato da un infarto nell'aeroporto di Bangkok. Oggi avrebbe 83 anni anni. Era nato, infatti, il 14 luglio 1939, in quella Barcellona in cui si aggirava il suo Pepe Carvalho, detective dal fiuto sopraffino e dalla bocca raffinata. Per capire gli intrecci tra letteratura e calcio, ma anche politica e società, proponiamo la versione integrale di quella, fantastica, intervista.
Montalban: Spagna mia, quante star inutili
Si starà consolando con un bianco del Penedes. Nella sua casa sopra Barcellona, con una cucina funzionale, ma vecchio stile. Seduto nel salotto, mentre fuori nel giardino i suoi due cani abbaiano. E sulle pagine, il suo personaggio più famoso, Pepe Carvalho, è in fuga per il mondo. Due italiane, protagoniste per l'Europa. E la Spagna, ricacciata nel ruolo di guardona.
Allora Manuel Vasquez Montalban, è una finale dura da digerire?
Per la Spagna che non ci è arrivata, lo è, eccome. Si era tanto parlato di Real e di Barcellona, di nuovo calcio iberico, antagonista a quello italiano. E invece stiamo a guardare. Abbiamo le star: Ronaldo, Zidane, Raul, abbiamo campioni capaci di risolvere da soli la partita, ma quando non ci riescono?
Cos' è, si lamenta del calcio che punta allo spettacolo, al numero da esibizione?
Mi lamento di un calcio spagnolo che rispetto a quello italiano non ha avuto gioco collettivo. I suoi campioni non sono riusciti ad andare in gol, il resto della squadra nemmeno. Non sarà un caso che in questo momento la formazione leader nel campionato spagnolo, con un punto di vantaggio sul Real, non è una squadra di ricconi, ma il quasi sconosciuto Real Sociedad.
Quella che ha il turco Nihat e come attaccante Kovacevic?
Sì e il tecnico francese Denoueix in panchina. Almeno loro un'idea di gioco ce l'hanno, Real e Barcellona invece puntano sulla pura individualità. Ma se il trapezista ha il mal di testa chi fa il salto mortale? Comunque la Juve contro il Real mi ha impressionato, mai vista così tanta attenzione e concentrazione. Per me è stata una sorpresa. Quando vedi un gruppo di uomini stare così attaccati alla loro idea, alla loro preda, non puoi non complimentarti per la determinazione.
Anche lei dirà che tra Agnelli e Berlusconi è una finale tra un vecchio e nuovo padrone.
La trovo una finale straordinaria. Così come trovo straordinario studiare l'origine politica del calcio. Togliatti, capo del partito comunista, tifava Juve. Berlusconi che è un leader mediatico usa e vende il Milan come propaganda. Agnelli con la Juve si è costruito un consenso popolare. Il nostro stesso premier Aznar, che ha una predisposizione per l'ideologia imperiale, è vicino al Real. Ma la cosa più importante è che il cliente del calcio se ne frega di tutto questo. Anzi è piuttosto schizofrenico. Vota un partito e tifa in maniera sfegatata per la squadra che appartiene al nemico politico. Io ormai il calcio lo chiamo la comunione dei santi. E' un'offerta all' interno del mercato della religione, nemmeno dello spettacolo. E' come andare a messa, con il calciatore al posto del sacerdote, con un certo rito da osservare. C'è l'attesa, la speranza, la consolazione, l'identità, la soddisfazione, c'è la costruzione di un immaginario. Che va oltre il capo del governo e di un'azienda. Si è del Milan o della Juve a prescindere dai presidenti delle squadre. Sa cosa mi ha riferito un grande giocatore come Jorge Valdano?
Le ha confessato un segreto da spogliatoio?
Mi ha detto che tutta la memoria del calcio dipende da attimi magici. Che il mondo si ricorda di Pelè, di Maradona, di Di Stefano perché nella mente ha un'immagine, un'azione, un gol. E per tutta la vita il calcio sarà quel momento. E così che si costruisce una fede, è così che da ragazzi si comincia ad appartenere ad una squadra e non si smette mai.
Lei per chi tifa?
Trovo il Milan una buona squadra, in tutti i reparti. Maldini è insostituibile, come il Papa. Anche se non capisco quello che sta capitando a Rivaldo. E' un problema di rapporto con la cultura nazionale, si vede che la soffre. Anche altri, come Kluivert, si sono trovati male in Italia. Nella Juve la genialità è di Del Piero, ma l'organizzazione, l'intelligenza e la strategia sono di Nedved, che non ci sarà. La Juve mi pare più laica, più fredda, vedi che sa vincere e che ha sempre voglia di farlo.
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Perché in Spagna e in Sudamerica molti scrittori scrivono di calcio e in Italia no?
Perché tradizionalmente in questi paesi per la mia generazione scrivere di calcio voleva dire poter criticare la dittatura e gente come Franco, perché la destra ha sempre usato il pallone e su di esso è stata capace di costruire e di mobilitare un potere politico, sociale, culturale. O forse perché in Italia gli scrittori credono che il calcio sia un tema troppo basso da trattare. Da noi a parte me e Javier Marìas c' è anche il signor Racioneo. E' il capo della biblioteca nazionale di Spagna ed anche è il commentatore sportivo del Mundo Deportivo, giornale della Catalogna. Noi non pensiamo che scrivere di sport sia un mestiere inferiore.
Farà bene all'Italia questa finale un po' da incesto?
Certo. Risolleverà l'immagine del paese. Porterà un po' di prestigio. Sarà un ottimo spot, anche se non riguarda una supremazia in campo economico o quello in una strategia militare. Soprattutto un anno dopo i mondiali, quando il calcio italiano tornò a casa a mani vuote, sconfitto da sé stesso e dagli altri. Perché la nazionale azzurra che ha una grande tradizione, rispetto a quella assai modesta della Spagna, ha anche il difetto di congelare tutto il nuovo e il buono che viene dal campionato. Più che esaltare i giocatori, li deprime. Con un tatticismo che imprigiona e paralizza.
Pepe Carvalho per chi terrebbe?
Magari per l'Arcigola o per lo Slowfood. Per un paese dove a parte saper giocare, si è ancora capaci di mangiare.
Dall'archivio de La Repubblica, 28 maggio 2003
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