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Rita Cuccuru, l'indomabile

Olimpionica di Triathlon alle Paralimpiadi di Tokyo 2021, fresca di vittoria alla maratona di Parigi, Rita Cuccuru è una forza della natura. Ecco la sua storia e le sue parole, raccolte per noi da Giulio Giusti. 

A Rita piacciono le salite. Ogni volta che le deve affrontare si esalta e tira fuori il meglio di sé. Forse perché con lei la vita non è stata tenera e ogni volta che le ha tolto qualcosa, lei se l'è sempre ripresa. Una vita in salita, una battaglia quotidiana in una storia dove non esiste la parola sconfitta ma solo rinascita. Perché Rita è risorta tutte le volte che il destino le ha voltato le spalle grazie alla tenacia, figlia della sua terra d'origine: la Sardegna. Sarda che più sarda non si può. Fieramente sarda.

Incontrare Rita Cuccuru è un'esperienza di vita. Dopo un'intervista con lei un giornalista dovrebbe dirle grazie perché nelle sue parole non c'è nulla di banale o di scontato e dall'incontro può uscire solo arricchito.

Classe 1977, nata occasionalmente in Germania, ma sarda di Uri, un paese di sole tremila anime ma carico di secoli di storia in provincia di Sassari a due passi dallo splendore del mare di Alghero. Rita Cuccuru è stata olimpionica di triathlon alle Paralimpiadi di Tokyo 2021 ma campionessa anche di altre specialità come il ciclismo e la maratona. Incontriamo Rita proprio dopo il suo recente successo alla maratona di Parigi dello scorso 8 aprile. Una gara dove ha distrutto le rivali, lasciandole a distanze siderali, con la seconda a ben 12 minuti di ritardo.

-Buongiorno Rita, complimenti innanzitutto per il trionfo parigino.

Grazie, è una vittoria che ha sorpreso anche me. Mi ero allenata bene ma non pensavo di vincere con un simile distacco.

-Quando è iniziato tutto questo?

Vent'anni fa, non ero ancora maggiorenne, avevo solo 17 anni. Un terribile incidente dove persi le gambe. Inutile dire che mi cambiò la vita. All'inizio fu durissimo, i primi tempi non avevo nemmeno la forza di alzare un bicchier d'acqua. Poi capii che non dovevo pensare a quello che avevo perso ma ricominciare da quello che mi era rimasto.

- E dove hai trovato la forza?

-Dentro me stessa, nella mia famiglia, nella mia terra. Dovevo farlo e basta. Inoltre, sei mesi prima dell'incidente avevo perso pure mia madre. Una tragedia nella tragedia ma dovevo ricominciare, dovevo farlo per me ma anche per lei.

Rita Cuccuru festeggia con la bandiera dei quattro mori

-Quando hai iniziato a fare sport?

L'ho sempre fatto. Già da prima dell'incidente. Ero una sportiva e questo dopo mi è stato sicuramente di aiuto. Iniziai come podista, mi piaceva da morire correre. A forza di correre finii su un campo di calcio. A 16 anni mi acquistò la Torres che giocava in serie A.

-In che ruolo giocavi?

Centrocampista. Da interista il mio idolo era Lothar Matthaus. Nel calcio femminile, invece, i miei riferimenti erano Maria Angeles Parejo (ex calciatrice della nazionale spagnola della Torres e della Roma) e Rossella Soriga (ex capitana della Torres). Tutti mi dicevano che ero brava e quando già pregustavo una carriera sul campo di calcio con la maglia della Torres, l'incidente distrusse tutti i miei sogni.

-Mi hai detto prima che hai ricominciato da quello che ti era rimasto.

Sì, a distanza di due anni dall'incidente, iniziai a giocare a basket in carrozzina e contemporaneamente decisi che dovevo diventare indipendente. Presi così la patente. Il passo successivo fu quello di lasciare, seppur a malincuore, la Sardegna per cercare lavoro. Mi ricordo ancora il giorno della partenza, mio padre, che non ha mai ostacolato nessuna mia scelta, mi disse: "vai, se vuoi andare, prova ma torna quando vuoi".

-Dove decidesti di andare e perché?

-A Maranello. Trovai lavoro, grazie al consiglio di una mia amica, in una ditta di ceramiche, a distanza di tanti anni sono ancora lì e mi trovo benissimo. All'inizio, però, fu durissima. Avevo troppa nostalgia della mia terra. Vivevo a Uri a due passi dal mare di Alghero, abituata al sole e al vento. Arrivata a Maranello, la mattina, quando aprivo la finestra, vedevo solo la nebbia. Poi, piano piano mi sono inserita e ho trovato il mio equilibrio.

-In Emilia quando hai ricominciato a fare sport?

Suonavo la tromba in una banda (dicendolo Rita, ride).

-Perché ridi, Rita, non c'è niente di male?

Lo so, magari può sembrare una cosa buffa ma a me piace essere super impegnata, fare mille cose. Ecco, girando con la banda, a Ferrara conobbi un ragazzo che mi convinse a provare l'handbike. Tra vederla, provarla, comprarne una e iniziare a fare il paraciclismo passò pochissimo tempo. Poi dal paraciclismo il salto al triathlon fu ancora più veloce. In questa specialità, però, venne fuori un mio grosso limite: nuotavo molto male. Simone Biava, il commissario tecnico della Nazionale di triathlon, dove nel frattempo ero stata selezionata, mi rimanda a casa: "mi dispiace, se non impari a nuotare bene non ti posso più convocare", mi disse senza troppi giri di parole. Quella che poteva essere una mazzata terribile si trasformò in uno stimolo incredibile. Sono sarda, non mollo mai. A Maranello incontrai una persona fondamentale: Giuseppe Calabrò. Diventò il mio allenatore di nuoto e mi aiutò a migliorare tantissimo. Biava lo venne a sapere e mi richiamò in azzurro. Era il 2014. Venni convocata per una gara valevole per la coppa del mondo di specialità a Besencon in Francia. Un luogo che per me diventerà magico.

-Come andò la gara?

Partii malissimo, ultima nella frazione a nuoto. Ma con l'handbike recuperai posizioni su posizioni per potermi giocare tutto nella parte finale di corsa. Alla fine vinsi, una vittoria incredibile in rimonta. Impossibile da immaginare dopo la prima frazione a nuoto. Il successo mi aprì le porte del Mondiale di Edmonton in Canada, sempre nel 2014, dove conquistati un'inaspettata medaglia di bronzo. Ero in formissima e all'orizzonte, nel 2016, vedevo le Olimpiadi di Rio de Janeiro, però il triathlon venne riconosciuta specialità paralimpica solo per gli uomini.

-Una delusione terribile…

La presi malissimo, i giochi olimpici erano il mio sogno. Rimasi così male che, per un po', abbandonai l'attività agonistica. Poi, alcuni anni dopo, la notizia che sognavo: il Comitato Paralimpico Internazionale aveva riconosciuto come disciplina anche il triathlon femminile. Mi contattò Mattia Cambi, che nel frattempo era diventato responsabile della nazionale, per convincermi a tornare all'agonismo. Inutile dirti che accettai senza pensarci un attimo. L'unico problema era il poco tempo a disposizione per qualificarmi alle Olimpiadi di Tokyo. Anche questa volta sulla mia strada c'era Besancon. La cittadina francese ospitava l'ultima gara di coppa del mondo dov'era possibile strappare il pass per il Giappone. Una gara pazzesca, anche questa volta tutta in rimonta. Superai, nell'ordine, l'avversaria olandese, poi la messicana, infine la padrona di casa per arrivare prima e qualificarmi per i Giochi Olimpici. Uno dei giorni più belli della mia vita.

Rita Cuccuru
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Primo Levi e quella partita di calcio dopo Auschwitz - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Nel 1963, 16 anni dopo Se questo è un uomo, Primo Levi raccontò l'odissea del ritorno in Italia dopo l'entrata dei russi ad Auschwitz: e nella sua Tregua trova spazio per una partita di calcio. 

E a Tokyo?

-Mi sono goduta tutti i momenti dei giochi e non solo quelli. Anche la vigilia con il viaggio in treno da Verona a Roma da dove abbiamo preso il volo per l'oriente. A Tokyo mi sembrava tutto magico: il villaggio olimpico, i compagni di squadra, lo staff, anche le avversarie. Feci una grande gara e arrivai settima. Al ritorno a casa, nella mia Uri, trovai un paese intero ad aspettarmi per festeggiarmi. 3.500 persone tutte per me.

Dopo le Olimpiadi?

-Ho continuato a fare triathlon per poi passare alla maratona, altra mia passione.

Dove hai vinto recentemente la maratona di Parigi.

-Sì. Come dicevamo all'inizio è stata una grande vittoria, soprattutto per il margine sugli avversari.

Dove ti vedi in futuro.

-Tornerò sicuramente in Sardegna nella mia Uri anche se Maranello rimarrà sempre la mia seconda casa.

Vuoi ringraziare qualcuno?

-Tantissime persone. L'elenco sarebbe troppo lungo. Però, una citazione particolare va a mia sorella Giovanna, che è sempre accanto a me, ai miei datori di lavoro, che mi hanno sempre sostenuto e aiutato, e al mio allenatore Mattia Cambi che ha creduto in me e con me a quell'incredibile rincorsa e qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo.

E, invece, cara Rita, siamo noi a dire grazie a te, per la tua lezione di sport e di vita.

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