L'amicizia con Mohammed Alì, le interviste a Diego Armando Maradona, le cene con Sergio Leone e tanto, tanto altro. Il giornalismo piange Gianni Minà, un gigante della penna.
Era l'unico uomo al mondo che è stato capace di far sedere allo stesso tavolo Sergio Leone, Robert De Niro, Gabriel Garcia Marquez e Mohammed Ali. O di portare in giro in macchina i Beatles e permettersi di chiamare a qualunque ora Federico Fellini o di essere considerato un fratello da Diego Armando Maradona. Questi giganti avevano in comune di essere suoi amici e di fidarsi ciecamente di lui. Parliamo di Gianni Minà che ci ha lasciato a 84 anni dopo aver lottato col suo cuore ballerino, stremato da una vita frenetica e dalle troppe notti insonni in giro per il mondo innamorato del suo mestiere. Tra i grandi del giornalismo italiano nessuno come Minà è riuscito a meglio interpretare il mestiere come una missione. Aveva il pregio di arrivare sempre al cuore della notizia. Erano altri anni, non c'erano, in particolar modo nello sport, gli uffici stampa che oggi rendono inarrivabili e insopportabili i protagonisti. Non esistevano le interviste preconfezionate con le domande pattuite a tavolino. Lui, tra tutti i suoi colleghi, era quello al quale i campioni o gli artisti concedevano volentieri un'intervista esclusiva proprio perché sapevano che non sarebbero mai stati ingannati e tutto quello che veniva prima di quel colloquio, ossia un rapporto di amicizia e confidenze anche intime tra atleta e cronista, non sarebbe mai stato tradito.

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Iniziò sulla carta stampata a Tuttosport ma fu in televisione che trovò la sua vera realizzazione. Crebbe alla scuola di un altro grande come Maurizio Barendson con programmi che avrebbero fatto la storia del piccolo schermo come Dribbling. Poi volò da solo, spaziando dallo sport, al cinema, dalla letteratura alla musica e occupandosi particolarmente di politica, dove si guadagnò la fiducia di Fidel Castro. Per la sua amicizia col leader cubano fu aspramente criticato e osteggiato da un certo tipo di stampa. Così come molti lo prendevano in giro per la sua passione per il mondo sudamericano. Minà dedicò gran parte della sua vita, soprattutto gli ultimi decenni, alla difesa degli oppressi e degli ultimi con articoli, libri, reportage e film. Questo suo impegno ma soprattutto l'aver sempre la schiena dritta senza mai piegarsi al direttore o al capo struttura RAI di turno gli costò l'ostracismo da parte di molti potenti.Soprattutto Craxi, che non lo tollerava, ne ostacolò la carriera. Ma Minà, incurante, andava dritto per la sua strada. Se non poteva fare un programma in televisione, s'inventava un libro o un documentario.
Tra tutti i grandi dello sport quello con cui era più amico è stato Maradona, insieme al quale girò un'intervista confessione passata alla storia: "non sarò mai un uomo comune". Una testimonianza toccante di uno dei periodi più bui della vita del Pibe de Oro che ebbe un seguito allargato alcuni anni dopo, quando il giornalista fece uscire un cofanetto di 10 dvd dedicato a Diego. L'opera ebbe ed ha ancora un successo mondiale.
Sicuramente non verranno fatti funerali di Stato per Gianni Minà, la nostra non vuole essere una polemica, speriamo almeno che la RAI trasmetta, in suo onore e ricordo, qualche sua intervista o qualche servizio come esempio di un modo di fare giornalismo. Un modo scomparso ma di altissimo livello, esempio degli anni d'oro della nostra tv di Stato.
Foto in copertina: Il Messaggero
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