"Grande Roma! Sempre grande Roma!". Quando capisce da dove lo chiamiamo Francisco Govinho Lima ha subito la risposta pronta. In fondo quella maglia l'ha indossata per 131 volte, indossando anche il tricolore sul petto. Arriva e vince subito la Supercoppa Italiana "e non ho mai perso un derby!" ci dice fiero. Poi saranno quattro anni di alti e bassi prima di riprendere il giro del mondo. Dalla Russia al Qatar, dal Brasile alla Puglia, dove oggi allena i più piccoli.
In questa intervista esclusiva per Il Catenaccio riavvolgiamo il filo dei ricordi, per tornare alla Roma scudettata, a Fabio Capello e a quando Lima era per tutti "Duracell".
Mister, come sta andando questa nuova vita da allenatore?

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Di chi?
Di mister Fabio Capello, che per me è stata una delle figure più importanti della carriera. Mi voleva bene, mi trattava in un modo unico e fu fondamentale per il mio ruolo in campo.
Spostandola sulla fascia.
Esatto, lì potevo dare il meglio di me. Don Fabio era un grande allenatore, il migliore della mia vita. Dentro il campo metteva sé stesso, sapeva parlare con i giocatori nei momenti giusti, sapeva riprenderli quando sbagliavano, sapeva motivarli quando la squadra stava bene, sapeva frenarli quando voleva che qualcuno riposasse. I giocatori della Roma vogliono sempre giocare, vogliono sempre scendere in campo, nessuno vuole stare in panchina. Ma lui era unico, sapeva come dirlo, sapeva amministrare tutti i giocatori, fuori e dentro il campo. Ci diceva che ognuno di noi dovevamo assumere la responsabilità di giocare nella Roma, ogni occasione. Questa era la cosa più importante, ognuno di noi aveva una responsabilità e dovevamo metterla in campo.
E fuori che allenatore era?
Unico anche lì, sapeva parlare con tutti, rideva, scherzava. Era bello, sapeva motivare il gruppo, parlare nei momenti difficili. Faceva di tutto per la squadra.
Qual è la partita più emozionante che ha giocato?
Ovviamente il Derby. Guarda, ho giocato la Champions League contro il Real Madrid, il Barcellona, il Liverpool, ma niente supera i derby. Quello del 5 a 1 poi è stato unico, quattro gol di Montella e uno di Totti. Una partita indimenticabile. Iniziò subito bene, il mister ci diceva che era la partita più importante della stagione e anche noi la pensavamo così. Quando si giocava con la Lazio era una finale. E io non ho mai perso un derby! Con la Roma ne ho giocati otto, ne ho vinti cinque e ne ho pareggiati due. Entravamo in campo con una grinta unica, tutti, da Antonioli a Batistuta, entravamo per vincere. Vedere tutto lo stadio pieno poi ti dava la carica. Vedevi il calcio, oggi non lo vedi più, è cambiato tutto.
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Riserva, titolare, gregario poi dirigente, segretario, allenatore addirittura traduttore. Giorgio Carpi, per la "sua" Roma, avrebbe fatto di tutto.
Mister, se lo ricorda ancora come la chiamavano a Roma?
Certo, Duracell! Era un soprannome che mi portai dal Brasile, quando ai tempi del Ferroviario, il primo club dove ho giocato, continuavo ad allenarmi quando tutti se ne andavano a casa. Spegnevano le luci del campo e io ero ancora lì, nel buio, a correre. Dieci, venti giri di campo. Mi chiamavano anche "Polmone d'acciaio".
La sta seguendo un po' la Roma di Mourinho?Certo, sulle fasce servirebbe un Francisco Lima.
E servirebbero in attacco un Totti e un Batistuta. Perché se non segni, non vinci le partite...
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