Fabio Patuzzi, allenatore dei portieri del settore giovanile del Brescia, si racconta al Catenaccio. Ha lavorato anche per la Milan Academy, per l'Avellino (dove è stato il preparatore dei portieri più giovane a vincere il campionato di categoria), e vanta un'esperienza internazionale a Singapore.
Abbiamo parlato del suo rapporto con i più giovani, di portieri, delle sue passioni, e di un format interessante e utile per chi allena – già disponibile – che ha recentemente progettato.
"Insegnare è toccare una vita per sempre".
A quando risale questa massima a te cara?
Si tratta di una frase che mi ha impressionato, detta da una persona a me cara. Questa massima ha risuonato fin da subito in me, ed è diventata un mantra per ricordarsi quotidianamente in cosa consista la missione di un allenatore. In particolare, la missione di chi lavora a stretto contatto con i più giovani. Noi allenatori siamo degli esempi: non solo con le nostre parole, ma anche con i gesti, le scelte e le abitudini che ci accompagnano. Se vado al campo con la sigaretta o il cellulare in mano sto veicolando una certa immagine, visto che rappresento un punto di riferimento. Evitare di esibire certi aspetti ai ragazzi non equivale a dar loro un'immagine falsa! Piuttosto, significa rispettarli in quelle ore trascorse insieme. I rapporti sono bidirezionali. Occorre riconoscere che – quando si parla di formazione – i protagonisti sono i ragazzi, ancor prima dell'allenatore. È importante non prendersi la scena. Questo si traduce anche in un altro aspetto: l'allenatore bravo non utilizza i ragazzi come trampolini di lancio per sé. Le soddisfazioni per chi allena non mancano e non coincidono strettamente con la gloria. Sarebbe limitante pensarlo! Ce ne sono molte di più!
Cosa significa lavorare con i più giovani?
Parlavo di rapporto bidirezionale tra allenatore e ragazzi. C'è sempre uno scambio. Anche i ragazzi insegnano. Un bravo allenatore sa aprirsi in tal senso. L'età che va dai 15 ai 17 anni, poi, è una delle più delicate. I ragazzi sono già formati, ma si può ancora incidere. Ci sono dimostrazioni importanti di ciò, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita.
Se dovessi ricostruire le tappe principali del tuo percorso fino a ora, quali menzioneresti?
Intanto è importante partire da una premessa. Sono stato 12 anni nel settore giovanile professionistico, percorrendo le varie tappe tra i pulcini e la Berretti. Ricordo che disegnavo gli esercizi che l'allenatore proponeva, una volta tornato a casa dal campo. A 12-13 anni avevo già la passione per gli aspetti che caratterizzano un allenatore: mi piaceva contribuire all'organizzazione degli allenamenti, spronare i compagni o dare loro consigli in modo genuino. Ricordo che mi piaceva ispirarmi alla figura del Mister (nella fattispecie: Sergio, padre calcistico che purtroppo è venuto a mancare, ma che mantengo vivo nel cuore). Tutti sanno che l'alternanza tra portieri è un tema sensibile nelle squadre, fin dai giovanissimi. Quando non giocavo, ero ben lieto di dare consigli in modo spontaneo a chi scendeva in campo, dal riscaldamento fino alla partita.
A 17 anni arriva la chiamata del Mantova, società importante retrocessa dalla B e fallita, pronta a ricominciare dalla D. Giocavo con gli Juniores nazionali ma ero spesso aggregato alla prima squadra. In quel periodo, ho capito che la mia carriera era quasi giunta al capolinea: non per lacune tecniche o per doti psicofisiche inadeguate, anche se sono alto "solo" 1,75 (dice Fabio sorridendo). Questa sensazione è stata metabolizzata pian piano negli anni avvenire: non ho smesso subito di giocare. Fino ai 21 anni sono rimasto tra i dilettanti. Nessuno vorrebbe smettere di giocare, soprattutto dopo 15 anni di settore giovanile professionistico, a un passo dal realizzare un sogno. Dopo tanti anni di sacrifici, non è stato facile. Ho capito (o quantomeno accettato), infine, che in quanto calciatore avrei potuto non farcela. Non ho mai dimenticato, tuttavia, la passione dimostrata fin da bambino per la gestione degli allenamenti. Questo mi ha spinto – in un momento delicato dal punto di vista sportivo – a tentare la carriera da allenatore. Nonostante a 21 anni abbia "appeso i guantoni alla traversa" (stando al gergo del portiere), ho fin da subito abbracciato la possibilità di imprimere una svolta alla mia storia calcistica. Questa consapevolezza è stata raggiunta proprio a Mantova, anche se avrei potuto continuare a giocare ancora per una decina di anni in serie minori, guadagnando qualcosa e divertendomi.
Per prima cosa, mi sono iscritto all'Università, all'indirizzo di scienze motorie. Poi, ho iniziato a fare alcuni piccoli lavori. Già da alcuni anni, avevo avuto modo di collaborare con piccole realtà sportive locali o squadre di paese, soprattutto in Camp estivi o piccole esperienze in montagna. Non erano veri e propri lavori: a volte beneficiavo di un rimborso spese o di una cifra simbolica, altre volte no. Ora, sono 5 anni che ho trasformato la mia passione nel lavoro della mia vita. A ciò hanno contribuito anche alcuni miei tratti personali: sono una persona meticolosa, attenta e organizzata. Da quel momento è stato un crescendo: prima è arrivata la Milan Academy, poi l'esperienza internazionale a Singapore. Al rientro in Italia, ho preso il patentino da allenatore. L'anno successivo, invece, è arrivata la chiamata dell'Avellino e sono proseguite le soddisfazioni!
Come nasce l'esperienza a Singapore? Come hai vissuto questa tappa?
Un ex allenatore del settore giovanile del Lumezzane era andato al Milan come Direttore tecnico dell'accademia rossonera nel mondo (AC Milan International Academy). In carriera, ero stato suo allievo. È stata questa "vecchia" conoscenza – in nome della stima reciproca – a propormi di provare un'esperienza internazionale. Nel giro di un mese mi sono organizzato e sono partito per l'Asia. Mi sono laureato in scienze motorie prima di partire per l'estero: ho discusso la laurea a luglio e sono partito già ad agosto. Ho ancora in mente le 14 ore di volo per raggiungere Singapore. Ricorderò sempre, poi, il dislivello linguistico tra quando sono arrivato e quando sono ripartito. All'inizio avevo una conoscenza dell'inglese "scolastica". Quando sono tornato in Italia, ero abituato a pensare in inglese. Ricordo alcuni episodi divertenti risalenti ai primi tempi. La prima settimana ho impiegato ben 4 ore per fare la spesa perché non sapevo dove fossero i prodotti che mi servivano e mi vergognavo a chiedere la pasta in un mega centro commerciale.
Singapore è una bella realtà: ci sono tante culture: cinese, indiana, locale. Soprattutto, ci sono molti expat: persone che provengono da fuori, lavorano molti anni qua e poi ripartono dopo aver incamerato quanto prestabilito. Il costo della vita è molto alto, perché è un paese all'avanguardia: pulito, ordinato, e in grado di offrire molti servizi di alta qualità. Ho, poi, anche un ricordo tenero che rievoco con emozione. Omar, un giovane portiere di 12 anni, si propose di fare uno scambio: lui mi avrebbe insegnato l'inglese, io gli avrei insegnato i fondamenti del portiere! Conservo ancora un disegno che mi regalò al momento della mia partenza. Questo è senza dubbio uno dei ricordi più felici che conservo di quell'esperienza. A Singapore ho trascorso 6 mesi intensi dal punto di vista umano e personale. È stato il desiderio di crescere professionalmente a riportarmi nel Vecchio continente. Tra i motivi che mi hanno spinto a tornare, anche l'obiettivo di prendere il patentino da allenatore (in particolare, quello per il settore giovanile dei portieri).
Dopo Singapore torni in Italia… Cosa hai fatto poi?
Una volta tornato in Italia, per prima cosa ho preso questo patentino. Poi, ho iniziato a collaborare con una scuola privata per portieri a Brescia – che si chiama Crescere Portiere – e ho insegnato in palestra. Nel 2018, poi, arriva una chiamata graditissima dal direttore sportivo dell'Avellino. Questa, ad oggi, è stata la più importante e significativa tappa della mia carriera. Dopo un'amichevole con la Roma, i tifosi avvertono la squadra del fallimento dello storico Avellino. Subentra una nuova società: cambiano i dirigenti e lo staff tecnico. Si riparte dalla Serie D. La squadra di prima categoria dove mi trovavo mi ha liberato verso il mio sogno. Era agosto. Giocatori e allenatori sanno che ormai in questo periodo dell'estate le rose e gli staff sono già al completo. Nel mio caso, si è creata una situazione propizia.
A fine anno, è arrivata la promozione dalla D alla Lega Pro, vincendo lo scudetto di categoria. All'Avellino sono stato il preparatore dei portieri in quella stagione. È stata un'immensa soddisfazione personale e collettiva. Da un lato sul piano sportivo perché ho ricevuto premi e riconoscimenti gratificanti, come ad esempio il fatto di essere stato il preparatore dei portieri più giovane in Italia a vincere un campionato nelle 4 divisioni più importanti (dalla A alla D). Dall'altro, sul piano personale perché – ancora una volta – ero lontano da casa a 25 anni, agli inizi di una nuova avventura. Chi conosce il calcio, tuttavia, sa che è costituito da momenti e che è molto veloce. Così, dopo un anno a dir poco fantastico, c'è stato un ulteriore avvicendamento societario all'Avellino, e la rivoluzione ha riguardato anche me.
Come è proseguita la tua carriera dopo Avellino?
Come la vita insegna, mi sono fin da subito rimesso in gioco. Quell'anno mi ha contattato la Calvina – in Serie D da due anni al momento del mio arrivo – società molto organizzata e soprattutto vicina geograficamente alla mia città natale, Brescia. Non ho avuto dubbi nell'accettare la loro proposta. È stata una buona annata: il portiere titolare è stato convocato anche per una selezione del Torneo di Viareggio (che non si svolgerà…), a dimostrazione della bontà del lavoro svolto. Mentre la squadra naviga al terzo posto arriva un nuovo imprevisto: la pandemia da Covid19 che ferma il mondo intero. Cala così, in modo gelido, il sipario su una stagione fino ad allora estremamente positiva. Chi vive il calcio, deve sempre essere pronto a rimettersi in gioco: si sale e si scende in un attimo… Ma soprattutto, si deve dare il massimo anche nelle situazioni più difficili, e non mollare! A fine stagione, infatti, è arrivata la chiamata del Brescia, per allenare i portieri del settore giovanile (U15-16-17). Questo è il secondo anno alle Rondinelle. Il Brescia è un'eccellenza sportiva del calcio italiano e la società è molto cresciuta: c'è un ottimo livello di organizzazione, strutture adeguate (come il nuovo centro sportivo e lo stadio rinnovato) ma anche dal punto di vista sportivo c'è la possibilità di competere su tutti i fronti.
Parliamo di portieri…
Sono cresciuto con la mania di Gigi Buffon. Lui è il mio idolo indiscusso, e spero di incontrarlo prima o poi. Ho letto il suo libro e lo ho seguito fin da sempre. Per il passato, invece, dico Lev Ivanovič Jašin, il ragno nero (o la pantera). Ho letto la sua biografia e ho fatto realizzare una sua miniatura. Purtroppo, lo ho conosciuto solo indirettamente, essendo venuto a mancare negli anni '90, quando io sono nato (Fabio è classe '93). Ho una grande passione per i portieri vintage! C'è un mondo dietro: divise colorate e sgargianti o altri attributi da collezionare o imitare! Vengono definiti i Locos: alcuni esempi sono Lupatelli, di cui indossavo la numero 10 sui campi dell'oratorio, oppure il messicano Jorge Campos. Più recentemente ho apprezzato molto Casillas.
Venendo al giorno d'oggi, apprezzo particolarmente i portieri mancini, quelli che calciano col sinistro. Uno dei migliori – è innegabile – è proprio Ederson, che Pep Guardiola (ex bresciano) non si è lasciato scappare. Per me è un godimento sportivo vederlo giocare. È un'attrazione innata, una passione ancestrale quella che provo per i portieri mancini. Per il futuro però dico due nomi. Il primo è quello di Donnarumma, indipendentemente dalla sfortunata partita del Bernabeu. Il secondo – e proviene dalla cadetteria – è quello di Carnesecchi.
L'Atalanta ha preferito altri portieri, ma ne ha mantenuto il controllo. In prestito alla Cremonese, sta mostrando a tutti il suo potenziale. I portieri hanno una carriera mediamente più lunga e lui può crescere ancora tanto, perché è classe 2000. Se posso aggiungere, infine, un terzo nome, dico Cragno del Cagliari. È una bravissima persona, oltre che un grande atleta nonostante la stagione difficile in Sardegna. Cragno esce dai canoni perché è 1,84 cioè non altissimo e piazzato, ma compie interventi incredibili, soprattutto in una squadra abituata a subire.
Parlaci della tua ultima idea… è vero che hai in serbo un format interessante?
Parto da una premessa: sono una persona nostalgica e amante del vintage. Apprezzo la possibilità di scrivere ancora con carta e penna, ma la tecnologia può rivelarsi un'ottima alleata. Ancora oggi, molti allenatori dei portieri (e non solo) girano con foglietti, bigliettini o quaderni scarabocchiati, durante gli allenamenti, nel pre-partita, nello spogliatoio o in panchina. Questo ha indubbiamente il suo fascino. Tuttavia, mi è venuta un'idea, in parte anche per ripulire graficamente e rendere più ordinato questo rito necessario. Lo spunto me l'ha offerto PowerPoint, applicazione che i più conoscono, facile e divertente da usare. Attraverso questo strumento è possibile programmare gli esercizi da portarsi in campo, disegnandoli digitalmente, senza tuttavia rinunciare al formato carta e penna. Quest'idea è stata apprezzata e sta prendendo corpo. Ognuno si va a creare il proprio esercizio come preferisce. È possibile anche acquistare il file completo. Inoltre, il file è condivisibile e modificabile in Drive e ognuno può personalizzare gli esercizi, correggerli, aggiungerli o toglierli. In un certo senso, si ripropone lo spirito di condivisione alla base dell'enciclopedia settecentesca.
Sono riprodotti graficamente tutti gli strumenti necessari all'allenamento. Questi possono essere inseriti e spostati a piacimento nelle diapositive, che raffigurano le diverse parti di un campo da gioco. Ci sono portine, sagome, cinesini e i più diversi strumenti di allenamento. Puoi creare un esercizio selezionandoli e inserendoli, colorandoli, spostandoli, unendoli. L'utilità di questo file è di programmare il lavoro in modo più veloce e piacevole, raffigurando con precisione, ordine e pulizia schemi e situazioni, senza avere biglietti o scarabocchi a bordo campo. Il file naturalmente può anche essere stampato per comodità. In questo modo aumenta l'efficacia perché la visualizzazione è più veloce, comoda e adatta alla mente di un atleta che sta giocando (essendo saliente, chiara e intuitiva). Inoltre, ben si sposa con le fasi più delicate di un incontro come il pre-partita, l'intervallo o il momento di una sostituzione. Per saperne di più è possibile contattarmi privatamente anche sul mio account Instagram, trascritto a fine intervista.
Fabio… una dedica per qualcuno di speciale?
Alle persone per fondamentali: mamma Costanza, papà Romeo, e Nadia, "la mia forza quotidiana", che mi sostiene nelle idee e nei progetti supportandomi. Queste persone mi sono sempre state accanto. Sono i miei "primi" tifosi! Ma sono grato ad ognuno dei miei compagni di viaggio. In particolare, a Michele, amico fraterno, persona a cui sono particolarmente legato.
Ringraziamo Fabio (e la società Brescia calcio) per l'intervista e per la cortesia, ma soprattutto gli facciamo i complimenti per la sua carriera fin qui brillante, augurando il meglio a lui e ai suoi ragazzi dal punto di vista umano e professionale!
Qua potete trovare il suo contatto Instagram per seguirlo e contattarlo per info sul Format
(Fabio Patuzzi: https://www.instagram.com/fabiopatu/)
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