Oggi proponiamo questo racconto di Giulio Giusti, che s'ispira a un fatto realmente accaduto anni in fa in un campionato minore scozzese.
7 a 0 era un passivo troppo pesante per qualsiasi portiere, anche per uno come Michele Petruzzellis, portiere la domenica e caldaista durante la settimana. Sì, caldaista. Un bravo caldaista, quello che, per intenderci, ripara le caldaie. Nella provincia di Pavia, nel suo campo, era ritenuto un vero mago. Col suo furgoncino percorreva chilometri e chilometri tra Voghera, Vigevano e Vidigulfo. La sua maestria nel riparare caldaie era così nota che a volte lo chiamavano pure da Milano.
Michele aveva un'altra grande passione: il calcio. Era cresciuto nelle giovanili del Bitonto in provincia di Bari. Per tutti era una promessa, al punto che a quindici anni fece un provino per il Milan. Non fu scelto, ma il viaggio in Lombardia gli spalancò scenari sconosciuti. Visto che il grande calcio non lo voleva, decise che si sarebbe buttato nel lavoro e trasferito in Lombardia. Iniziò a fare pratica da un suo zio che faceva l'idraulico a Pavia e, col passare del tempo, si specializzò, dirigendo i suoi interessi verso le caldaie. Non dimentico, però, l'amore per il pallone e continuò a giocare nelle serie minori, dove era una specie di stella. Girò varie squadre finché non trovò la consacrazione a Gerenzago dove decise pure di acquistare una casetta. La squadra locale navigava tra la Promozione e l'Eccellenza e lui, in poco tempo, divenne il capitano e l'eroe del paese. Tutti gli volevano bene, la squadra non era granché ma lui era il valore aggiunto. Una stagione parò pure dieci rigori, facendo sfiorare la serie D ai suoi. Gli arrivarono pure offerte per fare la riserva in serie C, ma Michele ormai aveva deciso: o la gloria o un lavoro sicuro. Nella sua scala dei valori venivano al primo posto le caldaie e il calcio al secondo. Non si era costruito una famiglia. Troppo dedito al lavoro e troppo timido per cercare una fidanzata. Il suo primo amore era rimasto a Bitonto: Maddalena, una sua vicina di casa che l'aveva lasciato dopo che lui era partito da ragazzo per il nord.
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Passarono gli anni e a 43 era ancora sulla breccia. Solo che le caldaie gli rubavano sempre più tempo e il suo fisico si era tremendamente appesantito. A vent'anni i suoi 190 centimetri d'altezza ospitavano 75 chili, ora ne dovevano sopportare con terribile fatica 115. I riflessi non erano più quelli di una volta, la vista si stava appannando e l'eccessivo lavoro e il sovrappeso avevano ridotto la sua schiena a uno straccio bagnato. La domenica poi non era più il migliore in campo. Non veniva sostituito solo per il troppo rispetto che gli portavano l'allenatore e il presidente del Gerenzago.
Quel 7 a 0 però non poteva essere digerito, suonava per Michele come un consiglio che diceva: "ritirati".Durante la settimana ebbe il coraggio di parlare allo spogliatoio come un vero capitano: "l'ho capito, ragazzi, devo dire basta. A fine anno smetto. Vi chiedo solo di darmi l'occasione per chiudere in bellezza".Un lungo applauso e qualche lacrima accolse le sue parole.
Mancava ancora tutto il girone di ritorno per recuperare l'onore perduto e chiudere con dignità la porta e la carriera. Michele iniziò per prima cosa a contenersi a tavola e rinunciò a dei lavori extra per intensificare gli allenamenti. Decise di non fare più straordinari per un po'. Approfittò poi di una sosta del campionato che si fermava per un paio di settimane. Riacquistò così un briciolo di tonicità. I risultati furono evidenti: Michele sembrava aver ritrovato la forma migliore e tra i pali era tornato a volare come un gatto.
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Michele non vedeva l'ora di giocare. Alla ripresa del campionato sarebbe venuto a far visita al Gerenzago il Graffignano per un derby sentitissimo dalle due tifoserie. Prima della gara un fitto nebbione vestì Gerenzago. Michele aveva imparato a conoscere bene quella nebbia. Sia col suo furgone quando girava per sistemare le caldaie sia da portiere quando a volte dal nulla sbucavano palloni velenosi. La partita iniziò in un'atmosfera irreale. Michele dalla sua porta non vedeva pressoché nulla, né le maglie gialle dei suoi avversari, né la curva dei suoi tifosi posti nel primo tempo dietro la sua porta. La nebbia limitava la sua visuale al solo limite della sua area di rigore. Davanti a sé solo i fidi compagni di difesa: Balassi, Manzoni e Tessarin, ma, dopo pochi minuti, furono ingoiati anche loro dalla nebbia. Michele era teso, voleva parare, riscattarsi e far vedere a tutti che non era finito. Ma a chi l'avrebbe fatto vedere? Se lui stesso non vedeva nulla, gli altri come avrebbero potuto vedere lui?
Rimase piegato sulle gambe all'altezza della linea che delimita l'area piccola della porta come se dovesse parare un rigore, perché pensava che dalla nebbia sarebbe uscito, prima o poi, un tiro insidioso e lui l'avrebbe parato. Lui era lì, pronto ad aspettare quel tiro per fare vedere a tutti che non era solo un ottimo caldaista ma pur sempre un bravo portiere che un giorno lontano aveva fatto un provino per il Milan.
Passavano i minuti, aveva perso il conto, non riusciva a vedere l'orologio dello stadio. Di Balassi, Manzoni e Tessarin non c'era più traccia, così come degli altri compagni e degli avversari. Non giungeva alle sue orecchie neppure il rumore del pubblico, le urla degli allenatori e il fischio dell'arbitro. Pensò: "caspita, li abbiamo rinchiusi nella loro area!"
Michele, tuttavia, non cedeva di un millimetro, era sempre più concentrato, sempre più teso nell'attesa di un tiro, sempre più piegato sulle ginocchia già gravate dal sovrappeso e da un'artrosi galoppante. Dopo i minuti passarono le ore. Michele provò a rizzarsi un attimo in piedi per sciogliere i muscoli, non ce la fece, la sua schiena piegata e tesa non rispondeva più ai comandi. Crollò al suolo ripiegato in due come un vecchio giornale, vinto dal dolore, dall'umidità e dal sonno.
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La partita era stata sospesa, se n'erano accorti tutti tranne lui che ormai distrutto dalla stanchezza si era addormentato con la nebbia a fargli da coperta. Sognò a come sarebbe andata la sua vita se un pomeriggio di troppi anni fa il Milan l'avesse scelto. Si vedeva a Wembley in finale di Champions League a parare rigori su rigori. Rigori che non venivano calciati ma sbucavano da un banco di nebbia e lui li parava tutti. Sognava di sollevare la coppa quando fu svegliato da una risata. Erano dei bambini tutti intorno a lui che giocavano e tiravano il pallone nella sua porta sguarnita. Lui era disteso a terra e loro lo guardavano ridendo. La nebbia era andata via, la partita non era più ripresa e i custodi avevano aperto il campo per i bambini. Michele si rese conto che aveva passato almeno tre ore disteso nella sua area di rigore a difendere la porta contro degli avversari inesistenti. Si alzò con uno sforzo indicibile aiutato dai ragazzini. Uscì dal campo senza passare dagli spogliatoi. Salì in tenuto da gioco sul suo furgone dove campeggiava la scritta: "Michele Petruzzellis - installazione e riparazione caldaie e canne fumarie".
La nebbia era scomparsa. Michele accese il motore e decise di tornare a Bitonto.
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