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Intervista a Gaetano D'Agostino: "Il Real Madrid, Bruno Conti e l'Udinese. Non sarà facile per la Roma"

Parla il doppio ex di Udinese Roma, Gaetano D'Agostino. Dagli inizi a Trigoria con Bruno Conti, allo spogliatoio con Aldair e Di Natale, fino alla trattativa, sfumata, con Juventus e Real Madrid. Ecco le sue parole. 

Gaetano D'Agostino, ai tempi della Roma.

La strada tra Udine e Roma l'hanno fatta in tanti. Da Pizarro a Balbo, da Righetti a Spalletti. Tra questi c'è anche un Campione d'Italia del 2000-01: Gaetano D'Agostino. All'epoca giovane promettente che in quella magica annata trovò l'esordio tra i grandi prima di volare a Bari, nell'affare Cassano

All'Udinese arriverà nel 2006 e ci resterà quattro anni, conditi da 130 presenze e 12 reti. Poi la sua carriera arriva a un bivio: "Mi volevano la Juventus e il Real Madrid, era tutto fatto. Poi saltò tutto". Ci racconta la sua storia in questa intervista esclusiva, con un occhio alla partita di stasera, "che non sarà facile per la Roma". 


Mister D'Agostino, quando l'ha dato il primo calcio a un pallone?

Credo dai racconti di mia mamma di averlo dato in pancia. Lei ha fatto una gravidanza molto dura, 18 ore di travaglio, non stavo mai fermo perché calciavo. Mio padre, sognatore, guardandomi disse: "Questo farà il calciatore". Ce l'avevo nel DNA. A un compleanno, 6 anni, mi fecero tanti regali, ricordo tantissime macchinine. Poi arrivò qualcuno che mi regalò un pallone, buttai via tutto il resto e iniziai a giocare. Da piccolo nel mio quartiere, Sperone, sud di Palermo, non ricordo un giorno senza pallone.

Com'è arrivato alla Roma?

Anche lì è una bella storia. Ero in vacanza in un posto splendido della Sicilia, San Vito Lo Capo, e iniziai a giocare sulla spiaggia. Mi vide un osservatore della Roma, parlò con mio padre e gli propose un provino. Giocavo comunque nelle giovanili del Palermo ma non avevo ancora mai visto un campo in erba. E fu una fortuna per me: giocavo in strada, in campi di terra, e lì imparai tanto a livello coordinativo, tecnico. Quello che purtroppo non c'è più adesso.

Da Palermo alla Capitale. Che impatto fu con Trigoria? 

All'inizio un sogno, poi un incubo. Vivere dentro Trigoria per chi, come me, aveva sempre vissuto nel quartiere era un trauma. Poi infatti il buon Bruno Conti mi prese sotto la sua ala protettiva e mi portò a casa sua, perché la combinai grossa.

Cosa successe?

Scappai una sera, con Maurizio Lanzaro. A Trigoria non ce la potevo fare. Era tutto bellissimo, ci mancherebbe, ma era troppo diverso dalla mia vita: scuola, allenamenti, si tornava in camera, si cenava alle 7. E chi l'aveva mai fatto?

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La pazza Joya: Dybala è della Roma. - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Già da stazione Termini le prime magliette della Roma iniziano a farsi strada, a spiccare sulla monotonia della banchina. C'è una famiglia, con due bambini, la più piccola ha una bandiera che è il doppio di lei. Un ragazzo porta la sciarpa, nonostante facciano 40 gradi e non tiri un filo d'aria. C'è una maglietta di Cristante, una di El Shaarawy, almeno quattro di Totti. Da Termini la direzione da prendere per l'appuntamento con la storia è quella di Laurentina. E la fermata giusta, guarda caso, viene due stazioni dopo Colosseo e Circo Massimo.

E in quella squadra c'erano grandi giocatori. Che rapporto c'era tra giovani e veterani? 

C'erano delle regole non scritte di rispetto e anche, diciamo, di timore. C'era un codice etico per cui non serviva che il più grande ti dicesse di andare a prendere i palloni, di aiutare il magazziniere o di stare zitto quando parlava qualcuno. Un codice diverso al clima di oggi degli spogliatoi, dove regnano i social, usati spesso in maniera superflua.

Gli inizi con Zeman, poi Capello...

Sì, ho fatto il primo ritiro con Zeman, a 16 anni. Poi tornai in Primavera ma ormai giravo sempre anche con i grandi. Fino alla fantastica stagione 2000-01, con l'esordio contro il Brescia. Fu l'anno della svolta.

Che annata fu quella?

A livello personale e formativo fu devastante. Mi allenavo e giocavo con grandi calciatori. Fu uno degli spogliatoi più belli che ho vissuto, insieme a quello dell'Udinese, entravo nello spogliatoio e già avevo imparato qualcosa. Aldilà dell'aspetto tecnico, mi colpiva il modo in cui si comportava Batistuta, come si preparava Montella o la professionalità di Emerson, di Tommasi. Osservavo e rubavo. E poi c'era Capello. Con lui noi giovani vivevamo sul filo del rasoio perché non potevamo sbagliare. Anche se lui voleva il nostro errore per insegnarci a crescere, a migliorare. Ecco, quando sbagliavamo, lui c'era. Eccome se c'era!! (Ride, ndr).

Gaetano D'Agostino, in una sfida tra Roma e Atalanta
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Intervista ad Alessio Pala: "Generosità e sacrificio, vi racconto il mio Belotti. Lo vedo anche in coppia con Abraham". - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Andrea Belotti è un nuovo calciatore della Roma e contro il Monza è arrivato anche il suo esordio. Abbiamo parlato di lui con il tecnico che l'ha scoperto, Alessio Pala. Ecco le sue parole 

Dei tanti calciatori da cui ha imparato qualcosa in quegli anni alla Roma, ne dovesse scegliere uno, quale nome direbbe?

Ti dico la sincera verità: il mio capitano ideale, quello che volevo non si allontanasse mai da me, è stato Aldair. L'avrò sentito parlare dieci volte in tutto. Bastava guardarlo. Te lo guardavi e capivi se avevi fatto la cosa giusta, se avevi sbagliato, se dovevi stare zitto. Era un carismatico senza parlare. A me appassionava perché magari c'erano calciatori che urlavano e parlavano e suscitavano poco interesse e poco timore. Di lui invece avevi un rispetto reverenziale per la sua presenza, il suo sguardo, il suo sorriso.

Dopo Bari e Messina ecco l'Udinese. Che piazza è quella di Udine?

E' una piazza che consiglierei a tutti i giovani. Perché qui, come a Bergamo e Empoli, hai tempo. Non hanno fretta che tu faccia subito l'annata pazzesca, hanno pazienza, vogliono farti sbocciare. Io venivo dal Messina, mi avevano pagato 1 milione e mi potevano rivendere a 20 milioni in tre anni. C'era anche una copertura culturale, è un posto tranquillo e lì ho vissuto l'evoluzione dell'Udinese. Sono arrivato che c'erano degli spogliatoi belli ma semplici e sono andato via che sembravano delle SPA, la sala fisioterapia di 200 metri, le vasche idromassaggio. Dall'altra parte, il lato negativo è che, se non hai ambizioni, hai il rischio di appiattirti. Dopo le nostre annate e quelle di Guidolin, quando l'Udinese era in Europa, adesso l'obiettivo è la salvezza, i Pozzo hanno anche il Watford. Ma qui hai la tranquillità di potercela fare.

Replico la domanda di prima: qual è il compagno che l'ha colpita di più in quegli anni?

Potrei dire Sanchez o Di Natale, calciatori fenomenali. Ma la crescita che avuto Simone Pepe è stata clamorosa. Lui è partito che non era nemmeno titolare all'Udinese e poi è arrivato alla Juventus. Anche qui ha lavorato, ha sgomitato ed è diventato un punto fisso. Come Fabio Quagliarella, anche lui ha girovagato tanto, Udinese, Napoli, poi anche lui Juventus e ancora oggi è un punto di riferimento della Sampdoria.

D'Agostino capitano dell'Udinese, nella sua classica esultanza

 Gaetano D'Agostino, tra Udinese e Real Madrid

Arriviamo così alla famosa estate del 2009. Cos'è successo?

Raccontarla adesso è semplice. Ero a Lignano Sabbiadoro, nel giro della Nazionale. Avevo già parlato con Ciro Ferrara, secondo di Lippi e futuro allenatore della Juventus. Ci confrontavamo, parlavamo della squadra, c'era stima reciproca. Poi la trattativa è stata facile per me, ho trovato l'intesa e ho iniziato ad aspettare. Ho passato due mesi con Sky a casa e alla fine diventai amico con i giornalisti. Avevo pronta la bottiglia di Champagne da stappare ma alla fine saltò tutto.

Come mai?

Per due motivi. Uno perché i Pozzo non guardano in faccia nessuno. Due perché dalla parte della Juventus non c'era Moggi né Marotta, c'era Secco. Mi ricordo in televisione dicevano "L'Udinese chiude la porta in faccia alla Juventus". Era vero, i Pozzo avevano chiuso fisicamente la porta in faccia. Ma dopo quel trauma non finisce lì.

Perché arriva il Real Madrid, giusto?

Vado in ritiro con la squadra, controvoglia, ma per rispetto di mister Marino e dei compagni decido di partire. Stavo in camera, giocavo alla Play Station e squilla il telefono. Il numero è sconosciuto, rispondo e mi dice che è Ernesto Bronzetti. In quel periodo però i miei compagni di squadra mi facevano degli scherzi. Mi chiamavano e mi dicevano: "Siamo la Juventus, ci abbiamo ripensato, riapriamo la trattativa". Io non ce la facevo più. Quando sento che è Bronzetti rispondo: "Sì e io sono Berlusconi". E attacco. Lui mi richiama e mi fa: "Non riattaccare. Sei pronto per Madrid?". Io avevo sentito di un interessamento dell'Atletico, quindi rispondo di sì, vago. Lui mi rifà: "Forse non hai capito, ti rifaccio la domanda: sei pronto per il Real Madrid?". Io te lo dico, ogni tanto una sigaretta me la fumavo, in quel momento butto la sigaretta sul letto e quasi va a fuoco tutto. Non ci capivo più niente.

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La Roma operaia di Gigi Radice, il "Sergente di Ferro" partito da Monza - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

"Sarebbe più utile che domenica in panchina andasse Bianchi o quantomeno che la guidasse dalla tribuna. Dispiace non essere stato messo al corrente di un accordo con un altro allenatore, dispiace soprattutto averlo saputo dai giornali e non dalla mia società". Per raccontare la storia, d'amore e non solo, tra la Roma e Luigi Radice partiamo dalla fine. Partiamo dall'ultima giornata del campionato 1989 1990, quella contro il Bologna. A parlare è proprio il tecnico della Roma. Ed è un discorso amaro, triste, fatto a denti stretti.

Anche qui, però, il finale è amaro

Io avevo già i biglietti del charter privato. Dovevo partire con il mio procuratore, Paolo Rovella. Poi i Pozzo vanno a Madrid e la trattativa salta. Il Real offriva 20 milioni cash, l'Udinese aveva già fatto plusvalenza con Quagliarella al Napoli, non aveva bisogno di soldi. Così chiedono due tre giocatori della cantera dei Blancos. Salta tutto. Nel giro di due settimane avevo accarezzato la possibilità di giocare prima per la Juventus poi con il Real Madrid, invece niente. Fu una delusione che avrebbe potuto buttare giù un toro e infatti l'ho subita. Litigai con tutti, con i Pozzo, ero un corpo estraneo. Giocavo, finiva la partita e dopo mezz'ora non ricordavo il risultato. Io mi ero fatto due calcoli: magari non ero da Real o da Juventus, cosa tutta da vedere comunque, ma una volta in quelle squadre sarei entrato nel grande giro. Il mio obiettivo era questo e loro non me l'hanno permesso. Hai infranto il sogno di un ragazzo venuto dal nulla, che ti ha dato quattro anni di grande calcio. Io ringrazio ancora i Pozzo e ringrazio ancora l'Udinese per quello che mi hanno dato, è una piazza che porto nel cuore. Però devo dire anche la verità.

Cambiamo pagina, arriviamo al presente. Che partita si aspetta tra Udinese e Roma?

Partita tosta. A Udine la Roma ha sempre sofferto. I bianconeri stanno bene fisicamente ma la Roma deve avere la mentalità dell'allenatore. Non si può andare a Torino, contro la Juventus, regalare un tempo e poi svegliarsi. La Roma deve ancora capire che è una grande squadra, che deve imporre il proprio gioco e la propria mentalità. Se a Udine non lo fa, fatica.

Programmi per il suo futuro, Mister?

Sto portando avanti un progetto tecnico a Roma, a Spinaceto. Nasce tutto dalla polemica, che monta ogni volta che non andiamo al Mondiale, per cui in Italia non ci sono i talenti. Invece ce ne sono, manca gente in grado di allenarli. Ho fatto il giro delle scuole calcio e ho paura per i ragazzi, vedo delle cose assurde. Noi giocavamo 18 ore al giorno, in strada. Oggi i bambini vanno a scuola calcio due volte a settimana. Nella ripetitività del gesto si imparano le cose. Perché non basta avere talento, essere predisposti al calcio, serve allenamento. Guardate Materazzi, Gattuso, non erano certo dei giocolieri, ma sapevano lavorare. Ecco, serve gente in grado di allenare e di guidare i talenti. Perché ci sono. 

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